Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24395 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24395 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 696/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da se medesimo e dall’ avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresenta e dife sa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 47325/2018 depositata il 06/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.il Tribunale di Milano, con ordinanza n.5044 del 2020, accoglieva l’opposizione proposta dalla BANCA DI RAGIONE_SOCIALE MILANORAGIONE_SOCIALE contro il decreto ingiuntivo emesso a favore
dell’avv. COGNOME per crediti relativi a tre prestazioni professionali indicate nell’ordinanza stessa.
La Banca opponente aveva allegato il perfezionamento, in data 11.4.2013 e in data 29.4.2015, di due convenzioni tariffarie che sostituivano ogni precedente accordo. Nell’accordo del 29.4.2015 era previsto che la Banca ‘facendo seguito all’incontro del ( … ) è stato concordato l’ammontare residuo pari a €836.833,32 dei compensi spettanti all’avvocato NOME COGNOME per l’attività svolta fino al 30/6/2014 per le pratiche affidate dalla BCC e che riguardano tutte le posizioni che non sono disciplinate dalla convenzione e di cui all’allegato elenco. Le parti reciprocamente stabiliscono le seguenti condizioni: la BCC si impegna a pagare all’Avv. COGNOME, in tre anni, l’ammontare residuo dei compensi per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, indicati nell’elenco allegato e aggiornato al 30 marzo 2015, per un residuo di € 599.828,22 salvo errori o omissioni. L’Avv. COGNOME si impegna ad effettuare una riduzione del 25% sull’ammontare indicato nell’elenco allegato per l’attività svota fino al 30/6/2014 ( … ). L’Avv. NOME COGNOME per l’attività svolta successivamente al 30/06/2014 si impegna ad applicare le tariffe di cui alla convenzione del 11/04/2013 con avvocati fiduciari della RAGIONE_SOCIALE di SESTO SAN GIOVANNI predisposta da RAGIONE_SOCIALE e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12/06/13′.
L’avv. COGNOME aveva eccepito di non aver sottoscritto alcun accordo sui compensi successivamente a quello concluso nel 16 dicembre 1996 secondo cui i compensi sarebbero stati calcolati secondo ‘le tariffe professionali dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori’ e che, in ogni caso, la clausola delle convenzioni allegate da controparte violava l’art.13 bis della legge professionale forense, derogando all’equo compenso e ai parametri fissati dal D.M. n. 55/2014, e avrebbe dovuto essere pertanto ritenuta nulla.
Il Tribunale ha affermato che l’accordo del 2013 non era stato concluso posto che l’avvocato, dopo aver ricevuto lo schema di convenzione tariffaria, aveva, con lettere del 12 e del 13 giugno 2013, richiesto modifiche e che queste ultime erano state rifiutate dalla Banca, con comunicazione del 18.6.2013; che l’accordo del 2015 doveva essere interpretato nel senso che la previsione per cui la Banca avrebbe pagato € 599 .828,22 per le prestazioni svolte dall’avvocato fino al 30/6/2014 si riferiva non alle sole prestazioni indicate nell’elenco allegato all’accordo (e diverse da quelle oggetto del giudizio), come sostenuto dall’avvocato, ma a tutte le prestazioni svolte fino a quella data, come era dato desumere sia dalla formula ‘… per l’attività svolta fino al 30/6/2014’ sia dal fatto che tale attività viene indicata come quella ‘nell’elenco allegato…’ ma ‘con l’aggiunta <>’ che ‘rende evidente come le parti avessero inteso fare riferimento a tutti i compensi maturati dall’avvocato per l’attività svolta fino al 30.6.2014 anche se riguardanti pratiche erroneamente non riportate nell’elenco così da escludere nel futuro pretese di compensi da parte del legale per pratiche ulteriori in relazione alle quali nessuna riserva è contenuta nell’accordo’; che la tesi interpretativa dell’avvocato, oltre a scontrarsi con la formula ‘salvo errori o omissioni’, era contraria a buona fede tenuto conto del fatto che l’accordo era stato ‘redatto’ dall’avvocato il quale, essendo a conoscenza delle pratiche seguite fino al 30.6.2014, era in grado di stabilire ‘l’entità dei compensi da lui maturati alla data del 30.6.2014, di modo che la quantificazione del credito residuo alla data del 30.6.2014 dovette necessariamente tenere conto di tutta l’attività prestata e del complessivo residuo compenso’; che, per le pratiche svolte dopo il 30.6.2014, all’avvocato dovevano essere liquidati compensi secondo le tariffe della convenzione del 2013 richiamate nell’accordo del 2015; che l’eccezione di nullità delle pattuizioni tariffarie rispetto all’art. 13 bis della legge
professionale forense era infondata trattandosi di disposizione non applicabile al caso di specie, ratione temporis; che, al contrario di quanto sostenuto dall’avvocato, non vi era alcuna decisione passata in giudicato che avesse riconosciuto il diritto dell’avvocato a percepire, per le prestazioni fino al 30/6/2014 compensi aggiuntivi rispetto alla somma di € 599 .828,22; che la prima delle tre pratiche per il cui compenso l’avvocato aveva ottenuto il decreto ingiuntivo era stata svolta ben prima del 2014 come dimostrato dalla documentazione prodotta a corredo del ricorso monitorio; che, quanto alla seconda pratica, sebbene la stessa fosse stata individuata dall’avvocato con riferimento ad un numero di ruolo del Tribunale di Milano del 2017, era mancata da parte dell’avvocato qualsiasi prova dell’attività espletata successivamente al 2014 posto che l’unico documento prodotto conteneva plurimi riferimenti ad atti del 2007; che, quanto alla terza pratica, posto che l’avvocato aveva inviato già nel 2013 alla Banca una nota pro -forma per il proprio credito riguardo a quella pratica, doveva ritenersi che non vi fossero state attività successive;
contro
l’ordinanza ricorrono l’avvocato COGNOME, in via principale e con dodici motivi, e la Banca, in via incidentale e con due motivi. L’avvocato ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale;
le parti hanno depositato memoria; considerato che:
in via preliminare deve essere dichiarata inammissibile l’eccezione di nullità del provvedimento impugnato, sollevata nella memoria dal ricorrente in via principale e motivata con il rilievo che la trattazione del procedimento, in contrasto con quanto dispone l’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011, si è svolta interamente dinanzi al giudice relatore, mentre il collegio è intervenuto solo in sede decisoria.
La violazione delle disposizioni degli articoli 50 bis e 50 ter c.p.c. sulla composizione monocratica o collegiale del Tribunale chiamato a decidere secondo l’art. 50 quater c.p.c., non si considera attinente alla costituzione del giudice di modo che alla relativa nullità si applica l’art. 161 comma primo c.p.c. per cui può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell’appello, o del ricorso per cassazione, ed anche ove non si ritenga applicabile l’art. 50 quater c.p.c. perché nella specie la collegialità deriva dalla previsione speciale dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D. Lgs. 10.11.2022 n. 149, come modificato dalla L. 29.12.2022 n. 197, e non dall’art. 50 bis c.p.c., il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c., correlato alla previsione del citato art. 14, determina comunque una nullità insanabile (vedi in tal senso Cass. 6.6.2016 n.11581) che, in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere però fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso di specie il vizio, non rilevabile d’ufficio, è stato fatto valere con memoria.
Le memorie consentite dall’art. 378 c.p.c. possono essere utilizzate tuttavia esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi già compiutamente svolti con il ricorso o per confutare le tesi avversarie, ma non per formulare nuove censure o per prospettare nuovi motivi di ricorso (Cass. n. 12477/2002; n. 9387/2003; n. 4020/2006);
con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 132, 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Si sostiene che, con decreto ingiuntivo n.1395/2018, non opposto, e perciò passato in giudicato, il Tribunale di Monza aveva ritenuto ancora operante la convenzione tariffaria sottoscritta dalle parti nel 1996, di cui doveva farsi applicazione anche nella presente controversia.
Sono poi menzionati altri provvedimenti che avrebbero riconosciuto il diritto del legale al compenso stabilito secondo i parametri di cui al D.M. 55 del 2014. Tali provvedimenti sono al centro del secondo motivo di ricorso e se ne dirà in riferimento a questo.
Il motivo è infondato.
Il preteso giudicato esterno è insussistente.
Il decreto ingiuntivo n.1395/2018, come evidenziato sia dalla ordinanza impugnata sia dal ricorrente, non era stato opposto tempestivamente.
E’ allora sufficiente ribadire il giusto richiamo da parte del Tribunale alla giurisprudenza di legittimità indicata a pagina 6 dell’ordinanza impugnata, a cui può aggiungersi la conforme sentenza di questa Corte n.12111 del 22/06/2020 che, con riferimento ad un credito periodico, ha enunciato il principio, valevole a maggiore ragione in caso di crediti relativi a rapporti distinti seppur legati a precedente convenzione, per cui ‘Il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i princìpi di diritto che ne costituiscono il fondamento. Pertanto, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma – in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio – non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive’;
3.con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione degli artt.112 e 2909 c.c. Si sostiene che, con ordinanze relative a decreti ingiuntivi ulteriori rispetto a quello n.1395/2018 (menzionato nel secondo motivo di ricorso), il Tribunale di Monza, senza distinguere tra prestazioni svolte prima e dopo il 30/6/2014,
aveva liquidato compensi per attività anche antecedenti al 30/6/2014; che tali ordinanze erano state impugnate dalla Banca, ma non sul punto specifico della valenza dell’accordo del 2015; che, di conseguenza, ‘il punto relativo alla non estensibilità dell’accordo del 29.4.2015 a tutte le pratiche svolte ante 30/6/2014 è passato in giudicato’; che il Tribunale di Milano non si è pronunciato sulla eccezione di giudicato.
Riguardo a questo motivo deve osservarsi che il Tribunale non si è pronunciato sull’eccezione sollevata dall’attuale ricorrente e che, tuttavia, essendo l’eccezione infondata per ragioni di diritto che non richiedono ulteriori accertamenti in fatto, il difetto di pronuncia non giustifica la cassazione dell’ordinanza. E’ stato già in più occasioni affermato che ‘Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’ (tra altre, Cass. n.17416 del 16/06/2023).
Il preteso giudicato è insussistente.
Il ricorrente stesso ricorda che la questione della interpretazione della clausola dell’accordo del 2015 , secondo cui la Banca avrebbe pagato € 599.828,22 per le prestazioni svolte dall’avvocato fino al 30/6/2013, come clausola riferita alle sole prestazioni indicate nell’elenco allegato all’accordo o come clausola riferita a tutte le prestazioni svolte dall’avvocato fino a quella data (anche non incluse nell’elenco), non si era mai posta davanti al Tribunale di Monza. Come ricorda la Banca nel controricorso, il Tribunale di Monza aveva affermato che l’accordo tariffario era nullo per contrasto con la normativa sull’equo compenso e contro tale
affermazione la Banca aveva proposto ricorso. In questo modo la Banca ha impedito il formarsi del giudicato. Il giudicato si determina infatti su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’impugnazione motivata anche soltanto con riguardo ad uno degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 10760/2019);
4.con il terzo motivo di ricorso principale si lamenta la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art.112 c.p.c. per avere il Tribunale di Milano, ‘al di fuori ed oltre quanto richiesto ed eccepito dalle parti’ (ricorso, pagg. 31), affermato che l’accordo del 29 aprile 2015 era omnicomprensivo e che, in forza di esso, per tutta l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, doveva essere ritenuto satisfattivo il pagamento di € 599.828,22, malgrado che la Banca non avesse mai né nel ricorso in opposizione né nelle conclusioni definitivamente rassegnate, dedotto quanto affermato dal Tribunale ma avesse dedotto che le parti, con l’accordo del 29 aprile 2015, avevano concordato ‘il pagamento dell’ammontare residuo dei compensi del legale per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, compensi indicati in un elenco allegato all’accordo’ e che ‘nonostante al Banca avesse provveduto a pagare l’elevato importo di cui all’accordo -importo che peraltro potrebbe comprendere anche compensi oggetto del ricorso monitorio di cui si discute-, l’Avvocato COGNOME offriva una interpretazione unilaterale di questo ultimo accordo’.
Il motivo è inammissibile.
Il vizio di extra petizione ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato), mentre spetta al giudice di merito il compito di definire e qualificare, entro detti limiti, la domanda proposta dalla parte. (Cass. n. 12471/2011). Per causa petendi idonea a identificare la domanda della parte devono intendersi, non le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l’insieme delle circostanze di fatto poste a base di questa (Cass. n. 9176/1997). Consegue che l’interpretazione delle scritture negoziali data dalla Banca a sostegno della propria pretesa non vale di per sé a identificare i limiti di questa, e non può costituire parametro alla cui stregua valutare la novità della domanda o il rispetto da parte del giudice del principio della necessaria corrispondenza della pronunzia alla richiesta;
5.con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss., c.c. e degli artt. 132 c.p.c. e 118 dip. att. c.p.c. e 111 Cost. Si deduce che il Tribunale ha interpretato illogicamente l’accordo del 2015 affermando che esso riguardava tutte le pratiche svolte fino al 2014 e non solo quelle indicate nell’elenco allegato.
6. con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c. e 115 c.p.c. Si deduce che la motivazione resa dal Tribunale, basata sulla pretesa sussistenza di indici in forza dei quali ritenere l’applicabilità dell’accordo 29.04.15 a tutte le pratiche, si rivela del tutto fallace sul piano giuridico e errata per tutti gli elementi probatori enucleati posto che con le lettere del 12 e 13 giugno 2013, inviate dal ricorrente alla Banca, era stato ribadito che la
convenzione del 2013 non avrebbe potuto essere applicata ad incarichi conferiti e tuttavia non espletati;
7. con il sesto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss., c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c. Si deduce che, visto che l’accordo prevedeva l’impegno da parte del ricorrente ad applicare per l’attività successiva al 30/6/2014, le tariffe di cui alla convenzione dell’11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti S.p.A. RAGIONE_SOCIALEe ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013′, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere operative tutte le modifiche e integrazioni senza escludere quella di cui al punto 5.2 della lettera. In base a questo punto la convenzione del 2013 avrebbe dovuto applicarsi solo per le pratiche affidate dopo la data del 12 giugno 2013 e non a quelle affidate in precedenza anche se le azioni giudiziarie fossero state avviate successivamente’ .
I motivi quarto quinto e sesto sono strettamente connessi e possono essere esaminati assieme.
I motivi sono inammissibili.
Come questa Corte ha in molte occasioni precisato, in tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 22 giugno 2017, n. 15471), poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa. La censura, in altre parole, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal
giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. Né l’interpretazione data dal giudice al contratto deve necessariamente essere l’unica interpretazione possibile e neppure la migliore in astratto essendo sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr., tra molte , Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; ancora, fra le altre, Cass. 20 maggio 2020, n. 9291; Cass. 8 gennaio 2020, n. 121; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha violato le già menzionate regole ermeneutiche e i ricordati principi di diritto.
La Corte territoriale, dopo avere richiamato le condizioni essenziali dell’accordo del 2015, ha posto in luce che le parti avevano operato la liquidazione del residuo credito dell’avvocato per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014 e non solo del residuo credito per l’attività di cui alle pratiche indicate nell’elenco allegato all’accordo come risultava da una interpretazione letterale dell’accordo -centrata sul riferimento al residuo credito per attività svolta fino a quella data e sulle parole ‘salvo errori o omissioni’ poste dopo il riferimento all’ ‘elenco allegato -e da una interpretazioni improntata a buona fede (art. 1366 c.c.) tenendo conto del fatto che il testo dell’accordo era stato predisposto dall’avvocato il quale aveva stabilito il credito per le pratiche svolte fino al 30.6.2014 avendo perfetta conoscenza dell’attività prestata. Il Tribunale ha poi, con particolare riguardo alle previsione per cui l’avvocato COGNOME per ‘l’attività svolta successivamente al
30/06/2014 si impegna ad applicare le tariffe di cui alla convenzione del 11/04/2013 con avvocati fiduciari della RAGIONE_SOCIALE di SESTO SAN GIOVANNI predisposta da RAGIONE_SOCIALEP.RAGIONE_SOCIALE e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12/06/13′, che tali ‘modifiche ed integrazioni’ dovevano essere individuate in quelle relative alla tariffazione, essendo invece esclusa quella, contenuta al punto 5.2. della lettera del 12 giugno ma non accettata dalla Banca e incompatibile con il riferimento contenuto nell’accordo alla separazione netta tra attività ‘resa’ prima e attività ‘resa’ dopo il 30/6/2014, secondo cui la convenzione avrebbe dovuto applicarsi solo per le pratiche affidate dopo tale data e non a quelle precedenti e ciò anche se le azioni giudiziarie fossero avviate successivamente.
Rispetto a tale esegesi, il ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole.
L’ordinanza non è affetta da alcun vizio motivazionale.
È noto che, in applicazione l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nel testo novellato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 134 del 2012, è esclusa la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione in riferimento alla idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione. La novella, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; onde la riformulazione della norma suddetta deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., sez. un, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).
Nel caso in esame, nessuna anomalia motivazionale, nel senso sopra indicato, inficia l’ordinanza. Il ricorrente, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, propone riflessioni critiche involgenti il complessivo accertamento fattuale operato dal giudice del merito e di cui è chiesta una rivalutazione. Ciò che non è ammesso nel giudizio di legittimità non potendosi questo giudizio trasformare in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (fra le tante, Cass. n. 21381 del 2006, Cass. n. 8758 del 2017, Cass., sez. un., n. 34476 del 2019);
8. con il settimo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione e omessa e/o insufficiente motivazione in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., 1362, 1372 e 12374 c.c.; 2697 c.c. e art. 112 e 115 c.p.c., del d.l.n.1/2012 e dell’art. 24 della L.794 del 1942’.
Sotto questa rubrica si deduce che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere, quanto alle pratiche di cui al ricorso per decreto ingiuntivo, valido l’accordo del 29 aprile 2015 malgrado che la prima e la seconda pratica si fossero esaurite nel 2007 e che parte dell’attività relativa alla terza pratica si fosse svolta nello stesso
anno, vigente il principio di inderogabilità dei minimi tariffari stabilito dall’art.24 della l.794 del 1942.
Il motivo è inammissibile
Va preliminarmente rilevato che solo per le prestazioni professionali rese in epoca anteriore all’ entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito con la legge n. 248 del 2006, il cui articolo 2, primo comma, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, vale il disposto dell’articolo 24 della legge 13 giungo 1942 n. 794, avendo questa Corte già avuto modo di chiarire, con la sentenza n. 9878/2008, che l’articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 223 del 2006, convertito con la legge n. 248 del 2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali «dalla data di entrata in vigore» della legge stessa con la conseguenza che quelle disposizioni conservano piena efficacia solo in relazione a fatti verificatisi prima di tale data.
Deve in secondo luogo osservarsi che il diritto dell’avvocato al compenso in misura non inferiore ai minimi tariffari è un diritto disponibile e, pertanto, può costituire oggetto di valida rinuncia sia successiva che preventiva all’insorgere del diritto al compenso (Cass. n. 1680/83; Cass. 8539/18) e che, nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che per le attività anteriori al 30/6/2014 le parti avevano raggiunto un accordo in ordine alla misura del compenso dovuto, sul testo predisposto unilateralmente dall’avv. COGNOME;
9. con l’ottavo e il nono motivo di ricorso -che il ricorrente propone assieme- si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.2233 c.c., del d.m. 55/2014, del d.m.127 del 2004, dell’art. 13 bis della legge professionale forense
e degli artt. 24, 35 e 36 della Costituzione nonché la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere l’art. 13 bis della legge professionale forense non applicabile al caso di specie.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha ritenuto che niente spettasse al ricorrente essendo state le pratiche esaurite prima del 30/6/2014 o comunque essendovi prova di attività inerente alle pratiche solo antecedente e non anche successiva a tale data. Ha evidenziato inoltre che ogni rapporto tra le parti si era concluso a seguito della rinuncia dell’avvocato COGNOME a tutti gli incarichi in data 16 novembre 2017, ossia prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 bis cit. avvenuta il 6 dicembre 2017. Ha ritenuto la disposizione non retroattiva e quindi inapplicabile alla fattispecie.
Il ricorrente sostiene che l’art. 13 bis, cit. debba essere ‘applicato anche se l’attività fosse già conclusa alla data di entrata in vigore purché a quella data il cliente non abbia ancora pagato il compenso previsto dalla convenzione stipulata con l’avvocato’ .
L’ordinanza è ineccepibile.
È sufficiente richiamare quanto questa Corte ha già precisato, con ordinanza n.7354 del 19/03/2025, in altra controversia tra le parti: ‘In tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della l. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall’art. 19 quaterdecies del d.l. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 172 del 2017, con effetti dall’1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore’.
Infine, è palesemente insussistente la violazione dell’art. 112 c.p.c., in presenza di pronunzia esplicita di rigetto della domanda formulata ai sensi dell’art. 2233, comma 2, c.c.;
10. con il decimo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione ‘di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c., omessa motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5, in relazione all’art. 2697 c.c. e 112 c.p.c. e all’art. 2233 c.c.’. Si deduce che il Tribunale ha negato i compensi per le tre attività indicate nel ricorso monitorio, sulla base della interpretazione dell’accordo già criticata con altri motivi ricorso, pur avendo ‘il ricorrente affermato di nulla avere mai percepito e nulla avendo prodotto la banca a sostegno di tale ritenuto pagamento’.
Il motivo è inammissibile perché non tiene conto della ratio della decisione impugnata.
La ratio non è quella dell’avvenuto o non avvenuto rispetto dell’accordo ma quella per cui nessuna pretesa ulteriore poteva essere avanzata dal ricorrente per l’intera attività svolta fino al 30 giugno 2014 in quanto questa trovava il proprio corrispettivo nella somma € 599828,22 -pattuita nell’accordo. La dedotta carenza di prova dell’avvenuto rispetto dell’accordo era irrilevante nell’economia della decisione posto che il ricorrente non ha agito per l’adempimento dell’accordo ma ha preteso un compenso per attività da lui ritenute, non coperte dall’accordo e ritenute invece dal Tribunale coperte dall’accordo in forza della ricordata esegesi dell’accordo stesso;
11. con l’undicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt.2233, 2234 c.c., del d.m. 55/2014 nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c. Si afferma che il Tribunale avrebbe ritenuto la pratica di cui al punto 3 del ricorso monitorio ‘esaurita ante 30.6.2014 sul presupposto del difetto di prova’ che vi fossero state attività successive, ‘senza considerare che la stessa è proseguita ben oltre’ e che ‘contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale è
stata fornita prova che la procedura divisionale non poteva essere ritenuta esaurita precedentemente al 30.6.2014′. Si deduce altresì che la Banca non avrebbe mai contestato l’attività successiva a questa data.
Il motivo è inammissibile perché generico: non è indicata l’attività che sarebbe stata svolta dopo il 30.6.2014; non è individuata la prova dello svolgimento di attività successive al 30.6.2014;
12. con il dodicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1372, 2233 c.c. e 112 e 115 c.p.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe non integralmente rispettato la convenzione tariffaria del 2013 richiamata dall’accordo del 2015 con le ‘modifiche ed integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013’. Si deduce in particolare che, con la lettera suddetta, le parti avrebbero concordato che al ricorrente sarebbero stati riconosciuti compensi secondo le tariffe forensi in caso di effettivo recupero dei crediti della Banca e che per le tre pratiche in questione i crediti della Banca erano stati recuperati.
Il motivo è inammissibile perché non tiene conto della motivazione della ordinanza: il Tribunale ha stabilito che l’attività del ricorrente si era conclusa prima del 30/6/2014 e che quindi il ricorrente non poteva vantare alcun credito per le tre pratiche in questione, atteso il disposto della clausola dell’accordo per cui la ‘BCC si impegna a pagare all’Avv. COGNOME in tre anni l’ammontare residuo dei compensi per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, indicati nell’elenco allegato e aggiornato al 30 marzo 2015, per un residuo di € 599.828,22′;
13. con il primo motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 1175 e 1375 c.c. per avere il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione sollevata dalla Banca di improponibilità o improcedibilità della domanda avanzata dall’avvocato per illegittimo frazionamento del credito.
14. con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n.3. c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 1326 c.c. e 115 c.p.c. per aver il Tribunale affermato che l’accordo stipulato nel 2013 era divenuto vincolante solo con la sottoscrizione dell’accordo del 29.4.2015 e solo nella parte in cui conteneva la regolazione tariffaria, laddove invece avrebbe dovuto affermare che l’accordo del 2013 era stato validamente concluso ed era efficace in toto come risultava dal fatto che l’avvocato COGNOME aveva emesso alcune fatture conformi a quanto previsto dall’accordo stesso in relazione a prestazioni anche ‘anteriori al 29 aprile 2015’.
I due motivi di ricorso incidentale restano assorbiti.
La Banca è risultata totalmente vittoriosa nel merito.
Il ricorso incidentale della Banca, su questioni preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte (Cass. Su 7831/20139), sicché, laddove le medesime questioni siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato solo in presenza dell’attualità dell’interesse ovvero unicamente nell’ipotesi -qui non verificatasi- della fondatezza del ricorso principale;
15. in conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, il ricorso incidentale resta assorbito;
16. le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale;
condanna il ricorrente in via principale a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €6 . 500,00, per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre
rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 29 maggio 2025.