Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20997 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20997 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8003/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliata presso il suo Studio in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO;
Avverso la sentenza n. 1353/2021 emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro in data 9.10.2021, depositata in data 14.10.2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il decreto n. 754/2013 veniva ingiunto all’RAGIONE_SOCIALE il pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 1.198.000,00, oltre agli interessi ex d.lgs. 231/2002 e alle spese del procedimento, a titolo di differenze tariffarie dovute per le prestazioni sanitarie erogate nell’anno 1995 in favore di assistiti del servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Alla base del decreto ingiuntivo, vi era la pretesa al rimborso delle prestazioni erogate nel 1995 non già sulla base delle tariffe determinate dalle delibere della Giunta Regionale n. 691 del 20.02.1995 e n. 1685 del 29.03.1995 (che contenevano un meccanismo di abbattimento e di riduzione del 40%, del 35% e del 50% di quelle previste dal DM 14.12.1994, valevoli per le Regioni che alla data dell’1.01.1995 non avessero adottato propri provvedimenti tariffari di assistenza ospedaliera sulla base dei criteri adottati con DM 15.04.1994), bensì sulla base delle tariffe ministeriali, in ragione del fatto che il Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria, con sentenza n. 149/2002, nel giudizio intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e la Regione Calabria, aveva annullato le deliberazioni della Giunta regionale della Calabria nn. 691 e 1685 del 1995 e riconosciuto l’applicabilità delle tariffe ministeriali di cui al DM del 14.12.1994, per tutte le prestazioni rese nell’anno 1995 e che il Consiglio di Stato, adito in appello, aveva dichiarato, con la decisione n. 3822/2006, la perenzione del ricorso.
Nel giudizio di opposizione che ne era seguito, la RAGIONE_SOCIALE eccepiva il difetto di giurisdizione del Giudice adito nonché il proprio difetto di legittimazione passiva e nel merito deduceva che: a) il pagamento delle prestazioni erogate dall’ingiungente doveva avvenire sulla base delle deliberazioni nn. 691 del 20.2.1995 e 1685 del 29.03.1995, nonostante esse fossero state annullate dal Tar Calabria, non avendo la pronuncia del Tar effetto nei confronti di soggetti rimasti estranei al giudizio; b) in ogni caso, rimanevano fermi gli effetti dei provvedimenti con i quali l’RAGIONE_SOCIALE aveva dato esecuzione alle suddette deliberazioni, quali le delibere di accertamento e di liquidazione del credito, poiché tali provvedimenti non avevano formato oggetto di rituale impugnazione; c) era intervenuta la prescrizione del diritto fatto valere, perché il pagamento delle prestazioni avveniva con rimborsi a cadenza annuale o infrannuale con conseguente applicazione del n. 4 dell’art. 2948 cod.civ.; d) la “avvenuta accettazione di tali tariffe (regionali) e la mancata impugnativa della dichiarazione” di accettazione del sistema di pagamento delle prestazioni sulla base di tariffe predeterminate dalla Regione, comportava la “non dovutezza” delle somme richieste con il decreto ingiuntivo e, inoltre, che, essendo la suddetta accettazione condizionante l’accreditamento, l’eventuale contestazione della stessa avrebbe comportato il venir meno dell’accreditamento, con la conseguenza che nessuna somma avrebbe potuto essere pretesa dalla RAGIONE_SOCIALE; e) erroneamente erano stati riconosciuti gli interessi moratori ex d.lgs 231/2002, trattandosi di normativa non vigente al momento dell’erogazione delle prestazioni.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 1367/2018, rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo: disattendeva l’eccezione di difetto di giurisdizione, perché oggetto del giudizio era esclusivamente il diritto al pagamento della differenza di
corrispettivo per le prestazioni erogate nel 1995, in regime di accreditamento e non quindi la legittimità della tariffa; riteneva che la sentenza del Tar avesse efficacia erga omnes , perché l’annullamento impediva all’amministrazione di continuare ad applicare la norma non solo tra le parti del giudizio, ma in una serie indeterminata di casi, a far data dal passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento (Cass. n. 17914/2003); riteneva che il termine di prescrizione fosse decennale e che avesse iniziato a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento delle delibere avvenuto con l’inutile decorso del termine di 180 giorni dalla comunicazione del decreto di perenzione del 22.6.2006, perciò, alla data della prima diffida del 3.11.2004, il termine prescrizionale non era decorso; riteneva dovuti gi interessi ex d.lgs. 231/2002, perché il termine dell’8.8.2002 doveva essere riferito al momento in cui era divenuto esigibile il credito per il corrispettivo ossia con il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento pronunciata dal TAR Calabria.
La Corte d’ Appello di Catanzaro, investita dell’impugnazione dall’RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 1353/2021, ritenuto infondato il primo motivo di impugnazione relativo al difetto di giurisdizione del giudice adito, ha riformato la sentenza impugnata. Segnatamente, ha ritenuto che:
la pretesa creditoria avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE non poteva trovare accoglimento, avendo essa espressamente accettato il corrispettivo stabilito sulla base delle delibere regionali in forza dell’accordo contrattuale conclusosi fra le parti, il quale non conteneva alcuna previsione, in particolare quella relativa all’applicazione delle tariffe ministeriali, per l’ipotesi di eventuale caducazione, a seguito di giudicato amministrativo, dei parametri tariffari oggetto dell’accordo. Secondo Cass. n. 17588/2018, i soggetti già titolari di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978, operanti in regime di “accreditamento provvisorio o transitorio ”
avevano l’obbligo di stipulare apposito contratto in forma scritta con la RAGIONE_SOCIALE territorialmente competente, con il quale la struttura provvisoriamente accreditata accettava le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno in esercizio, mentre l’ente pubblico non economico assumeva l’obbligazione di pagamento dei corrispettivi, in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa. L’accordo era necessario per modificare la situazione oggetto di convenzionamento, inserendola nella programmazione RAGIONE_SOCIALE regionale con incidenza sul fondo RAGIONE_SOCIALE regionale (Cons. Stato 28.9.2007 n. 4977) ed era necessario anche sulla scorta del principio generale che esige a pena di nullità la forma scritta dei contratti con la PRAGIONE_SOCIALE. Detto contratto si era concluso attraverso lo scambio di proposta ed accettazione, rispettivamente costituite dalla circolare n. 9207 del 03.05.1995 con cui la Regione Calabria aveva autorizzato la RAGIONE_SOCIALE ad effettuare le prestazioni sanitarie previa accettazione del sistema di remunerazione sulla base di tariffe prestabilite, e dall’atto del 29.5.1995, indirizzato all’RAGIONE_SOCIALE, con cui essa dichiarava di accettare il sistema di remunerazione e prestazione sulla base delle tariffe predeterminate ed individuate dalla Regione Calabria, con atto deliberativo n. 691 del 07.02.1995 e n. 1685 del 31.3.1995 a norma dell’art. 6 comma 1 della Legge 23.12.199, n. 724.
La Corte d’appello ha precisato che “in ogni caso … quindi quand’anche si volesse accedere alla tesi dell’efficacia erga omnes del giudicato amministrativo sull’annullamento dell’atto indivisibile (nella specie le delibere tariffarie regionali), detta efficacia
incontrerebbe comunque il limite delle posizioni esaurite. Il rapporto contrattuale relativo al 1995 era esaurito per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo perché le prestazioni erano state erogate dalla RAGIONE_SOCIALE e remunerate dal soggetto pubblico in conformità dell’accordo raggiunto; in secondo luogo, perché, trattandosi di contratto ad esecuzione periodica e non risultando compiuti atti interruttivi del termine prescrizionale, a partire dal 1995, era maturato il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2948 comma I n. 4 (Cass. Sez. 3, sentenza n. 2086 del 30/01/2008)’.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi, ciascuno articolato in più profili di censura.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia: ‘a) Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) cpc; b)Violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 6 comma 6, D.lgs n. 502/1992, art.8 comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione art. 1339 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; c) Violazione art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e dei principi del giudicato amministrativo’.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte di Appello ha ritenuto che non aveva diritto al pagamento delle differenze tariffarie richieste, perché in base all’accordo intercorso, risultante dalla combinazione di circolare e atto di accettazione, rispettivamente, proposta e accettazione, aveva accettato la
remunerazione secondo le tariffe stabilite con le Delibere di Giunta Regionale n. 691 del 07.02.1995 e n. 1685 del 31.3.1995 e nel medesimo accordo le parti non avevano pattuito l’applicazione le tariffe ministeriali nel caso di caducazione dei parametri tariffari regionali.
1.1) Si duole che la corte d’appello non abbia esaminato il fatto storico decisivo dell’accettazione del sistema di remunerazione secondo tariffe, e non già secondo specifiche tariffe in sostituzione del precedente sistema di remunerazione; nella sostanza, la ricorrente sostiene di aver accettato la remunerazione sulla base di tariffe, ma non di aver accettato le tariffe in diminuzione stabilite con le deliberazioni della giunta regionale, poi annullate dal Tar.
1.1.2) La censura di violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. è inammissibile, perché non ne ricorrono i presupposti.
Dalle argomentazioni a suo supporto si evince che ciò che viene rimproverato alla Corte d’appello non è l’omesso esame di un fatto storico, bensì l’esito dell’esame del contenuto dell’accordo; accordo, peraltro, che la ricorrente neppure riproduce per adempiere alle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ. e agli oneri di allegazione che gravano su chi si dolga dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, nn. 7053 e 7054); deve aggiungersi che la sentenza impugnata, a p. 11, riproduce tra virgolette il contenuto dell’atto di accettazione, dal cui tenore si evince che, contrariamente a quanto afferma la RAGIONE_SOCIALE, vi era stata non solo l’accettazione del metodo di rimborso a tariffa, ma anche l’accettazione delle tariffe fissate con le delibere di Giunta regionale, successivamente annullate.
1.2) Con un ulteriore ordine di censure, la ricorrente si duole della violazione della normativa in materia RAGIONE_SOCIALE applicabile ratione
temporis alla fattispecie e dei principi in materia di giudicato amministrativo.
La sua tesi è la seguente: la L. n. 724/1994 aveva disciplinato il passaggio dal sistema convenzionale al sistema dell’accreditamento con i soggetti privati già convenzionati, fino alla concessione dell’accreditamento istituzionale definitivo ed alla stipula dei relativi accordi contrattuali, riconoscendo alla precedente convenzione valenza costitutiva e natura di fonte regolativa del nuovo rapporto di accreditamento, a condizione che i soggetti privati accreditandi avessero accettato il pagamento delle prestazioni secondo tariffe e che le prestazioni erogate, durante la fase dell’accreditamento provvisorio, fossero le stesse già oggetto di convenzione. Detta legge, infatti, all’art. 6, comma 6, prorogava per il biennio 1995 -1996 l’accreditamento nei confronti dei soggetti convenzionati e dei soggetti eroganti prestazioni di alta specialità in regime di assistenza indiretta regolata da leggi regionali alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 502/1992, che avessero accettato il sistema della remunerazione della prestazione sulla base di tariffe. Ciò sarebbe stato confermato dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 416/1995, aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.6, comma 6, della l. n. 724/1994, e ritenuto che l’accreditamento provvisorio convertiva il rapporto convenzionale in atto, a seguito di procedimento regionale comportante ricognizione e verifica e previa accettazione del nuovo meccanismo della remunerazione delle prestazioni su base tariffaria. Pertanto, la Corte d’appello avrebbe erroneamente individuato nell’accordo inter partes piuttosto che nella convenzione originaria, integrata ex lege , ai sensi dell’art. 1339 cod.civ., mediante l’inserimento automatico dei nomenclatori tariffari vigenti, la fonte regolatrice dei rapporti tra le parti. Le tariffe applicabili, avendo la Regione Calabria adottato propri provvedimenti di fissazione delle tariffe sulla base dei criteri
di cui al DM 15.04.1994 tardivamente, cioè dopo l’1 gennaio 1994 e precisamente solo con le deliberazioni nn. 691 del 20.2.1995 e 1685 del 29.03.1995, erano quelle di cui al DM 14.12.1994 che riconoscevano il pagamento al 100% delle prestazioni rese nell’anno solare 1995.
Pertanto, nel ritenere che la RAGIONE_SOCIALE non potesse pretendere le differenze di tariffa perché non era stata prevista alcuna pattuizione sull’applicabilità delle tariffe ministeriali in caso di annullamento di quelle regionali, la corte di merito ha asseritamente violato l’art. 1339 cod.civ., e il meccanismo previsto da tale norma di recepimento automatico nei singoli contratti con le strutture degli importi tariffari previsti dalla legge.
Né l’amministrazione, una volta annullate le tariffe disposte con le deliberazioni su cui è intervenuto il giudicato amministrativo, ha proceduto all’adozione di nuove tariffe in conformità con quanto statuito dalla sentenza di annullamento, con la conseguenza che, restando ferme le tariffe previgenti -cioè quelle ministeriali -avrebbe dovuto riscuotere appunto le differenze di tariffa rispetto a quelle regionali, essendo le tariffe ministeriali equivalenti ad un prezzo imposto ex lege.
1.3) Un terzo ordine di censure riguarda la violazione art. 2909 cod.civ. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., e dei principi del giudicato amministrativo.
Attinta è la statuizione con cui la Corte d’appello, espressamente ‘per completezza motivazionale’, ha aggiunto che “secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato anche a fronte di atti amministrativi generali gli effetti di accertamento della pretesa quelli ordinatori/conformativi operano sempre solo inter partes, essendo soltanto le parti legittimate a far valere la violazione dell’obbligo nel
e conseguenzialmente a tale accertamento, conformativo o dell’accertamento della pretesa contenuto giudicato’.
La ricorrente lamenta che la corte di merito non correttamente interpretato la domanda, che non era affatto volta ad ottenere l’effetto conformativo conseguito alla sentenza di annullamento delle delibere tariffarie regionali.
Nel premettere che la sentenza di annullamento del giudice amministrativo produce effetti di tipo caducatorio o eliminatorio, ripristinatorio e conformativo; che l’effetto caducatorio implica la rimozione dell’atto impugnato e dei suoi effetti retroattivamente; che l’effetto demolitorio investe anche gli atti successivi che siano stati adottati sul presupposto dell’atto annullato; che l’effetto conformativo incide sull’attività futura dell’amministrazione tenuta a conformarsi alla regola di diritto affermata dalla sentenza di annullamento; la ricorrente deduce che solo gli effetti conformativi operano inter partes , laddove gli effetti demolitori/ripristinatori della pronuncia possono prodursi anche erga omnes , e quindi anche nei confronti di coloro che sono stati estranei al giudizio amministrativo.
Un tanto si verifica in considerazione della natura dell’atto impugnato; del tipo di vizio; del tipo di effetto prodotto dal giudicato; e deve tenersi conto dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto, allo scopo di impedire giuridicamente e logicamente che l’atto annullato continui ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato.
A conferma di tale conclusione adduce il parere del Consiglio di Stato n. 2907/2017, ove si legge: “non c’è dubbio che le delibere di cui si tratta abbiano sul piano sostanziale natura strutturalmente unitaria, nella misura in cui definiscono un unico criterio di rimborso (tariffe decrescenti al superamento del letto massimo) omogeneamente applicabile a tutte le RAGIONE_SOCIALE convenzionate con la Regione; e non c’è dubbio che il vizio sostanziale riscontrato dal Giudice (tardività dell’intervento tariffario, omessa considerazione degli affidamenti medio tempore maturati) ne infici
il contenuto precettivo in modo pervasivo”, e la giurisprudenza di legittimità (Cass. nn 24039/2015, 3200/2017), a mente della quale a parità del contenuto delle prestazioni che le imprese rendono in favore della stessa RAGIONE_SOCIALE non può darsi un diverso corrispettivo economico, pena la discriminazione di alcune di esse rispetto alle altre, perciò “chi ritenne di non impugnare la deliberazione (per le più varie ragioni) ovvero trascurò di farlo, in considerazione dei rilevanti valori coinvolti, non può essere pregiudicato da un malinteso carattere plurimo dell’atto generale annullato, che continuerebbe ad essere sostanzialmente valido solo con riferimento ad alcuni e non anche agli altri imprenditori sanitari che ne provocarono l’annullamento, considerato che le ragioni dell’invalidità di quel piano tariffario derogatorio rispetto a quello RAGIONE_SOCIALE avevano carattere generale e non erano certo limitate alla posizione di alcuni soltanto dei loro destinatari, secondo un principio non condivisibile di frazionamento della sua efficacia’ .
1.4) Le censure di cui ai § § 1.2 e 1.3, le quali sono in parte connesse, almeno quanto agli effetti della sentenza di annullamento delle delibere regionali, sono infondate.
Va anzitutto osservato che la tesi secondo cui è la precedente Convenzione, e non già il nuovo Accordo raggiunto nella fase di passaggio dal precedente regime convenzionale a quello dell’accreditamento istituzionale, a costituire nella specie la fonte di regolazione dei rapporti inter partes prescinde invero del tutto dalla considerazione delle affermazioni in iure contenute nella sentenza impugnata, ove si afferma viceversa l’indispensabilità dell’Accordo, volto ad accettare il passaggio al nuovo regime.
La ricorrente, infatti, individua nella precedente Convenzione la fonte di regolazione dei rapporti con le strutture private accreditande, ma non è in grado di spiegare come la struttura accreditanda potesse accettare il nuovo sistema delle tariffe se non con un Accordo aggiuntivo rispetto a quello convenzionale dall’a
corte di merito individuato in quello raggiunto attraverso lo scambio tra la circolare n. 9207 del 03.05.1995 con cui la Regione Calabria ha autorizzato la RAGIONE_SOCIALE ad effettuare le prestazioni sanitarie previa accettazione del sistema di remunerazione sulla base di tariffe prestabilite, e l’atto del 29.5.1995 indirizzato all’RAGIONE_SOCIALE con cui la ricorrente ha dichiarato di accettare il sistema di remunerazione e prestazione sulla base delle tariffe predeterminate ed individuate dalla Regione Calabria.
La tesi dell’odierna ricorrente risulta d’altro canto contrastane con il principio affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui ‘il passaggio dal regime di convenzionamento esterno al nuovo regime dell’accreditamento – previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 e poi integrato dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6 – non ha modificato la natura del rapporto esistente tra l’Amministrazione pubblica e le strutture private, che rimane di natura sostanzialmente concessoria, con la conseguenza che non può essere posto a carico delle Regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali …, restando irrilevante, ai fini del compenso, la mera prosecuzione dell’attività, ancorché sorretta da provvedimenti amministrativi della Regione …’.
La qualità di soggetto (provvisoriamente o definitivamente) ‘accreditato’ è, infatti, condizione necessaria , ma non sufficiente, per conseguire il pagamento delle prestazioni assistenziali erogate agli utenti del SSR, come è inequivocamente si evince dalla disciplina dettata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 ( come modificato dal D.Lg. 19 giugno 1999, n. 229 ), che all’art. 8 bis , comma 4, subordina l ‘ esercizio da parte delle strutture private delle attività sanitarie a carico del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ai requisiti del possesso della ‘autorizzazione’ all’esercizio di attività RAGIONE_SOCIALE ;
de ll”accreditamento istituzionale’ … ed della stipulazione di “accordi contrattuali”; e all’art. 8 quater, comma 2, riconduce gli effetti obbligatori “inter partes” esclusivamente alla specifica Convenzione stipulata tra la struttura privata e la ASL di riferimento … ed all’art. 8 quinquies disciplina il contenuto minimo di tali accordi ‘.
Ha aggiunto che detta sequenza trova applicazione ‘anche al regime c.d. di accreditamento “transitorio” (art. 8 quater, comma 6, -definito “temporaneo”-) ed a quello “provvisorio” (cfr. art. 8 quater , comma 7) nel quale operano le strutture sanitarie private, atteso che il sistema dell’accreditamento costituisce una mera evoluzione del previgente sistema concessorio, strutturato anch’esso secondo lo schema della concessione-contratto, essendo prevista la stipula di una apposita convenzione accessiva al provvedimento di concessione di servizio pubblico’.
Ha precisato che ‘l’assenza di soluzione di continuità tra il regime del convenzionamento esterno e quello basato sull’accreditamento emerge in tutta evidenza dalla disposizione della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6 , che disciplina il ‘regime transitorio’ in cui opera la struttura privata originariamente convenzionata, ai sensi della L. n. 833 del 1978, attribuendo a detta struttura RAGIONE_SOCIALE un diritto soggettivo al riconoscimento dell’accreditamento, anche in assenza del “necessario” provvedimento di accreditamento istituzionale’ al fine di ‘garantire la continuazione della assistenza agli utenti del SSR’. Il regime “transitorio” delle prestazioni a carico del SSR erogate dalle strutture private che già agivano in regime di convenzionamento esterno, è regolata esclusivamente dalla L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6 , che ‘ha disposto la definitiva cessazione della disciplina contrattuale in atto, con la entrata in vigore del sistema di remunerazione a tariffa … , consentendo la prosecuzione dell’attività di erogazione delle prestazioni sanitarie in attesa dei provvedimenti di accreditamento -subordinatamente alla formale accettazione da parte degli operatori sanitari del
sistema di remunerazione a prestazione sulla base delle tariffe regionali -‘
In particolare, la prosecuzione dell’attività già svolta era subordinato al riconoscimento, operato direttamente ex lege , dell'”accreditamento” a tutti i soggetti già convenzionati ai sensi della l. n. 833/1978 ed ‘all’esercizio dei poteri delle regioni che ineriscono non solo alle concrete modalità di erogazione delle prestazioni oggetto della convenzione, ma anche alla valutazione del loro fabbisogno da parte dell’utenza, valutazione correlata all’impossibilità che le stesse siano fornite direttamente dalle strutture pubbliche” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 473 del 14/01/2015)’, da trasfondere ‘nei singoli contratti stipulati con le RAGIONE_SOCIALE‘
Né la esigenza della stipula di un atto contrattuale con l’RAGIONE_SOCIALE viene meno per il fatto che la originaria convenzione, in virtù della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6, sarebbe stata nella specie “prorogata’, ricorrendo l’obbligo per la struttura privata, già titolare di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978, di stipulare apposito contratto in forma scritta con la RAGIONE_SOCIALE territorialmente competente, con il quale la struttura provvisoriamente accreditata accetta -vincolandosi a rispettare -le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili dalla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno in esercizio, mentre l’ente pubblico non economico assume la obbligazione di pagamento dei corrispettivi, in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa’ (Cass. 5/07/2018, n. 17588; Cass. 29/11/2018, n. 30917; Cass. 02/03/2023, n. 6300).
Pertanto, la tesi secondo cui la fonte del rapporto con la RAGIONE_SOCIALE fosse la Convenzione stipulata sulla scorta della L. n. 833/1978 risulta in realtà basata su premesse in iure errate, e non può essere accolta.
Quanto alla censura concernente gli effetti sulla vicenda per cui è causa della sentenza di annullamento delle delibere della Giunta regionale, va osservato che la stessa risulta invero formulata in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° co. n. 6, cod.proc.civ.
Deve ribadirsi che il giudicato va assimilato agli elementi normativi, sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici e gli eventuali errori interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di legge.
L’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE con cognizione piena, nei limiti però in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza delle regole processuali di cui all’art. 366 cod. proc. civ. di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che solo il dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. 29/11/2018, n. 30917).
Per consentire a questo Giudice di legittimità di comprendere se vi fossero statuizioni o accertamenti sulla disciplina del rapporto atti a vincolare le parti in causa che non erano state parte del giudizio all’esito del quale era stata emessa dal Tar Calabria la decisione, l’odierna ricorrente avrebbe dovuto adempiere agli oneri di allegazione di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. e così riportare in ricorso il testo della sentenza di cui all’interpretazione contestata.
Va aggiunto che è stata impugnata una statuizione resa ad abundantiam , come è comprovato dal fatto che è stata introdotta dal giudice a quo ‘per mera completezza motivazionale’; deve dichiararsene, pertanto, l’inammissibilità anche in applicazione del principio secondo cui il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , e pertanto non costituente una ratio decidendi della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 8/06/2022, n. 18429).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: a) ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2948 e 2946 cod.civ. e b) Violazione e falsa applicazione art.2935 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
2.1) La censura introdotta sub lett. a) si rivolge alla seguente statuizione del giudice a quo : “in ogni caso … quindi, quand’anche si volesse accedere alla tesi dell’efficacia erga omnes del giudicato amministrativo sull’annullamento dell’atto indivisibile (nella specie le delibere tariffarie regionali) detta efficacia incontrerebbe comunque il limite delle posizioni cd. esaurite Detto esaurimento scaturiva, secondo il giudice a quo , da due ordini di ragioni: i) le prestazioni furono effettuate illo tempore dalla RAGIONE_SOCIALE e remunerate dal soggetto pubblico in conformità dell’accordo raggiunto; ii) trattandosi di contratto ad esecuzione periodica e non risultando compiuti atti interruttivi del termine prescrizionale, a partire dal 1995, è maturato il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2948, 1° comma, n. 4 cod.civ. (pag. 13 della sentenza).
L’errore attribuito alla Corte d’appello è quello di avere qualificato il rapporto per cui è causa come rapporto di durata, avente ad oggetto prestazioni periodiche, anziché come contratto ad
esecuzione prolungata, omettendo di considerare che la prestazione che si era impegnata ad eseguire -cioè l’assistenza RAGIONE_SOCIALE in favore di cittadini richiedenti -era unitaria, e l’esigibilità del corrispettivo era condizionata solo alla effettività della prestazione e non al decorso del tempo.
La casa RAGIONE_SOCIALE si impegna ad erogare, nel corso di un determinato anno solare, un volume massimo di prestazioni che possono essere o meno, a seconda delle esigenze dell’utenza, erogate ogni mese, mentre l ‘ RAGIONE_SOCIALE si impegna a versare un corrispettivo che, però non è periodico, perché, pur essendo, per patto contrattuale, dovuto ed esigibile con la fatturazione mensile, esso dipende non dalla mera cadenza periodica ma dalla concreta realizzazione della prestazione RAGIONE_SOCIALE che dipende variabilmente dalle richieste dei pazienti.
Tale conclusione troverebbe conferma nella giurisprudenza di questa Corte che – cfr. Cass. nn. 30546/2017 e 26161/2006 -riferendosi al caso di spese farmaceutiche sostenute da una farmacia in favore di assistiti convenzionati col RAGIONE_SOCIALE, ha statuito che la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 cod.civ., n. 4), per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno o in termini più brevi si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo, ma non è applicabile alle obbligazioni nelle quali la periodicità si riferisce esclusivamente alla presentazione di rendiconti e non anche al pagamento dei debiti accertati e liquidati nei rendiconti medesimi, né alle prestazioni derivanti da un unico debito rateizzato in più versamenti periodici, per le quali opera la ordinaria prescrizione decennale.
Così per quanto riguarda il caso in specie, pur essendo previsto nella convenzione in atti (art.9, 1 0 comma) che la liquidazione delle competenze è effettuata dalla Regione alla RAGIONE_SOCIALE non oltre
120 giorni dalla contabilità mensile, dalla medesima convenzione (art. 6) si evince che la Regione era tenuta a corrispondere gli importi dovuti in relazione alle giornate di degenza dei pazienti e non già in relazione ad (insussistenti) prestazioni periodiche della struttura.
2.2) La Corte d’appello sarebbe incorsa altresì nella violazione dell’art. 2935 in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., là dove ha ritenuto prescritta la pretesa “non risultando compiuti atti interruttivi del termine prescrizionale a partire dal 1995 “
Ad avviso della società ricorrente, il diritto alla remunerazione a tariffa piena non esisteva al momento dell’erogazione delle prestazioni nell’anno 1995, ma è sorto solo con il passaggio in giudicato della sentenza del Tar Calabria.
Come, infatti, affermato questa Corte nella sentenza n. 17914/2003, con riferimento al caso di annullamento di un atto generale a contenuto normativo, “non è l’annullamento pronunciato dal giudice in un determinato processo ad impedire all’amministrazione di continuare ad applicare l’atto generale in altri casi, ma il giudicato che si forma sulla pronuncia di annullamento … La perdita di efficacia della disposizione annullata non è un effetto che si ricollega, a parte il concreto rapporto che ha costituito oggetto del giudizio in cui l’annullamento è stato pronunciato, alla esecutività della sentenza, sì che l’amministrazione, per il solo fatto che l’atto generale sia stato oggetto di quella pronuncia, sia obbligata ad astenersi dal darvi applicazione (Cons. Stato, Sez. 3 marzo 1987 n. 132). È necessario che la sentenza del giudice amministrativo che ha pronunciato su ricorso l’annullamento dell’atto generale passi in giudicato, per acquiescenza o rigetto dei rimedi esperiti”.
Pertanto, l’Amministrazione poteva e doveva continuare ad applicare il tariffario annullato sino al passaggio in giudicato della
sentenza di annullamento e, di conseguenza, la struttura non poteva pretendere l’applicazione del tariffario ministeriale prima del passaggio in giudicato della sentenza del TAR Calabria, sicché il termine di prescrizione non poteva iniziare a decorrere .prima del passaggio in giudicato della sentenza del Tar e cioè prima del deposito del decreto di perenzione, risalente al 22.6.2006.
Il motivo è inammissibile.
Quand’anche le censure mosse alla sentenza infondata fossero fondate, esse non condurrebbero alla cassazione dell’impugnata sentenza, la quale, essendo fondata su più rationes decidendi , avrebbe dovuto essere confutata utilmente ed efficacemente attraverso uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni su cui essa si basava, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cass. 19/05/2021, n. 13595).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 15.200,00, di cui euro 15.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile