Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5636 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5636 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2487-2023 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. 2487/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 03/12/2024
CC
avverso la sentenza n. 600/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/11/2022 R.G.N. 283/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 714/2013, ha riformato la decisione del Tribunale di Venezia n. 1090/2010, che aveva accolto le opposizioni di ACTV S.p.A. contro i decreti ingiuntivi ottenuti da ventuno lavoratori per il pagamento di differenze retributive e del TFR.
Le somme riconosciute in fase monitoria costituivano ulteriori rivendicazioni rispetto a quelle ottenute dai lavoratori in seguito alla definizione transattiva di un precedente giudizio volto all’accertamento di rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
La Corte d’Appello, sul rilievo che l’accordo transattivo del 2007 non fosse stato adempiuto integralmente dal datore di lavoro, e che residuassero ragioni di credito in favore dei lavoratori, ha rigettato le opposizioni di ACTV.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 4078/2019, ha cassato la sentenza n. 714/2013, ritenendo fondati i motivi di ricorso formulati da ACTV relativi alla violazione dei principi di interpretazione contrattuale, e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Venezia per un nuovo esame, indicando i principi di diritto da applicare nell’interpretazione dell’accordo transattivo.
A seguito del rinvio, la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 600/2022, ha confermato l’integrale adempimento dell’accordo da parte di ACTV e respinto le pretese dei lavoratori, valorizzando il comportamento successivo delle parti e la manifestazione di acquiescenza da parte dei lavoratori dopo la ricezione delle somme concordate.
Per la cassazione della predetta sentenza propongono ricorso 15 lavoratori, articolando due motivi. ACTV resiste con controricorso, sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza delle censure proposte. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., i lavoratori denunciano la violazione degli artt. 1362 e segg. c.c. e 384 c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello non avrebbe correttamente applicato il principio espresso dalla sentenza di rinvio che aveva incaricato la corte territoriale , per colmare le lacune della motivazione resta della sentenza cassata, di svolgere un esame nel merito spiegando le ragioni che nel caso concreto avevano condotto a un’interpretazione difforme dalla precedente. Avrebbe invece errato la Corte d’appello valorizzando la rinuncia alle domande intervenuta in sede di appello, in relazione all’accordo transattivo del 2007, attribuendo all’importo forfettario di € 10.000 un valore omnicomprensivo, nonostante l’accordo prevedesse ulteriori obblighi di ricostruzione della carriera e della retribuzione, dalla data di assunzione. Si dolgono segnatamente i ricorrenti che aderendo alla decisione di primo grado e valorizzando la congruità della somma di euro 10.000 (in relazione alla domanda di Lire 4.000.000, che era solo una delle domande formulate), la corte avrebbe omesso ogni valutazione comparativa tra le somme versate e le pretese originarie.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., i ricorrenti lamentano l’error in procedendo in cui sarebbe incorsa la corte, con una motivazione incomprensibile e fuorviante, che non renderebbe conoscibile il ragionamento
seguito. Avrebbe errato la Corte affermando il principio dell’interpretazione degli atti nel senso meno gravoso per la società obbligata sfuggendo alla risoluzione delle questioni interpretative poste dalla Corte di cassazione.
7. Il ricorso è infondato.
7.1. Il primo motivo di ricorso è infondato. La doglianza dei ricorrenti si basa sull’assunto che l’accordo transattivo e l’atto di rinuncia agli atti del giudizio dovrebbero essere interpretati autonomamente, e che in particolare la Corte d’Appello avrebbe attribuito all’accordo transattivo del 2007 un significato estensivo, includendo anche le differenze retributive maturate nel periodo del rapporto di lavoro a termine.
Orbene, questa corte ha da tempo chiarito come il ricorso per cassazione -riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo – laddove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata non può assumere tutti contenuti di cui quel modello è suscettibile, dov endo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (Cass. n. 18375 del 2006, Cass. n. 12360 del 2014).
La Corte d’Appello, nel caso di specie, ha rispettato i principi di diritto indicati dalla sentenza di rinvio della Cassazione, interpretando l’accordo secondo il suo tenore letterale, considerando la rinuncia agli atti come conferma della volontà di definire integralmente la controversia, e attribuendo rilievo,
oltre a ciò, al comportamento successivo delle parti, confermativo dell’adesione integrale alle condizioni transattive (rinuncia agli atti processuali, avvenuta a distanza di 11 mesi dalla stipula dell’accordo e dall’incasso delle somme, valorizzata come elemento indicativo di una volontà definitiva di transigere ogni pretesa)
La censura sulla mancata considerazione della ricostruzione della carriera e della retribuzione appare priva di fondamento. La corte ha valorizzato come con busta paga di giugno 2007 fu riconosciuto lo scatto di anzianità.
A fronte di tale ragionamento le doglianze dei ricorrenti contrappongono alla interpretazione sviluppata logicamente dalla Corte di appello, senza alcuna violazione delle norme indicate, una diversa interpretazione.
3.2. Il secondo motivo di ricorso, di violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il profilo della carenza di motivazione non è fondato. L’errore denunciato dai ricorrenti non rientra nelle ipotesi di nullità della sentenza delineate dalla giurisprudenza di legittimità, ovvero: mancanza assoluta di motivazione, motivazione apparente, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile. (cfr., tra le altre, Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016);
La decisione impugnata ha esaminato e deciso nel merito la questione, fornendo una motivazione congrua e logica, che non si presta alle censure mosse dai ricorrenti.
All’evidenza si tratta di censure di merito che attengono alla ricostruzione della vicenda storica quale svolta dalla Corte di Appello ed alla valutazione del materiale probatorio operata dalla medesima, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito,
non ammissibile nella presente sede di legittimità. Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 3 dicembre