Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22930 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22930 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8897/2020 r.g. proposto da:
ULSS 3 Serenissima, già Azienda ULSS 12 Veneziana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso,
elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 3493/2019, depositata il 4/9/2019
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 /4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
In data 11/7/1991 veniva stipulata convenzione tra il RAGIONE_SOCIALE San Marco RAGIONE_SOCIALE e l’Azienda ULSS n. 12 Veneziana, ora denominata ULSS 3 Serenissima, in relazione alla funzione di servizio di pronto soccorso H24 fino al 2004.
A seguito di un sopralluogo del 1/4/2003 veniva riscontrata la mancata presenza di medici specializzati, oltre all’assenza di posti letto di rianimazione ed all’assenza di medico e infermiere nell’autoambulanza.
Veniva dunque emesso il provvedimento di revoca n. 96 del 23/7/2004, in relazione al servizio di pronto soccorso.
Ad avviso della ricorrente RAGIONE_SOCIALE, la revoca del 23/7/2004 veniva comunicata agli organi regionali, trattandosi di mera sospensione dei soli finanziamenti in attesa delle determinazioni regionali, a seguito delle verifiche sulla funzionalità del servizio.
Veniva poi eseguita una visita ispettiva il 17/1/2005.
Veniva emessa la delibera n. 751 dell’11/3/2005 di approvazione delle modifiche alle schede di dotazione ospedaliera tra la casa di cura San Marco e la ULSS, in relazione al servizio di pronto soccorso diurno.
Con la delibera n. 3456 del 15/11/2005 la Regione dava atto di aver formalizzato solo in data 28/9/2005 l’accordo di procedere alla «dura» del servizio di pronto soccorso diurno, a decorrere dal 1/11/2000.
Con la delibera n. 3791 del 6/12/2005 venivano stabilite le risorse finanziarie per l’anno 2005, con la determinazione delle stesse per il Policlinico San Marco in euro zero.
La società RAGIONE_SOCIALE Marco chiedeva, dunque, emettersi decreto ingiuntivo nei confronti della azienda ULSS veneziana, facendo riferimento alla delibera regionale n. 3223 dell’8/11/2002, come pure la delibera n. 751 del 11/3/2005, che istituiva il servizio di pronto soccorso diurno, per la somma di euro 1.075.951,90.
Ciò sulla scorta di 10 fatture, ciascuna per euro 107.595,19. Si trattava del periodo dal gennaio 2005 all’ottobre 2005. Veniva dunque emesso il decreto ingiuntivo n. 1440 del 2007.
Proponeva opposizione la ULSS in data 17/10/2007, allegando che vi era stata revoca della funzione di pronto soccorso H24, proprio a seguito del sopralluogo del 1/4/2003, ove erano state rilevate carenze.
Del resto, con delibera n. 3791 del 6/12/2005 non veniva previsto alcun finanziamento per il 2005 riservato alla società Policlinico San Marco.
Si trattava, in realtà, solo di un punto di primo intervento.
Il pronto soccorso diurno di cui alla delibera n. 751 del 11/3/2005 non era mai entrato in funzione.
Ciò in quanto non era stato mai formalizzato il protocollo tra le parti.
Del resto, per il servizio di pronto soccorso diurno occorrevano i medesimi aspetti strutturali e impiantistici del pronto soccorso H24.
Si costituiva in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo anche l’indennizzo ex art. 2041 c.c.
Il tribunale, con sentenza del 29/3/2011, revocava il decreto ingiuntivo, dichiarando non dovute le somme in favore della Policlinico San Marco RAGIONE_SOCIALE
Ciò, in ragione del provvedimento di revoca n. 96 del 23/7/2004, che costituiva la revoca del pre-accreditamento.
Non era stato disposto, peraltro, alcun finanziamento, sia dalla delibera n. 1723 del 2004 sia dalla delibera n. 3791 del 6/12/2005.
Proponeva appello principale la società, deducendo, in primo luogo, che non vi era stata la revoca del servizio di pronto soccorso, ma era stato rinnovato l’accreditamento con la delibera n. 751 dell’11/3/2005.
Era stato chiuso solo il servizio di pronto soccorso diurno, con la delibera n. 3456 del 15/11/2005, a decorrere, però, dal 1/11/2005.
Era stata quindi prevista la trasformazione del servizio di pronto soccorso H24 in servizio di pronto soccorso diurno.
Con la delibera n. 3456 delle 15/11/2005 era intervenuto il finanziamento per l’attività di pronto soccorso diurno.
In secondo luogo, la società deduceva l’omessa pronuncia sulla domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c.
Proponeva appello incidentale la ULSS.
Deduceva l’indeterminatezza della domanda proposta dalla società ricorrente, in ordine alla causa petendi , non essendo stato indicato il titolo posto a fondamento della stessa.
Mancava la delibera regionale di stanziamento dei fondi per l’anno 2005.
Deduceva, inoltre, la non spettanza degli interessi dalle singole fatture, dovendo gli stessi essere pagati al domicilio del debitore, in assenza di atto di costituzione in mora.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 3493/2019, depositata il 4/9/2019, accoglieva l’appello principale della società RAGIONE_SOCIALE San Marco.
Evidenziava che il servizio di pronto soccorso risultava in regime di pre accreditamento e non era stato mai sospeso, ma solo trasformato in servizio di pronto soccorso diurno.
L’intervenuta revoca con la delibera n. 96 del 23/7/2004 era stata smentita da altra documentazione successiva, che deponeva esclusivamente per la trasformazione del servizio da pronto soccorso H24 in pronto soccorso diurno.
Ciò si deduceva da tre documenti: la delibera del 23/7/2004 costituiva solo una mera sospensione dei finanziamenti, ma non l’annullamento degli stessi; la delibera n. 751 del 11/3/2005 aveva approvato le modifiche alle schede di dotazione, con riferimento al nuovo servizio di pronto soccorso diurno; la delibera n. 3456 del 15/11/2005 dava atto di aver formalizzato in data 28/9/2005 l’accordo per procedere alla chiusura del servizio di pronto soccorso diurno, ma solo a decorrere dal 1/11/2005.
In relazione al quantum debeatur , la Corte territoriale rilevava che le contestazioni della ULSS erano del tutto generiche, mentre le fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE San Marco erano conformi ai criteri di liquidazione previsti dalla delibera n. 616 del 2002.
8.1. La Corte territoriale reputava infondato il primo motivo di appello incidentale in quanto la domanda della società ricorrente si fondava sulla avvenuta prestazione del servizio di pronto soccorso diurno.
8.2. Reputava invece fondato il secondo motivo di appello incidentale in ordine agli interessi, che decorrevano non solo dal decreto ingiuntivo, in assenza di atti di costituzione in mora. Non
potevano decorrere quindi dalla data di emissione delle singole fatture.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ULSS 3 Serenissima, già Azienda ULSS 12 Veneziana, depositando memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE depositando memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione degli articoli 112,345 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
In particolare, si contesta la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha accolto l’appello principale, in ordine al quantum , avendo ritenuto che le fatture azionate in via monitoria erano conformi ai criteri previsti per la liquidazione dei corrispettivi dalla delibera regionale n. 616 del 2002.
La pronunzia della Corte d’appello sarebbe nulla, avendo omesso di rilevare la modifica della domanda da parte del Policlinico San Marco.
Per la ricorrente, infatti, la società Policlinico San Marco, in primo grado, avrebbe chiesto esclusivamente il corrispettivo per le prestazioni di pronto soccorso H24, mentre in sede di gravame avrebbe dedotto «trattarsi di prestazioni diverse».
L’ulteriore errore commesso dalla Corte di merito sarebbe consistito nell’accogliere la domanda della società Policlinico San Marco, ritenendo che il servizio di pronto soccorso diurno era stato «previsto ed erogato».
Del resto, sia il ricorso per decreto ingiuntivo, sia la richiesta di prova per testi, avvenuta con la memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2, c.p.c., depositata il 2/7/2008, si deduceva l’avvenuto
espletamento del servizio di pronto soccorso con modalità operative H24.
Solo in sede d’appello la società avrebbe modificato la domanda, assumendo di aver attivato il pronto soccorso diurno del 2005, conformemente alla previsione della delibera n. 751 del 2005.
La controversia, però, ad avviso della ricorrente, «verteva sul pronto soccorso H24» che era stato «tolto ancora nel 2004».
Il servizio relativo al pronto soccorso H24 era stato revocato con la delibera n. 96 del 2004.
Ed infatti, con la delibera n. 3791 del 6/12/2005, avente ad oggetto l’assegnazione alle aziende sanitarie del Veneto delle risorse finanziarie per l’anno 2005, non era stato previsto alcun finanziamento (zero si leggeva nella delibera) a favore del Policlinico San Marco per il pronto soccorso.
Peraltro, era stata effettuata un’ispezione l’1/4/2003 dalla quale erano emerse diverse irregolarità: assenza del medico anestesistarianimatore; assenza del medico per i servizi di laboratorio e di radiologia; assenza di posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva.
Quanto alle delibere n. 751 del 2005 e n. 3456 del 2005, con le stesse si proponeva di istituire un servizio diverso, e cioè di pronto soccorso diurno, che però non era oggetto del contendere, «attivabile soltanto previa sottoscrizione di uno specifico contratto con l’ULSS e sotto la sua direzione».
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione del giudicato interno di cui all’art. 2909 c.c.
Ciò in quanto la domanda del Policlinico San Marco verteva sul pronto soccorso H24, mentre la sentenza del tribunale di Venezia n.
798 del 2011, poi oggetto d’appello da parte della società Policlinico San Marco, aveva chiarito l’oggetto del contendere, proprio in ordine al servizio di pronto soccorso H24.
La sentenza di prime cure aveva rilevato che la Regione, dopo la delibera di revoca del 23/7/2004 non aveva più previsto alcun finanziamento in favore della società.
Tuttavia, «la società avversaria non ha censurato tale inquadramento tramite uno specifico motivo di appello».
La conseguenza sarebbe la maturazione del giudicato «sul fatto che la casa di cura avesse chiesto la remunerazione per aver espletato prestazioni di pronto soccorso per 24 ore».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole «dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della delibera n. 3791 del 6/12/2005, avente ad oggetto l’assegnazione alle aziende sanitarie del Veneto delle risorse finanziarie per l’anno 2005, la quale riportava le quote di finanziamento e, per la casa di cura Policlinico San Marco, alla voce «Pronto Soccorso/PPI» riportava «0», nulla prevedendo per l’anno 2005.
Tale delibera era pienamente coerente con la revoca del servizio, avvenuta con la delibera n. 96 del 2004, sicché per tale annualità mancavano «sia il provvedimento amministrativo di accreditamento, sia lo specifico accordo contrattuale, entrambi necessari per consentire di erogare prestazioni di pronto soccorso».
Inoltre, la Corte territoriale ha indicato che la quantificazione del corrispettivo era fondata sulla delibera n. 616 del 2002.
In realtà, nella nota di revoca del 23/7/2004 si evidenziava che la Regione non aveva fornito il parere richiesto e non aveva più
previsto il finanziamento in questione per l’anno 2004 con riferimento al pronto soccorso.
I finanziamenti, dunque, erano stati sospesi per il futuro, e non erano stati previsti per l’anno 2004.
La delibera del 23/7/2004 non era idonea a «surrogare il provvedimento di accreditamento e l’accordo contrattuale per l’erogazione della funzione».
Tra l’altro, la delibera n. 751 del 2005, pur prevedendo la possibile gestione del servizio di pronto soccorso diurno, aveva però rinviato ad un apposito protocollo.
L’omesso esame del fatto storico dovrebbe essere rinvenuto nella «esistenza, o meno, del protocollo inteso come accordo contrattuale ex art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992».
Il protocollo non era stato mai formalizzato, mancando dunque il contratto.
La Regione Veneto, anzi, avrebbe disposto che la centrale operativa del 118 non inviasse «presso il Policlinico alcun codice rosso o giallo».
Si precisava che «la tipologia di attività che può essere erogata (dalla casa di cura) è paragonabile per complessità a quella tipica di un Punto di Primo Intervento».
Solo una volta preso atto dell’impossibilità di addivenire allo specifico accordo previsto dalla delibera n. 751 del 2005, la ULSS e la casa di cura avevano sottoscritto un atto al fine di riassorbire personale e dare certezza un’attività che, nel contempo, «non andava resa poiché priva di autorizzazioni e non rispettosa degli standard di qualità».
Del tutto inconferente era il richiamo alla delibera regionale n. 616 del 2002, richiamata dalla Corte territoriale per confortare la determinazione del quantum spettante al Policlinico, avente ad
oggetto un anno (2002) e un oggetto (assistenza ospedaliera) «assolutamente avulsi dai fatti di causa».
Con il quarto motivo di impugnazione si deduce «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
In sostanza, sarebbe erronea l’affermazione della Corte d’appello relativa ad un’intesa raggiunta per lo svolgimento del servizio di pronto soccorso diurno, «in assenza del contratto e del riconoscimento di importi da parte della PA».
Non era vero che le ispezioni avrebbero riguardato esclusivamente la disponibilità dei posti letto di rianimazione, e neppure corrispondeva a verità che «sarebbe incontestato l’espletamento dell’attività nel periodo considerato».
La prima affermazione sarebbe contraddetta dalle prove documentali e testimoniali, che dimostravano non solo la mancanza di medici nelle ore notturne e il sabato e la domenica, ma pure l’assenza della pronta disponibilità del medico presso il laboratorio di analisi e radiologia nell’orario notturno e nei fine-settimana.
Sarebbe stato omesso del tutto l’esame del verbale di verifica ispettiva del 17/1/2005, oltre all’esame delle dichiarazioni testimoniali.
Tali elementi sarebbero serviti a dimostrare l’omessa attivazione del servizio di pronto soccorso.
Sull’effettiva prestazione del servizio la motivazione della Corte d’appello sarebbe del tutto apparente.
Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione del R.D. 18/11/1923, n. 2440, articoli 16 e 17, dell’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992, dell’art.
6 della legge 724/1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Si contesta l’affermazione della Corte d’appello che ha ritenuto dimostrato il quantum spettante alla società, in relazione alle fatture azionate in via monitoria come conformi con la delibera regionale n. 616 del 2002.
Tuttavia, mancherebbe il contratto, che era stato previsto espressamente nella delibera n. 751 dell’11/3/2005.
Il giudice non avrebbe neppure accertato l’assenza del provvedimento amministrativo di accreditamento.
Il titolo non potrebbe rinvenirsi neppure nella disciplina transitoria sull’accreditamento di cui alla legge n. 724 del 1996, art. 6, comma 6.
Con il 6º motivo di impugnazione si lamenta la «violazione e/o falsa applicazione del R.D. 18/11/1923 n. 2440, articoli 16 e 17, dell’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992, dell’art. 6 della legge n. 724/1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In assenza di un titolo contrattuale giustificativo (provvedimento di accreditamento da parte della Regione specifico contratto scritto), non sarebbe stato possibile attribuire alla struttura sanitaria alcuna somma, a prescindere dall’erogazione del servizio.
Fin dall’inizio, l’azienda sanitaria avrebbe dedotto l’inammissibilità e/o nullità dell’azione avversaria per indeterminatezza della causa petendi ».
Tutti gli atti regionali citati erano inconferenti per dimostrare un diritto di credito in capo alla casa di cura Policlinico San Marco.
La delibera n. 616 del 2002, richiamata nella motivazione della sentenza come pure nelle fatture, concerne i criteri e le modalità per la determinazione dei volumi di affari per il 2002.
La delibera n. 3223 dell’8/11/2002, riguardante la modifica delle schede di dotazione ospedaliera, era stata superata dalla delibera n. 97 del 2004, che aveva tolto la funzione di pronto soccorso in ragione delle gravi carenze riscontrate. La delibera n. 751 del 2005 concerneva il pronto soccorso diurno.
La necessità di «blindare la spesa pubblica nel settore sanitario non consentirebbe di interpretare in via analogica le delibere giustificative della domanda avversaria».
Con il settimo motivo di impugnazione si lamenta la «violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello ha compensato per 1/5 le spese di lite, comprese quelle della fase monitoria, condannando l’ULSS alla rifusione della restante parte.
L’auspicata cassazione della sentenza della Corte d’appello comporta una riforma anche in ordine ai compensi professionali e alle spese, sia del primo che del 2º grado di giudizio.
Con l’ottavo motivo di impugnazione si deduce «sulla domanda del Policlinico San Marco di condanna ex art. 2041 c.p.c.».
La Corte territoriale ha dichiarato assorbito il secondo motivo di appello principale del Policlinico, avente ad oggetto la domanda di arricchimento senza causa.
Tuttavia, la comprovata mancanza di autorizzazione ed accreditamento alla funzione non consentirebbe di avvalersi dei rimedi messi a disposizione dal legislatore, presupponente pur sempre l’espletamento di prestazioni legittime.
La domanda di indebito arricchimento sarebbe stata dedotta per la prima volta in comparsa di costituzione risposta, essendo inammissibile, in quanto la casa di cura su era costituita dinanzi al tribunale alla prima udienza del 14/3/2008, in violazione degli articoli
166 e 167 c.p.c., che consentivano al convenuto di formulare domande riconvenzionali solo nel caso di costituzione almeno 20 giorni prima dell’udienza di prima comparizione.
Anzitutto, si rileva che non si è formato il giudicato esterno in relazione alla insussistenza dell’accreditamento e del contratto per l’anno 2005 (da gennaio 2005 ad ottobre 2005), a seguito delle ordinanze di questa Corte, tra le stesse parti, con le quali è stato rigettato il ricorso per cassazione del Policlinico San Marco, in ordine all’anno 2004.
Infatti, con l’ordinanza n. 5867 del 2023 questa Corte si è occupata del periodo da gennaio ad ottobre 2004, confermando la sentenza della Corte di appello di Venezia, che aveva rigettato il gravame della società.
Con l’ordinanza n. 5873 del 2023 questa Corte si è occupata del periodo da novembre a dicembre del 2004, anche in questo caso confermando la sentenza della Corte di appello di Venezia, che aveva rigettato il gravame della società.
Trattasi, infatti, di un anno diverso (il 2004) rispetto all’anno in contestazione in questa sede (2005), con esame da parte di questa Corte, in quei processi, delle motivazioni delle sentenze della corti di merito che si fondavano, almeno, in parte su documentazione diversa.
Ed infatti, si soffermavano i giudici di merito, in quella sede su: sopralluogo eseguito in data 1/4/2003; lettere della Direzione dell’1/5/2005 e del 3/7/2005.
Tutti i documenti tendevano alla dimostrazione della sussistenza dell’accordo e dell’accreditamento per il servizio di Pronto Soccorso diurno nel 2004.
Non viene, però, presa in considerazione la delibera n. 3456 del 15/11/2005.
Insomma, poiché i requisiti costituiti dalle tre A (autorizzazioni, accredito, accordo) vanno accertati per ciascuna annualità, non può valere in questa sede il giudicato formatosi per l’anno precedente (anno 2004).
Il primo motivo è infondato.
10.1. Proprio dagli atti processuali richiamati dalla ricorrente emerge che la società RAGIONE_SOCIALE San Marco, sin dall’inizio ha chiesto il pagamento delle prestazioni effettivamente erogate, anche in relazione al servizio di pronto soccorso diurno.
Non v’è stata, dunque, alcuna mutatio libelli in sede d’appello.
Ed infatti, nel ricorso per decreto ingiuntivo depositato il 6/7/2007, trascritto in parte dalla ricorrente, il Policlinico aveva richiamato inizialmente la delibera n. 3223 dell’8/11/2002 con cui era stato istituito il servizio di pronto soccorso di 24 ore.
Successivamente, però, la casa di cura ha indicato, nel ricorso per decreto ingiuntivo, proprio le delibere relative al servizio di pronto soccorso solo diurno.
Si legge, infatti, nel ricorso per decreto ingiuntivo che «con la deliberazione n. 751 del 11/3/2005 la Giunta Regionale ha modificato le schede di dotazione ospedaliera di cui alla L. 39/1993 già approvate con DGR 3223/02, prevedendo, relativamente alla casa di Cura Policlinico San Marco, la modifica della funzione di pronto soccorso di 24 ore in pronto soccorso diurno gestito dalla casa di cura stessa con la direzione dell’azienda ULSS n. 12, secondo apposito protocollo da definire dalle parti».
Sempre nell’ambito del ricorso per decreto ingiuntivo si chiariva che «non si è mai addivenuto ad alcun accordo che con DGRV n. 3456 del 15/11/2005 la giunta regionale del Veneto, vista l’impossibilità di trovare un accordo sulla trasformazione del pronto soccorso da 24 ore a diurno, provvedeva a formalizzare in data
28/9/2005 la chiusura del servizio di pronto soccorso a decorrere dal 1/11/2005 che la casa di cura Policlinico San Marco, non essendo nulla mutato, ha continuato a svolgere l’attività di pronto soccorso 24 ore».
Non v’è stata, dunque, alcuna modificazione della domanda, in quanto già nel ricorso per decreto ingiuntivo si faceva espresso riferimento all’espletamento del servizio di pronto soccorso solo diurno.
Del resto, si tratterebbe al più, di una limitazione della originaria domanda di pagamento, maggiormente circoscritta, non più allargata al servizio di pronto soccorso H24, ma ridotta servizio di pronto soccorso solo diurno.
11. Il secondo motivo è infondato.
Per la ricorrente, infatti, la casa di cura San Marco non avrebbe censurato il capo della sentenza di prime cure, con cui era stata rigettata la richiesta di pagamento in relazione al servizio di pronto soccorso H24.
In realtà, però, dalla stessa sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 3493 del 4/9/2019 emerge il contenuto del primo motivo di appello principale della società.
Quest’ultima, infatti, ha dedotto, censurando la sentenza di prime cure, che non vi era stata alcuna revoca del servizio di pronto soccorso ma una rinnovazione dell’accreditamento con la delibera n. 751 dell’11/3/2005, con riferimento proprio al servizio di pronto soccorso diurno.
Tale servizio era stato chiuso solo con la delibera n. 3456 del 15/11/2005, a far data dal 1/11/2005, proprio attraverso la prevista trasformazione in servizio di pronto soccorso diurno.
La delibera n. 3456 del 15/11/2005 aveva fissato anche le risorse annue in euro 1.500.103,87, garantendo così il finanziamento per l’attività di pronto soccorso diurno.
Si legge espressamente nella sentenza di secondo grado, riportando il primo motivo di appello principale della casa di cura, che la stessa «assume ancora che il secondo di detti provvedimenti (con il quale fu prevista la sola trasformazione in ‘ Pronto Soccorso diurno’), evidenzia come la Regione, ancora nel marzo del 2005, e dunque dopo il sopralluogo del 2003, che avrebbe rilevato le carenze organizzative menzionate dall’appellata, continuava a considerare la casa di cura una struttura idonea ad esercitare il servizio di Pronto Soccorso, che l’accreditamento era dunque rimasto in vigore sia pure per il solo servizio diurno».
I motivi terzo, quarto, quinto e sesto, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
12.1. In realtà, la ricorrente seppur adombrando una violazione di disposizioni legislative, come pure l’omesso esame di un fatto decisivo, in realtà chiede una nuova valutazione di tutti gli elementi istruttori, già compiutamente valutati dal giudice di merito, non consentita in questa sede.
La Corte d’appello, con motivazione analitica di tutti gli elementi istruttori indicati dei motivi di ricorso per cassazione ha ritenuto che in realtà il servizio di pronto soccorso non era mai stato effettivamente sospeso, trovandosi in regime di pre-accreditamento.
Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza d’appello che «la documentazione versata in atti, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, evidenzia come il servizio di pronto soccorso svolto in pre-accreditamento dalla odierna appellante non fu mai sospeso e,
semmai, come prospettato dall’appellante, trasformato in servizio diurno».
La Corte di merito prende poi in considerazione gli elementi documentali e, in particolare la delibera di revoca n. 96 del 23/7/2004, la successiva delibera regionale n. 751 dell’11/3/2005 e la delibera regionale n. 3456 del 15/11/2005.
In particolare, la delibera di revoca del 23/7/2004 in realtà ha provveduto solo ad una sospensione dei finanziamenti, in attesa dell’esito delle comunicazioni del provvedimento agli organi regionali.
Per la Corte territoriale, infatti «una siffatta revoca trova poi smentita nei successivi provvedimenti che convalidano la tesi dell’appellante circa una trasformazione del pronto soccorso dalle 24 ore in pronto soccorso diurno».
Tanto è vero si precisa in motivazione che «la comunicazione in pari data (23/7/2004) dell’Azienda sanitaria nella quale si fa riferimento alla sospensione dei soli finanziamenti (e in conseguenza dei pagamenti) in attesa delle determinazioni che gli organi regionali avrebbero dovuto adottare a seguito verifiche eseguite sulla funzionalità del servizio, che peraltro evidenziarono carenze con riguardo alla sola disponibilità dei posti di rianimazione».
Con la delibera n. 751 del l’11 del 2005 è stata approvata la modifica delle schede di dotazioni, proprio in ragione del servizio di pronto soccorso diurno («Ne è prova ancora più la successiva delibera n. 751 dell’11/3/2005, ove si provvede ad approvare le modifiche alle schede di dotazioni ospedaliera di varie Aziende e Enti convenzionati (tra i quali la casa di cura San Marco) e nel cui allegato si menziona, per la appellante, il servizio di ‘pronto soccorso diurno’».
Solo con la delibera n. 3456 del 15/11/2005, una volta formalizzato l’accordo il 28/9/2005, ha determinato la chiusura del servizio di pronto soccorso diurno a partire però dal 1/11/2005, mentre nel frattempo le prestazioni erano state rese.
Anche in questo caso, è del tutto esauriente la motivazione della sentenza della Corte di merito, laddove chiarisce che «ne è prova infine, e soprattutto, la delibera n. 3456 del 15/11/2005 ove la Regione dà conto di aver formalizzato, solo in data 28/9/2005, l’accordo ‘di procedere alla chiusura del Servizio di Pronto Soccorso diurno’ a decorrere dal 1/11/2005».
Proprio sulla scorta di tali documenti, esaminati in modo analitico, la Corte d’appello conclude nel senso che «tali evidenze documentali, unitamente all’incontestato espletamento dell’attività nel periodo considerato, non lasciano dunque alcun dubbio e convalidano la tesi della casa di cura circa la trasformazione, successivamente alle verifiche ricordate, del pronto soccorso delle 24 ore in pronto soccorso diurno e della sua (concordata) cessazione a far data (solo) dal 1/11/2005, con la conseguenza che il richiesto pagamento delle prestazioni è sicuramente dovuto».
Nella motivazione si fa anche riferimento, in ordine alla determinazione del quantum , nonostante le generiche contestazioni dell’azienda sanitaria, alla conformità delle fatture azionate in via monitoria «ai criteri previsti per la liquidazione dei corrispettivi dalla DGRV n. 616/2002».
Insomma, non sussiste l’omesso esame di fatti decisivi contestato, avendo la Corte d’appello motivato in ordine alle delibere n. 96 del 29/7/2004, n. 751 dell’11/3/2005, n. 3456 del 15/11/2005, n. 616 del 2002.
La Corte di merito ha anche accertato, con piena valutazione meritale, il fatto che, come risultava incontestato, l’esercizio di
pronto soccorso diurno era stato comunque effettivamente espletato.
Allo stesso modo, ha anche accertato, con pieno giudizio di merito, che i verbali di verifica ispettiva avevano riscontrato esclusivamente delle carenze «con riguardo alla sola disponibilità dei posti di rianimazione».
Risultano poi del tutto infondati i motivi che radicano gli errori asseritamente commessi dalla Corte d’appello, nell’assenza di un contratto scritto, in quanto non sarebbe mai stato stipulato il protocollo d’intesa per la trasformazione del servizio di pronto soccorso H24 in servizio di pronto soccorso diurno, oltre che nell’assenza di un provvedimento di accreditamento regionale, oltre che all’inapplicabilità della disciplina transitoria in materia di accreditamento provvisorio di cui alla legge n. 724 del 1996, art. 6, comma 6.
Invero, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui i contratti con la pubblica amministrazione devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità (Cass., 4 giugno 1999, n. 5448), non essendo consentita alcuna eventuale convalida o ratifica successiva (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59).
Si è ritenuto, dunque, che, soprattutto in presenza di accordi specifici complessi con la pubblica amministrazione, la forma scritta sia assolutamente necessaria, «soprattutto al fine di rendere possibili i controlli istituzionali dell’autorità tutoria» (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59, in tema di appalto pubblico; Cass., sez. 2, 30 maggio 2002, n. 7913, in tema di conferimento di incarichi a professionista; di recente Cass., sez. 2, 27 marzo 2023, n. 8574).
La forma scritta, allora, va vista come strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della PA, sia nell’interesse dei cittadini, in quanto costituisce remora ad arbitri,
sia nell’interesse della stessa amministrazione, in quanto agevola l’espletamento della funzione di controllo e la concreta osservanza dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 12 luglio 2001, n. 9428; anche Cass., sez. 3, 24 giugno 2002, n. 9165).
Per tali contratti, allora, non solo deve escludersi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (Cass., sez. 3, 3 agosto 2002, n. 11649), ma deve ritenersi che, salvo le ipotesi in cui specifiche norme lo consentano, il contratto deve essere consacrato in un unico documento nel quale siano specificamente indicate le clausole disciplinanti rapporto. La volontà della PA di concludere il negozio deve essere manifestata alla controparte dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, che è il solo abilitato a stipulare in nome e per conto di questo, e ad essere perciò munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione per la quale si obbliga (Cass. n. 59 del 2001, cit.; anche Cass., sez. 2, 6 dicembre 2001, n. 15488).
16. Con riferimento all’accreditamento, anche temporaneo o provvisorio, delle società che svolgono prestazioni a favore del servizio sanitario nazionale, valgono le regole di cui agli articoli 8,8bis , 8quater , e 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992.
16.1. L’art. 8bis (autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali) del d.lgs. n. 502 del 1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) stabilisce che «le regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui all’art. 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’art.
8quater , nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
È evidente, come, ai fini del riconoscimento della remunerazione delle prestazioni, siano necessari tre requisiti: l’autorizzazione regionale (art. 8ter ); l’accreditamento (art. 8quater ); la conclusione di specifici accordi (art. 8-q uinquies ).
16.2. L’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 (Accreditamento istituzionale), nella versione in vigore a decorrere dal 31 luglio 1999, prevede al comma 1 che «l’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla Regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale ed alla verifica positiva dell’attività svolta e dei risultati raggiunti».
Al comma 2, si chiarisce che «la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
Nella norma si fa riferimento anche all’accreditamento «temporaneo» ed a quello «provvisorio», di cui si tratterà meglio successivamente, nella parte di motivazione dedicata all’accreditamento ex lege .
Si prevede, dunque, al comma 6 dell’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 che «entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, le regioni avviano il processo di accreditamento delle strutture temporaneamente accreditate ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e delle altre già operanti ».
Al comma 7 dell’art. 8quater , si precisa che «nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati. L’eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell’accreditamento temporaneamente concesso».
16.3. Di fondamentale rilievo e poi l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 102 del 1992 (accordi contrattuali), che prevede al comma 2 che, «in attuazione di quanto previsto dal comma 1, la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale ».
Va rilevato che, l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992, in vigore dal 22 agosto 2008, prevede al comma 2quinquies che «in caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del servizio sanitario nazionale interessati è sospeso».
17. Questa Corte ha chiarito che l’obbligo per la struttura privata, già titolare di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978, di stipulare apposito contratto in forma scritta con la ASL territorialmente competente sussiste anche durante il regime di accreditamento provvisorio o transitorio; con esso, per un verso, la struttura accetta e si vincola a rispettare le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili alla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno di esercizio; per l’altro,
l’ente pubblico assume l’obbligazione di pagamento dei corrispettivi in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa (Cass. sez. 3, 5 luglio 2018, n. 17588; Cass., sez. 6-3, 3 giugno 2014, n. 12392).
Pertanto, ha trovato conferma l’indirizzo giurisprudenziale per cui nessuna erogazione di prestazione sanitaria finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli specifici rapporti contrattuali (Cass., 25 gennaio 2011, n. 1740; Cass., 19 novembre 2015, n. 23657).
Il principio regolatore dell’attività svolta in regime «transitorio», al pari di quella svolta «a regime», è fondato infatti sulla remunerabilità delle prestazioni rese dal soggetto accreditato, che è però condizionata alla necessaria sottoscrizione di specifici accordi, anche nella fase dell’accreditamento provvisorio (o transitorio), per cui, a maggior ragione, è essenziale un esplicito intervento dell’amministrazione sanitaria per modificare la situazione già oggetto di confezionamento, al fine dell’inserimento nella programmazione sanitaria regionale e conseguente incidenza sul fondo sanitario regionale (Cass., n. 17588 del 2018).
Si è ulteriormente chiarito che non può essere condivisa la tesi per cui, in mancanza degli atti amministrativi necessari a rendere effettivo il passaggio dal regime delle convenzioni a quello dell’accreditamento della Regione Campania, si sarebbe instaurata una prassi basata sulla prosecuzione del fatto del regime di
accreditamento provvisorio sulla conclusione di accordi contrattuali per facta concludentia .
In realtà, l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della legge n. 724 del 1994, nel prevedere la necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio, comporta che non può essere posto a carico delle regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca come sicura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del servizio e l’ammontare dei corrispettivi, dovendosi, in ogni caso, escludere, ai sensi dell’art. 8-quinquies del citato d.lgs. n. 502 del 1992, che possono validamente concludersi accordi contrattuali per facta concludentia , atteso che, in base al disposto degli articoli 16 e 17 del regio decreto n. 2440 del 1923, tutti i contratti con la PA devono rivestire, a pena di nullità, la forma scritta (Cass., sez. 1, 4 marzo 2024, n. 5682; Cass., sez. 1, 15 marzo 2022, n. 8383; Cass., sez. 3, 11 marzo 2020, n. 7019; Cass., sez. 1, 6 agosto 2014, n. 1771; Cass., 3 giugno 2014, n. 12392; Cass., sez. 1, 26 marzo 2009, n. 7297;Cass., sez. 3, 12 aprile 2006, n. 8621), non rilevando comportamenti concludenti anche protrattisi per anni (Cass., sez. 63, 23 giugno 2011, n. 13886).
Fatta questa premessa del quadro normativo e giurisprudenziale, in tema di requisiti per il conseguimento del pagamento delle prestazioni sanitarie, occorrendo il triplice requisito costituito da autorizzazione, accreditamento e contratto (la tripla A), si evidenzia, in primo luogo, la sussistenza del sopravvenuto giudicato interno, sia con riferimento all’avvenuta stipula dei
contratti – validi ed efficaci -, sottesi alle prestazioni per cui è causa, sia in ordine alla sussistenza dell’accreditamento.
18.1. Ed infatti, la società, sin dal ricorso per decreto ingiuntivo, trascritto dalla azienda sanitaria ricorrente a pagina 13 del ricorso per cassazione, emerge che la richiesta della casa di cura San Marco era fondata sulla originaria delibera n. 3223 dell’8/11/2002 per lo svolgimento del servizio di pronto soccorso H24 fino al 2004. La Giunta della Regione Veneto aveva dunque confermato la funzione del pronto soccorso di 24 ore. La società ha poi fatto riferimento alla successiva delibera n. 751 dell’11/3/2005 con cui la giunta regionale aveva modificato le schede di dotazione ospedaliera di cui alla legge 39 del 1993 già approvate con delibera regionale n. 3223 del 2002, prevedendo la modifica della funzione di pronto soccorso di 24 ore in pronto soccorso diurno. Si era poi chiarito che non era stato stipulato il protocollo tra le parti, ma con la successiva delibera n. 3456 del 15/11/2005 la giunta regionale del Veneto, vista l’impossibilità di trovare un accordo sulla trasformazione del pronto soccorso da 24 ora diurno, aveva formalizzato in data 28/9/2005 la chiusura del servizio di pronto soccorso a decorrere dall’1/11/2005.
Si era chiarito nel ricorso che «la casa di cura Policlinico San Marco, non essendo nulla mutato, ha continuato a svolgere l’attività di pronto soccorso 24 ore».
A fronte di tali specifiche allegazioni, che dunque presupponevano l’esistenza sia del contratto scritto, muovendosi dalla originaria delibera regionale n. 3223 dell’8/11/2002, sia dell’accreditamento, l’azienda sanitaria (cfr. pagina 5 del ricorso per cassazione) si era limitata a contestare che «la funzione di Pronto Soccorso di 24 ore era stata revocata dalla Regione Veneto con DGRV 96 del 23/7/2004 a causa delle gravi carenze organizzative e strutturali riscontrate», aggiungendo che «la Regione Veneto con la
DGRV 3791 del 6/12/05 non aveva previsto alcun finanziamento funzione per il 2005 a favore della società privata, relativamente al RAGIONE_SOCIALE».
Il tribunale di prime cure aveva rigettato la domanda della casa di cura in assenza di finanziamenti, non rinvenibili né nella delibera regionale n. 1723 del 2004, né nella delibera regionale n. 3791 del 2005.
Non si faceva però riferimento all’assenza del contratto scritto in relazione al servizio di pronto soccorso, né all’assenza dell’accreditamento, nella specie provvisorio trattandosi di regime transitorio.
A seguito dell’appello principale proposto dalla casa di cura San Marco, con cui si è evidenziato, non solo l’assenza di una revoca del servizio di pronto soccorso, ma anche il rinnovato accreditamento con la delibera regionale n. 751 dell’11/3/2005, l’azienda sanitaria ha proposto appello incidentale, senza però mai contestare l’assenza del contratto scritto e la mancanza di accreditamento provvisorio.
L’appello incidentale dell’azienda sanitaria si è incentrato esclusivamente su due motivi: l’indeterminatezza della domanda nella sua causa petendi , ove non sarebbe stato indicato il titolo posto a fondamento della richiesta, mancando la delibera regionale distanziamento per l’anno 2005; la non spettanza degli interessi dal momento di emissione delle singole fatture.
Pertanto, è pacifico, in quanto la circostanza non è stata mai oggetto di specifica contestazione tra le parti, che sia stato stipulato il contratto. L’unica divergenza tra le parti atteneva alla stipulazione del protocollo integrativo in base alla delibera regionale n. 751 dell’11 del 2005.
Quanto all’esistenza o meno dell’accreditamento provvisorio per l’anno 2005 (periodo gennaio-ottobre 2005), emerge, anche in
questo caso, la sussistenza del giudicato interno, in quanto mai, prima del ricorso per cassazione, vi era stata alcuna contestazione da parte dell’Asl del mancato accreditamento in capo alla società.
Tra l’altro, a prescindere dalla sussistenza del giudicato interno, del tutto pacifica, si rileva che per l’anno in contestazione (2005, periodo dal gennaio all’ottobre del 2005), poiché la Casa di Cura San Marco apparteneva già al regime di convenzionalmente, non v’era alcuna necessità di richiedere un espresso provvedimento regionale di accreditamento, sussistendo un regime di accreditamento provvisorio ex lege , prodottosi in via automatica.
21.1. Ed infatti, l’art. 6, comma 6, della legge 23/12/1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), prevede che «a decorrere dalla data di entrata in funzione del sistema di pagamento delle prestazioni sulla base di tariffe predeterminate dalla regione cessano i rapporti convenzionali in atto ed entrano in vigore i nuovi rapporti fondati sull’accreditamento, sulla remunerazione delle prestazioni e sull’adozione del sistema di verifica della qualità previsti all’art. 8, comma 7, del d.lgs. 30 dicembre 1992,n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni. La facoltà di libera scelta da parte dell’assistito si esercita nei confronti di tutte le strutture ed i professionisti accreditati dal servizio sanitario nazionale in quanto risultino effettivamente in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente ed accettino il sistema della remunerazione a prestazione. Fermo restando il diritto all’accreditamento delle strutture in possesso dei requisiti di cui all’art. 8, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, per il biennio 1995-1996 l’accreditamento opera comunque nei confronti dei soggetti convenzionali e dei soggetti eroganti prestazioni di alta specialità in regime di assistenza indiretta regolata da leggi regionali alla data di entrata in vigore del
citato d.lgs. n. 502 del 1992, che accettino il sistema della remunerazione a prestazione sulla base delle cifre tariffarie».
Insomma, si è in presenza di una sorta di accreditamento automatico, ex lege , temporaneo, per le società che facevano parte dei rapporti convenzionali in atto al momento di entrata in vigore della legge n. 724 del 1994.
22. Sul punto si è espressa anche la Corte costituzionale (Corte cost., sentenza n. 416 del 1995) in quanto la Regione Piemonte aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale proprio con riferimento all’art. 6, comma 6, della legge n. 724 del 1994 «il quale allargherebbe a dismisura il panorama degli enti erogatori ammessi a far parte del servizio sanitario nazionale ed in ordine ai quali si esercita la facoltà di scelta del cittadino», conseguendone – ad avviso del giudice a quo – una fortissima espansione dei soggetti erogatori di prestazioni sanitarie».
La Corte costituzionale ha invece ritenuto che «viene riconosciuto un ‘diritto all’accreditamento delle strutture in possesso dei requisiti di cui all’art. 8, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni’, escludendo in radice una scelta ampiamente discrezionale ed ancorando l’accreditamento al possesso di requisiti prestabiliti ‘strutturali, tecnologici e organizzativi minimi, a tutela della qualità e della affidabilità del servizio-prestazioni, in modo uniforme a livello nazionale per le strutture erogatrici), stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento emanato d’intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome».
Inoltre, prosegue la Corte costituzionale nella sentenza n. 416 del 1995, «in via transitoria per il biennio 1995-1996 l’accreditamento avviene automaticamente (come forma di conversione del rapporto in atto, ma sempre a seguito di
procedimento regionale, comportante ricognizione e verifica) per gli attuali soggetti (pubblici e privati) che forniscono le prestazioni (sulla base di preesistenti determinazioni regionali), cioè oltre le strutture pubbliche e i soggetti eroganti le prestazioni in base a convenzioni o eroganti prestazioni ad alta specialità in regime di assistenza indiretta».
Chiosa la Corte costituzionale nel senso che ciò avviene «all’unica condizione della accettazione del sistema (nuovo) della remunerazione a prestazione sulla base di tariffe».
Chiarisce ancora la Corte costituzionale che «l’accreditamento, una volta effettuato da organo regionale, non esclude, ma anzi presuppone il potere-dovere della regione di svolgere i controlli e le verifiche che i soggetti accreditati permangano ‘effettivamente in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente’ ed osservino l’obbligo assunto di accettare il sistema della remunerazione a prestazione», persistendo dunque «il potere di controllo e la verifica da parte della regione».
22.1. Tra l’altro, la disciplina è stata anche integrata dalla legge Regione Veneto n. 22 del 16/8/2002 che, all’art. 22 (Norme transitorie e finali e di abrogazione) prevede che «sino all’approvazione dei provvedimenti della giunta regionale di cui all’art. 10 , l’esercizio dell’attività sanitaria e socio-sanitaria in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo e/o diurno, in regime ambulatoriale per l’erogazione di prestazioni specialistiche, nonché in regime residenziale extra-ospedaliero a ciclo continuativo e/o diurno, di carattere estensivo intensivo, continua ad essere disciplinato dalla normativa vigente all’entrata in vigore della presente legge».
Il comma 6 dell’art. 22 della legge Regione Veneto n. 22 del 2002, sancisce che «nelle more dell’applicazione del provvedimento per l’accreditamento previsto dall’art. 15 , provvisoriamente sono accreditate le strutture pubbliche in esercizio alla data dell’entrata in vigore della presente legge e le strutture private che risultino provvisoriamente accreditate ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 26 dicembre 1994, n. 724 ‘Misure di razionalizzazione della finanza pubblica’».
23. Il settimo motivo è infondato.
La Corte d’appello ha correttamente compensato le spese tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza, pur tenendo conto che l’appello principale era stato integralmente accolto, mentre era stata accolto esclusivamente il secondo motivo di appello incidentale, in relazione al momento di decorso degli interessi, sancito, non più in base alla data di emissione delle singole fatture, ma dalla notifica del decreto ingiuntivo al saldo.
Per questa Corte, infatti, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass., sez. 5, 19/6/2013, n. 15317).
24. L’ottavo motivo è assorbito, essendo stato riconosciuto il diritto al compenso in favore della casa di cura San marco in base al contratto stipulato ed all’accreditamento provvisorio.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 aprile 2025