Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 7485 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 7485 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2025
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 13983-2024 proposto da:
REGIONE PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME ed elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, NOME COGNOME, PALERMO FONTE, COGNOME NOME, NOME COGNOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME
Oggetto: Pubblico impiego -Annullamento nomina dirigenti Regione Puglia -atto transattivo stipulato per incentivo all’esodo
– intimate –
avverso la sentenza n. 661/2024 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 02/05/2024 R.G.N. 839/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME
COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Gli odierni intimati, tutti ex dipendenti della Regione, agivano dinanzi al Tribunale di Bari esponendo che: – i loro rapporti erano stati risolti consensualmente nel periodo compreso tra l’1.02.2003 e l’1.09.2005 con la qualifica dirigenziale; -avevano ricevuto nell’agosto 2018 le determine regionali con cui era stato loro comunicato il ripristino dell’inquadramento giuridico nell’ ex VIII q.f. in luogo della qualifica dirigenziale e tanto in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4888/2013; – essi erano stati inquadrati nella I qualifica dirigenziale mediante determinazione n. 452 del 15 maggio 2002 a seguito del superamento del concorso interno ex art. 95 della l.r. Puglia n. 18 del 1974, al quale erano stati ammessi a partecipare dopo l’esito favorevole di un decennale contenzioso, giusta sentenza del Tar Puglia Lecce n. 7399/2001; – era accaduto che, dopo la stipula degli atti di risoluzione consensuale dei rapporti il Consiglio di Stato con sentenza n. 4888/2013 aveva annullato la sentenza del Tar Puglia Lecce n. 7399/2001 cui avevano fatto seguito le determine regionali intese al ripristino dell’inquadramento contrattuale precedente (giuridico ed economico) e della successiva rideterminazione delle posizioni economiche.
Deducevano che le risoluzioni dei rapporti con la qualifica dirigenziale ai sensi dell’art. 28 della L.R. Puglia n. 7/2002 avevano determinato la irretrattabilità degli inquadramenti a presupposto delle
risoluzioni medesime (essendo l’art. 28 destinato proprio ai dirigenti titolari di rapporto di impiego a tempo indeterminato) essendosi determinata la novazione dei rapporti con la qualifica dirigenziale, rapporti che erano poi cessati per effetto di tali risoluzioni consensuali.
Chiedevano, pertanto, l’accertamento del loro diritto a mantenere l’inquadramento nella suddetta qualifica denunciando l’illegittimità delle determine regionali in quanto i contratti individuali di risoluzione consensuale dei rapporti, stipulati in un contesto legislativo di incentivazione all’esodo, erano stati espressamente qualificati come ‘non soggetti a revoca’ e costituivano sopravvenienze che avevano definitivamente cristallizzato la loro posizione e deducendo altresì che il comportamento della Regione aveva violato il principio di buona fede e affidamento.
Costituitasi in giudizio la Regione Puglia chiedeva il rigetto dell’avverso ricorso sul presupposto che, per effetto della sentenza n. 4888/2013 del Consiglio di Stato, gli ex dirigenti dovevano considerarsi esclusi dalla prova concorsuale per mancanza dei requisiti di partecipazione e, di conseguenza, erano nulli i contratti individuali di lavoro al tempo stipulati.
Il Tribunale accoglieva il ricorso, ritenendo che con i ridetti contratti, difettando di un’esplicita riserva rispetto all’esito del contenzioso amministrativo, essendo stati stipulati sulla base di una previsione di legge (art. 28 L.R. Puglia n. 7/2002), richiamando espressamente la qualifica dirigenziale che evidentemente era stata considerata acquisita, le parti avevano inteso estinguere i rapporti di lavoro tenendo conto solo della qualifica dirigenziale degli originari ricorrenti con l’effetto finale che detti accordi erano insensibili all’esito del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo.
Proponeva appello la Regione, lamentando che il Tribunale aveva errato nel ritenere che, con la sottoscrizione dell’accordo di risoluzione, la stessa avesse prestato acquiescenza rispetto alla definitività
dell’inquadramento dei dirigenti nella qualifica dirigenziale; sotto altro aspetto, la Regione evidenziava che, anche in assenza di una clausola che prevedeva la provvisorietà del contratto di risoluzione, l’effetto doveroso del recupero dell’indebito non era pregiudicato, per cui anche l’affermato carattere ‘irrevocabile’ del contratto di risoluzione consensuale era recessivo rispetto alla ripetizione di somme illegittimamente liquidate.
Da ultimo, la Regione contestava pure il mancato effettivo svolgimento delle funzioni dirigenziali.
Si costituivano gli ex dirigenti chiedendo la reiezione del gravame.
La Corte d’appello di Bari rigettava l’appello; ad avviso della Corte, erano del tutto inconferenti i richiami operati dalla Regione all’art. 2033 cod. civ. posto che l’azione proposta dagli ex dipendenti non era diretta a contrastare la pretesa restitutoria avanzata dall’amministrazione, ma era finalizzata ad ottenere l’affermazione del loro diritto a mantenere la qualifica dirigenziale nonostante l’esito sfavorevole del giudizio relativo alla pretesa di partecipare al concorso interno. E tanto, agevolmente rilevabile dalla lettura delle conclusioni rassegnate dai dirigenti nel ricorso introduttivo, non scalfiva la ratio decidendi del primo Giudice che aveva correttamente individuato nell’interpretazione degli accordi risolutivi l’oggetto della controversia. Pertanto, secondo la Corte era non meritevole di accoglimento, perché estraneo al thema decidendum , anche il rilievo sul mancato svolgimento delle mansioni dirigenziali.
Rilevava che l’unica argomentazione contenuta nell’atto di gravame che si confrontava con la ratio decidendi della sentenza appellata era quella che faceva leva sul fatto che, al momento della sottoscrizione dei rispettivi contratti di risoluzione del rapporto di lavoro, i dipendenti erano consapevoli dell’esistenza dell’impugnazione della sentenza del Tar Puglia Lecce n. 7399/2001, e che comunque con la sottoscrizione degli accordi la Regione non aveva inteso prestare acquiescenza rispetto alla definitività dei ricorrenti nella qualifica dirigenziale.
Riteneva, tuttavia, che l’argomento non fosse convincente in virtù delle condivisibili considerazioni già spese dal Tribunale di Bari nella sentenza appellata.
Evidenziava che nei contratti di risoluzione in questione -che si inseriscono nella procedura di ‘incentivazione all’esodo del personale’ disciplinata dall’art. 28 della l.r. Puglia n. 7 del 2002 la qualifica dirigenziale dei dipendenti, presupposto indefettibile per la presentazione dell’istanza di esodo, era da ritenersi ‘definitivamente acquisita’.
Inoltre richiamava l’art. 2 del contratto e la prevista espressa irrevocabilità dell’accordo risolutivo (« Il presente contratto non è soggetto a revoca ed esplica immediatamente la sua effica-cia ai sensi degli artt. 1334 e 1335 c.c. ») che non poteva non estendersi alla qualifica dirigenziale del personale sia perché mancava sul punto una clausola di riserva, sia perché la qualifica dirigenziale era elemento necessario della procedura di esodo sia ancora perché le parti, quando avevano inteso sottoporre a revisione qualche aspetto dell’accordo, lo avevano fatto espressamente, come nel caso dell’indennità supplementare destinata ad incentivare l’esodo.
Né rilevava il fatto che i dipendenti che avevano sottoscritto gli accordi risolutivi fossero consapevoli della pendenza, all’epoca, del giudizio d’appello relativo alla sentenza del Tar Puglia Lecce in quanto i medesimi avevano fatto affidamento nella conservazione della qualifica dirigenziale.
Riteneva indubbio che la volontà delle parti (e dunque anche della Regione) fosse quella di rendere irrevocabile il contratto di risoluzione consensuale incentivata, il cui presupposto essenziale era proprio il possesso della qualifica dirigenziale che la Regione intende rimettere in discussione.
Nella specie, ad avviso della Corte territoriale, la nuova regolamentazione del rapporto intercorso fra le parti a seguito della
norma sopravvenuta e dell’accordo risolutivo sottoscritto dalle medesime non poteva essere rivisitata alla luce della successiva sentenza del Consiglio di Stato, i cui effetti non erano idonei ad alterare il contenuto dell’assetto di interessi che le parti vollero dare al loro rap -porto per effetto dell’entrata in vigore della disciplina di incentivazione all’esodo di cui hanno fruito i dipendenti.
Avverso tale sentenza la Regione Puglia ha proposto ricorso affidandolo a due motivi (erroneamente indicati in premessa come tre motivi).
Hanno resistito con controricorso i soli ex dipendenti COGNOME, COGNOME, Palermo, COGNOME e COGNOME.
NOME COGNOMEquale erede di NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno svolto attività difensiva.
Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta concludendo per l’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbito il secondo.
Le parti costituite hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 35, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 165/2001.
Secondo parte ricorrente, ha errato la Corte d’appello nel ritenere validi gli accordi risolutivi poiché l’annullamento della procedura di reclutamento per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa.
Censura la sentenza impugnata stante l’omessa considerazione ai fini della risoluzione della controversia, dell’intervenuto annullamento da parte del Consiglio di Stato n. 4888/2013 della procedura concorsuale all’esito della quale gli originari ricorrenti erano stati inquadrati nella I qualifica dirigenziale.
Deduce l’Ente territoriale che detto annullamento ha inevitabilmente comportato la nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito alla stessa, come infatti sancito inequivocabilmente dal disposto dell’art. 35, comma 1, lett. a).
In ragione di detta nullità, nemmeno a seguito della sottoscrizione tra le parti dei contratti individuali di risoluzione del rapporto di lavoro, espressamente qualificati dalle parti come non revocabili, con cui la Regione avrebbe prestato acquiescenza rispetto alla pretesa di veder riconosciuta la qualifica da dirigente, si sarebbe potuto evitare l’effetto del giudicato amministrativo, comportante il travolgimento dell’attribuzione della superiore qualifica.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia errata valutazione ed interpretazione dei contratti di risoluzione consensuale.
Addebita alla Corte territoriale di non avere valutato la ‘manifesta’ volontà delle parti spiegata nei contratti di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Critica la sentenza impugnata per non aver considerato tutti gli aspetti della vicenda e gli atti pregressi e per avere erroneamente desunto dall’atto di risoluzione la volontà della Regione di attribuire definitivamente la qualifica dirigenziale e la convinzione dei lavoratori di avere raggiunto definitivamente il titolo e l’utilità, solo sulla base della mancata apposizione della clausola di riserva nel contratto di risoluzione consensuale
Richiama quanto argomentato dal Consiglio di Stato nella sentenza, sezione VII, n. 9200/2023 in punto di mancanza di affidamento nell’ipotesi di consapevolezza da parte del lavoratore della pendenza di un giudizio amministrativo, essendo la meritevolezza di tale affidamento esclusa dalla efficacia di misure interinali e precarie, inidonee a determinare l’insorgenza di una aspettativa in merito alla stabilità ed irretrattabilità di una determinata attribuzione.
Rileva che i lavoratori, costituiti in appello dinanzi al Consiglio di Stato per la riforma della sentenza del TAR di Bari, non hanno mai vantato l’intervenuto difetto di interesse a proseguire l’azione per avere sottoscritto un contratto di risoluzione consensuale che cristallizzava il loro inquadramento nella qualifica dirigenziale, ma hanno resistito in giudizio ed ha altresì agito per la revocazione della sentenza n. 4888/2013 del Consiglio di Stato, definito con sentenza n. 6439/2021.
E videnzia che l’assunzione era avvenuta a seguito di un provvedimento cautelare del giudice ed era pertanto instabile, essendo destinata ad essere superata e se del caso travolta dalla successiva pronuncia di merito e che l’irrevocabilità dell’accordo risolutivo non poteva estendersi alla qualifica dirigenziale del personale.
Il ricorso per cassazione non è stato notificato ad NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME (parte così costituita nel giudizio di appello) e, quanto a NOME COGNOME (non costituita nel giudizio di appello) lo stesso è stato notificato al difensore costituito nel giudizio di primo grado e non alla parte personalmente.
Le suddette parti non hanno svolto attività difensiva.
Deve in proposito rammentarsi che in caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio gli eredi, indipendentemente dalla natura del rapporto sostanziale controverso, vengono a trovarsi per tutta la durata del processo in una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, da cui la necessaria integrazione del contraddittorio ex art. 331 cod. proc. civ. (v. ex multis Cass. 19 marzo 2014, n. 6296).
Vanno, altresì, richiamati, quanto alla notifica alla parte contumace in appello, i principi affermati da Cass., S.U., 29 aprile 2008, n. 10817; cfr. anche Cass. 25 luglio 2006, n. 16952 e Cass. 11 maggio 2018, n. 11485.
Va pertanto disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo per la rinnovazione della notifica del ricorso ad NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME ed a NOME COGNOME a cura della Regione Puglia.
P.Q.M.
La Corte rinvia la causa a nuovo ruolo disponendo la rinnovazione della notifica del ricorso per cassazione ad NOME COGNOME ed a NOME COGNOME entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro