Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11769 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29309-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 158/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 31/05/2022 R.G.N. 347/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Lavoro privatoconciliazione -interpretazione
R.G.N. 29309/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Treviso di rigetto delle domande proposta dalla società FAR dirette all’accertamento della violazione del patto di non concorrenza post-contrattuale ( ex art. 2125 c.c.) da parte dell’ex -dipendente NOME COGNOME e alla condanna alla restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo per il patto e al pagamento della penale prevista in contratto per l’ipotesi di inadempimento;
in particolare, la Corte di Venezia ha ritenuto che il verbale di conciliazione stipulato in sede sindacale tra le parti in occasione della cessazione del rapporto di lavoro nel dicembre 2012, con il quale, tra l’altro, le parti dichiaravano di concludere l’accordo ‘ al fine di evitare eventuali controversie e di definire ogni questione connessa con il rapporto di lavoro e la sua risoluzione ‘ e confermavano ‘ di aver composto in via definitiva ogni possibile futuro motivo di contrasto ed ogni loro interesse connesso con l’intercorso rapporto e con l’intervenuta sua cessazione ‘ avesse carattere transattivo novativo generale, che sostituiva ogni precedente diritto e dovere tra le parti, incluso il patto di non concorrenza connesso al rapporto di lavoro;
la società soccombente nel doppio grado di merito ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello affidato a 4 motivi, cui ha resistito l’ex -dipendente con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., per avere la Corte d’Appello riconosciuto carattere novativo all’accordo conciliativo anche rispetto al patto di non concorrenza, con siderando quest’ultimo alla stregua di una questione connessa al rapporto di lavoro (art. 360 n. 3 c.p.c.);
2. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 1230 c.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha riconosciuto il carattere novativo dell’accordo conciliativo, anche rispetto al patto di non concorrenza, senza accertare la sussistenza degli elementi costitutivi di una novazione -aliquid novi , animus novandi e causa novandi -anche rispetto al patto di non concorrenza;
3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 1236 c.c. nella parte in cui è stato ritenuto che, con la sottoscrizione dell’accordo conciliativo ex art. 411 c.p.c., la società avesse rinunciato ai diritti derivanti a suo favore dal patto di non concorrenza sottoscritto in occasione dell’assunzione , senza aver accertato l’esistenza di atti dispositivi in tal senso;
4. con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364 ss. c.c., per avere la Corte d’Appello dedotto l’intenzione delle parti di definire completamente i rapporti pregressi e ad evitare future controversie anche in riferimento al patto di non concorrenza, senza accertare gli oggetti sui quali le parti si erano proposte di contrattare e senza interpretare le clausole del contratto le une per mezzo delle altre;
5. i motivi, che possono essere trattati congiuntamente per connessione, in quanto tutti riguardanti l’interpretazione da parte dei giudici di merito del verbale di conciliazione inter partes come ricomprendente anche il (superamento del) patto di non concorrenza post-contrattuale, non sono meritevoli di accoglimento;
6. premesso che l’interpretazione degli atti negoziali, riservata al giudice del merito e incensurabile in sede di legittimità ove rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi, va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, nell’ambito non già di una priorità di uno dei due criteri, ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi d’interpretazione, i quali debbono fondersi ed armonizzarsi nell’apprezzamento dell’atto negoziale (cfr. Cass. n. 701/2021, n. 11666/2022), va precisato che la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, posto che, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra; per il principio di autonomia del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, si deve escludere l’ammissibilità di una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di
legittimità (v. Cass. n. 14270/2024, n. 33425/2022, n. 30527/2022, n. 21447/2022, n. 9461/2021, n. 995/2021, n. 27702/2020, n. 16368/2014, n. 24539/2009, n. 10131/2006, nonché, sulla conclusione che l’interpretazione del contenuto di verbale di conciliazione postula un’indagine sulla volontà delle parti e si risolve in un accertamento di fatto, Cass. n. 10981/2020, n. 14911/2007);
7. invero, dal punto di vista strutturale, il patto di non concorrenza costituisce una fattispecie negoziale autonoma, dotata di una causa distinta (Cass. n. 16489/2009), configurando un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in virtù del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di danaro o altra utilità al lavoratore e questi a non svolgere, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, attività concorrenziale con quella del datore (Cass. n. 5540/2021); peraltro, è evidente il collegamento funzionale del patto con il contratto di lavoro, cui accede con finalità integrativa del sinallagma contrattuale, realizzando le parti un meccanismo attraverso il quale perseguono un risultato economico unitario e complesso, non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato ad un’unica regolamentazione dei reciproci interessi (nel caso di specie: da una parte, la fidelizzazione del dipendente e, dall’altra, la conservazione del patrimonio di clientela al datore di lavoro), sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti su natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale al giudice di merito, il cui
apprezzamento in sede di legittimità non è sindacabile, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 36940/2021);
specificamente, l’accertamento, da parte del giudice di merito, della portata ed estensione di un atto transattivo non è censurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e scevra da vizi logico -giuridici; ciò costituisce l’ineludibile corollario della natura di apprezzamento interpretativo della comune intenzione dei contraenti che è, a tale stregua, rimesso al giudice del merito, non essendo l’interpretazione di un contratto, o, più in generale, di un atto di autonomia privata sindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed adeguata e se condotta in conformità alle regole ermeneutiche di legge (così Cass. n. 7173/2019, richiamata da parte controricorrente);
nel caso in esame, i giudici di merito, sulla base di un’interpretazione del dato negoziale logica e conseguente, hanno evidenziato il collegamento tra il contratto di lavoro e il patto accessorio di non concorrenza, e la natura integralmente novativa della transazione; la pronuncia impugnata risulta dunque conforme a diritto e resite alle censure di parte ricorrente;
la regolazione delle spese di lite del grado, liquidate come da dispositivo, segue il regime della soccombenza;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, e dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 30 gennaio 2025.