Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32728 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32728 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22533/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME IMPRESA INDIVIDUALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1178/2019 depositata il 19/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le osservazioni del P.M., la Sostituta P.G. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei motivi dal secondo al quinto e il rigetto dei restanti motivi.
Uditi gli avvocati NOME COGNOME per la parte ricorrente e NOME COGNOME per la parte controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La controversia è tra un gestore di una discarica e smaltimento di rifiuti, la RAGIONE_SOCIALE, e una ditta di raccolta e trasporto di rifiuti, la RAGIONE_SOCIALE. Essa concerne il pagamento del corrispettivo per lo smaltimento dei rifiuti nella discarica. Le parti avevano inizialmente concordato una tariffa di circa lire 70 al chilogrammo. Nell’agosto del 1998, il gestore della discarica proponeva un aumento della tariffa a lire 122 al chilogrammo, che la ditta di trasporto contestava, rifiutando l’aumento. Nel 2000 il gestore otteneva dal Tribunale di Latina nei confronti della ditta di raccolta un decreto ingiuntivo del pagamento di circa lire 186.450.000, pari alla differenza tra la somma indicata nelle fatture e quella corrisposta dalla ditta quale corrispetti vo. Nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, la ditta di trasporto contestava, faceva valere che vi era stato un provvedimento del gennaio 1999 della Regione Lazio (sovraintendente a tale attività) di rideterminazione della tariffa in lire 88 al chilogrammo, e chiamava in causa i tre Comuni per i quali svolgeva il servizio. Il Tribunale di Latina, pronunciato il difetto di giurisdizione sulla chiamata in causa dei Comuni, nel merito accoglieva l’opposizione in parte, riconoscendo al gestore un import o pari a € 19.268, determinato sulla base della tariffa fissata dalla Regione Lazio, applicata in via retroattiva. Con un motivo di appello, il gestore contestava la retroattività della delibera e sosteneva che era stato raggiunto un accordo per fatti concludenti sul nuovo corrispettivo da lui richiesto, facendo valere una serie di circostanze (tra cui il pagamento delle
fatture rilasciate sulla base dell’importo aumentato). La Corte di appello ha rigettato il gravame proposto dal gestore della discarica, premettendo che il rapporto ha natura e disciplina privatistica e sostenendo che non esiste accordo tacito sull’aumento. Peraltro, è stata rigettata per difetto di prova la domanda della ditta di trasporto di restituzione delle somme sborsate in esecuzione della sentenza di primo grado. Ricorre in cassazione il gestore della discarica con sei motivi, illustrati da memoria. Resiste la ditta di raccolta rifiuti con controricorso e memoria. Il P.M. ha depositato osservazioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il sesto motivo (p. 45), da esaminare per primo essendo potenzialmente dirimente (così anche il P.M.), denuncia che la Corte distrettuale ha omesso di trattare la questione della retroattività delle delibere della Regione Lazio circa la determinazione del prezzo di smaltimento dei rifiuti. Si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il motivo è rigettato (a prescindere dal profilo relativo all’ammissibilità di un censura ex art. 112 c.p.c. avente ad oggetto l’omessa risposta ad un’argomentazione di parte) .
Argomenta la Corte di appello: « il rapporto in essere tra le due parti ha certamente natura privatistica con la conseguenza che ad esso si applicano le regole dettate in materia di conclusione del contratto, prima fra tutte l’esistenza di un accordo tra le parti ».
La Corte distrettuale ha quindi tenuto presente la questione, ma l’ha ritenuta irrilevante, dovendo la causa essere decisa sulla scorta della regolamentazione privatistica del rapporto fra le parti.
– Il primo motivo fa valere la formazione del giudicato implicito sulla esistenza di un nuovo accordo tra le parti di aumento della tariffa di smaltimento. Si deduce violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.
Il motivo è rigettato.
Si desume dalla lettura del testo della sentenza impugnata che nessun giudicato si è formato nel senso auspicato dalla ricorrente,
poiché il Tribunale ha liquidato la somma sulla base della tariffa di lire 88 al chilogrammo determinata dalla Regione Lazio, applicata anche per il periodo compreso tra agosto e dicembre 1998. Del resto, anche la ricorrente è consapevole della debolezza della propria argomentazione, dal momento che parla di un iter argomentativo quello della sentenza di primo grado -che «implicitamente riconosceva l’esistenza di un accordo contrattuale» di modifica del corrispettivo originariamente pattuito. In realtà il motivo sottende una ricostruzione della situazione rilevante alternativa rispetto a quella che la Corte di appello ha espresso in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità.
3. Il secondo motivo (p. 30) lamenta l’omesso esame di fatti comprovanti la conclusione di un accordo di aumento della tariffa. La parte censurata della sentenza è la seguente: il gestore « non poteva stabilire ed applicare unilateralmente – tra l’altro in assenza di un provvedimento della pubblica amministrazione che a ciò la autorizzasse (ovverosia della Regione Lazio) – un prezzo diverso per lo svolgimento dell’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, a meno che non avesse accettato la richiesta di un corrispettivo cosi maggiorato, secondo il noto meccanismo della proposta contrattuale e della conforme accettazione di tale proposta. Di conseguenza, non essendovi prova che avesse accettato la proposta, avanzata dal per il pagamento di un corrispettivo di lire 122 al chilogrammo a partire dal 3 agosto 1998 (come da nota in pari data), nessuna somma ulteriore rispetto a quella sin lì corrisposta (di lire 70 al chilogrammo) spetta all’odierna appellante; del tutto correttamente dunque il Tribunale di Latina ha accolto l’opposizione proposta dalla e revocato il decreto ingiuntivo ».
La ricorrente denuncia che non sono stati presi in considerazione tutti i fatti discussi al fine di dimostrare la sussistenza di un accordo per fatti concludenti in relazione alla tariffa di lire 122 al
chilogrammo. In primo luogo, il fatto che la ditta di trasporto, dopo aver ricevuto la nota del 3 agosto 1998, con cui venivano rideterminate le tariffe, abbia effettuato ulteriori conferimenti presso le discariche gestite dalla ricorrente, dando così esecuzione al contratto. In secondo luogo, il fatto dell’invio nel luglio 1999 di fax ai due Comuni in cui erano menzionati l’aumento della tariffa da lire 70,5 a lire 122 al chilogrammo e la corrispondente richiesta di pagamento della differenza da parte del gestore della discarica, fatto che la ricorrente intende parimenti come conferma che la prassi era proprio quella della conclusione del contratto per fatti concludenti mediante la esecuzione. Tali circostanze avrebbero conferito ben altra valenza all’unico fatto considerato atomisticamente dalla Corte di appello, vale a dire il pagamento della fattura del 31 agosto 1998, il cui importo era stato quantificato in base alla nuova tariffa.
Il terzo motivo (p. 35) fa valere la sostanza del secondo motivo (cioè la mancata considerazione analitica e sintetica dei fatti comprovanti la conclusione dell’accordo per fatti concludenti ) sotto i profili dei vizi della motivazione e della violazione delle norme sul giusto processo e sulla prova. Si deduce violazione degli artt. 111 cost., 2697 c.c., 115, 116, 132 n. 4 c.p.c.
Il quarto (p. 38) e il quinto (p. 42) motivo denunciano sotto più profili la violazione della normativa sulla conclusione del contratto. Si deduce violazione degli artt. 1326 e/o 1327 c.c. (quarto motivo) e violazione dell’art. 1326 c.c. (quinto motivo). In particolare, il quarto denuncia che la Corte di appello ha polarizzato la propria attenzione essenzialmente sulla conclusione del contratto « secondo il noto meccanismo della proposta contrattuale e della conforme accettazione di tale proposta », trascuran do di tematizzare l’evenienza della conclusione del contratto per fatti concludenti, se non per escludere incidentalmente che il pagamento della fattura del 31 agosto 1998 possa costituire accettazione tacita della proposta di modifica contrattuale. Il quinto motivo si appunta su tale ultimo profilo
ed argomenta in particolare l’irrilevanza della successiva nota del 12 dicembre 1998 con la quale la ditta di trasporto ha contestato l’aumento, rispetto al precedente periodo di quattro mesi in cui ha eseguito il contratto alle mutate condizioni tariffarie senza obiettare alcunché.
4. – Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati contestualmente, in quanto attaccano sotto diversi profili l’argomentazione con cui la Corte di appello ha escluso la formazione di un accordo tacito ovvero per fatti concludenti di modifica del corrispettivo originariamente previsto per il servizio.
Essi sono infondati.
L’esame congiunto di tali motivi caratterizza anche l’impostazione delle osservazioni del P.M. , che conclude per l’accoglimento. È innanzitutto rilevata dalla parte pubblica, in modo che questo Collegio condivide, l’inammissibilità della questione della conclusione del contratto prima della risposta dell’accettante ex art. 1327 c.c., sollevata nel quarto motivo. Infatti, la questione non è stata trattata dalla sentenza impugnata e la ricorrente non ha precisato in quale fase del giudizio di merito ha sottoposto al contraddittorio la valutazione dei presupposti di fatto per l’applicabilità della norma, che hanno carattere tassativo (cfr. Cass. 5874/02, 13132/06).
Il P.M. prosegue sostenendo che la Corte distrettuale, dopo aver qualificato come vera e propria proposta l’aumento del corrispettivo richiesto con la nota del 3 agosto 1998, non ha valutato adeguatamente, nel loro significato complessivo, i seguenti fatti: (a) soprattutto, la ditta di trasporto aveva continuato a conferire i rifiuti nella discarica, pur dopo la richiesta di aumento della tariffa da parte della ricorrente; (b) poi, in data 31 agosto 1998 la ditta di trasporto aveva pagato una fattura il cui importo era stato quantificato in base alla nuova tariffa, comprensiva dell’aumento proposto; (c) infine, soltanto in data 12 dicembre 1998, la ditta di trasporto aveva contestato il pagamento. Tali fatti, oggetto di discussione fra le parti,
appaiono al P.M decisivi per configurare un’accettazione della proposta per fatti concludenti ai sensi dell’art. 1326 c.c.
A sostegno di questa posizione, il P.M. fa valere che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’esecuzione della prestazione tipica di un determinato contratto è sufficiente a far considerare il contratto tacitamente e validamente concluso, se la legge non richiede una forma particolare per l’esistenza di esso o il proponente non richiede una forma determinata (diversa dalla semplice esecuzione della prestazione tipica) per l’accettazione: cfr. art. 1326 co. 4 c.c.
Il Collegio non condivide questa impostazione.
Nella sua formulazione astratta, l’orientamento giurisprudenziale menzionato (che non si intende qui mettere in discussione) è rivolto innanzitutto all’ipotesi della (originaria) conclusione del contratto, mentre il caso attuale concerne una modifica (aumento del corrispettivo) relativo ad un rapporto contrattuale di durata già in essere tra le parti. Non si intende mettere in discussione, inoltre, che tale orientamento si estenda anche ai rapporti contrattuali già in essere tra le parti: ben possono darsi modifiche tacite (per fatti concludenti) di contratti già esistenti.
Tuttavia, è da constatare che il grado di univocità significativa (nel senso dell’accettazione tacita) che deve possedere la condotta della parte che continua (temporaneamente) ad usufruire di un bene o di un servizio contrattualmente messo a disposizione dalla controparte, pur in presenza di una richiesta ad opera di quest’ultima di aumento del corrispettivo, è ben diverso e maggiore di quello che deve possedere la prima esecuzione della prestazione tipica per poter essere interpretata come accettazione tacita (in funzione della conclusione del contratto). In questo secondo caso si verifica un qualcosa di nuovo nella realtà delle relazioni tra le parti – la prima esecuzione della prestazione tipica (che sarà anche l’unica, se si tratta di un contratto ad effetti istantanei, non di durata) -un quid novi che, in
quanto conforme al programma negoziale concepito, ben potrà agevolmente essere interpretato come accettazione tacita.
Molto più incerto è il significato da attribuire al comportamento della parte che semplicemente continua a fare per un certo lasso di tempo ciò che sempre ha fatto fin dall’inizio d el rapporto di durata, pur dopo una modifica unilaterale (ad opera della controparte) di un elemento (pur così essenziale) come il corrispettivo del bene o servizio da quest’ultima offerto contrattualmente. Per cogliere l’ambiguità di tale condotta sotto il profilo della valutazione giuridica, non vi è bisogno di invocare gli studi psicologici sulla tendenza inerziale a persistere in un certo comportamento, prima che ci si renda conto di dover reagire ad un cambiamento.
Non che tali studi non siano persuasivi, ma vi è un argomento giuridicamente più persuasivo, tratto dalla considerazione del caso attuale. Pur regolato dal diritto privato, il contratto di durata tra le parti è funzionale allo svolgimento di un servizio pubblico di saliente importanza quale la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. La necessità di garantire la continuità del servizio pubblico ben può costituire un ostacolo a una contestazione immediata e rendere poco convincente l’ascrivere alla tolleranza iniziale dell’aumento (in questo caso: circa quattro mesi) il significato di accettazione tacita . Per darsi quest’ultima, occorreva piuttosto che la ditta di trasporto di rifiuti assumesse un contegno che, secondo criteri di concludenza e univocità, potesse ritenersi compatibile soltanto con il suo intento di accettare l’offerta. Resta così privo di forza sufficiente l’elemento centrale su cui fa leva l’argomentazione del P.M., ma anche quella della ricorrente, per inferire la modifica tacita di aumento del corrispettivo. Né induce alla conclusione opposta la considerazione di elementi, che nel quadro delineato sono secondari, come il pagamento di una fattura con il corrispettivo aumentato e le comunicazioni inviate dalla ditta ai Comuni in cui si tematizzano essenzialmente le «pressioni» fatte dal
gestore della discarica per il pagamento della differenza in aumento del corrispettivo.
Infine, nello stesso precedente citato dal P.M., cioè Cass. 14253/24, si legge in modo condivisibile che « gli accertamenti se un determinato comportamento possa concretamente valere come dichiarazione negoziale e se sussistano fatti concludenti ed univoci dai quali possa desumersi l’avvenuta conclusione del contratto corrispondente, costituiscono valutazioni di fatto riservate alla cognizione del giudice di merito e, come tali, sono sottratti al sindacato del giudice di legittimità ». Nel caso attuale, l’argomentazione con la quale la Corte di appello ha escluso di poter ravvisare una modifica tacita del contratto non si espone a censure motivazionali spendibili in sede di giudizio di legittimità.
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 6.500 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/10/2024.