Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5682 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5682 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5292/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 4771/2022 depositata il 14.11.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.12.2023 dal Presidente NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, pronunciando quale giudice di rinvio, in seguito alla ordinanza della Corte di Cassazione n. 21858/2017, ha accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 8498/2007 emesso dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE su ricorso di RAGIONE_SOCIALE Il decreto ingiuntivo era stato emesso a titolo di compenso delle prestazioni sanitarie rese dal RAGIONE_SOCIALE La Corte di appello con la sentenza n. 4771/2022 nel ritenere fondata l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE ha rilevato l’insussistenza di un contratto di forma scritta fra la RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE e la mancata prova dell’accreditamento provvisorio a favore del RAGIONE_SOCIALE. Contro tale decisione ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE con tre motivi: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 8 quater e 8 quinquies del d.lgs. n. 502/1992 (come integrato dalla legge n. 299/1999) e de ll’art. 6 c.6 L. 724/1994 per l’erronea affermazione della necessità di un contratto scritto che legittimasse l’accreditamento delle singole prestazioni; b) violazione e falsa applicazione di norme di diritto e/o nullità della sentenza e del procedimento con riferimento all’art. 345 c.p.c. nella formulazione ante d.l. 83/2012 (convertito in legge n. 134/2012) in relazione alla ritenuta carenza di prova dell’accreditamento conseguente alla tardiva produzione documentale diretta a provarne l’esistenza; c) viola zione e falsa applicazione di norme di diritto e/o nullità della sentenza e del procedimento con riferimento all’art. 101 c.p.c. per non aver sottoposto al contraddittorio il rilievo di ufficio della mancanza di prova del regime convenzionale e di accreditamento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che l’obbligo per la struttura privata, già titolare di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978, di stipulare apposito contratto in forma scritta con la ASL territorialmente competente sussiste anche durante il regime di accreditamento provvisorio o transitorio; con esso, per un verso, la struttura accetta e si vincola a rispettare le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili alla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno di esercizio; per l’altro, l’ente pubblico assume l’obbligazione di pagamento dei corrispettivi in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa (Cass. Civ. sez. III n. 17588 del 5.7.2018).
Non può quindi accreditarsi la tesi della ricorrente secondo cui in mancanza degli atti amministrativi necessari a rendere effettivo il passaggio dal regime delle convenzioni a quello dell’accreditamento nella Regione Campania si è instaurata una prassi basata sulla prosecuzione di fatto del regime di accreditamento provvisorio e sulla conclusione di accordi contrattuali per facta concludentia. Già in altre occasioni la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ‘ nell’ambito del servizio sanitario nazionale, l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della l. n. 724 del 1994, nel prevedere la necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio,
comporta che non può essere posto a carico delle Regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del servizio e l’ammontare dei corrispettivi, dovendosi, in ogni caso, escludere, ai sensi dell’art. 8 quinquies del citato d.lgs. n. 502 del 1992, che possano validamente concludersi accordi contrattuali per ” facta concludentia “, atteso che, in base al disposto degli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923, tutti i contratti con la RAGIONE_SOCIALE devono rivestire, a pena di nullità, la forma scritta’ (Cass. Civ. sez. III n. 7019 dell’11.3.2020 ).
Il secondo e il terzo motivo sono accomunati da inammissibilità derivante dalla mancata impugnazione della duplice ratio decidendi che investe la mancata prova dell’accreditamento e la mancanza di un contratto idoneo a far sorgere il diritto al pagamento delle prestazioni. Come rilevato nella proposta di decisione è giurisprudenza costante che ‘ la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ” ratio decidendi “, né contiene, quanto alla ” causa petendi ” alternativa o subordinata, un mero ” obiter dictum “, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte ” rationes decidendi “, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione (Cass. Civ. sez. I n. 17182 del 14.8.2020, Cass. Civ. sez. III n. 13880 del 6.7.2020).
Entrambi i motivi presentano inoltre profili di manifesta infondatezza perché quanto al secondo la produzione di nuovi documenti nel giudizio di rinvio è preclusa dalla sua caratteristica di giudizio a istruttoria sostanzialmente chiusa che consente la produzione solo in presenza di fatti sopravvenuti, di esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di cassazione ovvero dall’impossibilità di produrre tempestivamente i documenti per causa di forza maggiore (Cass. civ. sez. VI-3 n. 27736 del 22.9.2022 e sez. VI-5 n. 26108 del 18.10.2018). Nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso in esame essendo stata posta già nel primo grado la questione della prova dell’accreditamento e questa circostanza rende manifestamente infondato anche il terzo motivo basato invece sul l’affermazione del rilievo di ufficio che è smentita dalla tempestiva proposizione di eccezione relativa al difetto della prova dell’accreditamento .
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
La dichiarazione di inammissibilità è conforme alla proposta di definizione accelerata e alla sua motivazione cosicché sussistono i presupposti per l’applicazione del terzo e quarto comma dell’articolo 96 c.p.c. senza che ricorrano ragioni per derogare a tale applicazione in conformità a quanto affermato dalle Sezioni Unite, nelle ordinanze nn. 28619, 27195 e 27433 del 2023, secondo cui nei casi di conformità tra proposta e decisione finale interviene una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, sui presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma c.p.c.) e al pagamento di una ulteriore somma non inferiore a 500 euro e non superiore a 5.000 euro (art. 96, comma 4, c.p.c.) in favore della cassa delle ammende perché – nel caso in cui il ricorrente abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380 bis c.p.c.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta -le condanne devono essere
pronunciate anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo esse una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese a favore della controricorrente liquidate in euro 10.400 per compensi e in euro 200 per esborsi, oltre al 15% per rimborso spese generali e accessori di legge nonché al pagamento della somma di euro 10.400 ex art. 96 comma 3 c.p.c. Condanna altresì la parte ricorrente al pagamento in favore della Cassa Ammende di una somma pari a euro 2.500 ex art. 96, comma 4, c.p.c.;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima