Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29344 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 29344 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/11/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 31025/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, sia unitamente che disgiuntamente, giusta procura in calce al ricorso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE 20 RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta mandato agli atti, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni delle notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 571/2020, depositata il 14/4/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/9/ 2025 dal AVV_NOTAIO;
udito il P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo di ricorso, con il rigetto dei restanti.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE – con delibere del 12/10/ 2004 e del 1/7/2005, approvava il progetto definitivo per la realizzazione della linea ferroviaria Fiumetorto-RAGIONE_SOCIALE, prevedendo l’occupazione temporanea ex art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001 del terreno di proprietà di NOME COGNOME, di cui al foglio 10, particella 75, per mq 4664, non soggetto ad espropriazione.
Veniva autorizzato il contraente generale, ossia la società RAGIONE_SOCIALE, a procedere all’occupazione.
L’occupazione temporanea sarebbe terminata il 10/10/2009.
Con decreto di occupazione temporanea n. 41 del 18/1/2008 veniva autorizzata l’occupazione.
L’immissione in possesso avveniva il 19/2/2008.
Veniva disposta la proroga con ordinanza n. 64 del 9/10/2009 dal 9/9/2009 sino al 10/10/2011.
Con ordinanza n. 33 del 18/6/2010, non comunicata, veniva disposta la proroga dell’occupazione temporanea sino al 17/6/2015.
Con accordo del 5/8/2010 si prevedeva la proroga dell’occupazione temporanea sino al 18/2/2013, a partire dal 19/2/2008 (data dell’immissione in possesso), per la durata di anni 5. In particolare, si stabiliva nell’accordo che l’eventuale rinnovo dell’occupazione sarebbe stato oggetto di previa comunicazione.
L’indennità di occupazione per il periodo di cinque anni veniva quantificata in euro 22.271,00, ossia euro 4.454,20 X 5 anni di occupazione. La somma veniva pagata.
Si prevedeva nell’accordo la riconsegna del terreno alla scadenza, quindi in data 18/2/2013.
Con successiva ordinanza n. 32 del 10/6/2015, non comunicata, si procedeva alla proroga dell’occupazione temporanea sino al 17/6/2018.
I provvedimenti di proroga dell’occupazione temporanea venivano notificati solo il 31/9/2015.
Il fondo veniva rilasciato il 7/11/2017.
Con atto di citazione notificato il 16/7/2015, quindi prima della notifica delle due ordinanze di proroga dell’occupazione temporanea n. 33 del 18/6/2010 e n. 32 del 10/6/2015, entrambe notificate il 31/9/2015, l’attrice citava in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE per sentire dichiarare che, a far data dal 19/2/2013, quest’ultima, in violazione del verbale di concordamento di indennità del 5/8/2010, aveva occupato illegittimamente il fondo, con condanna della società all’immediato rilascio dello stesso, al ripristino dello stato dei luoghi, nonché al pagamento, a titolo di indennità per tale illegittima occupazione, della somma complessiva di euro 76.415,64, calcolata in ragione di euro 2.635,16 per ogni mese di illegittima occupazione, a decorrere dal 19/2/2013 sino alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio (luglio 2015).
Solo successivamente alla notifica dell’atto di citazione, l’attrice riceveva la notifica, il 21/9/2015, delle due ordinanze di proroga della occupazione.
La società chiedeva il rigetto delle domande.
Con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., l’attrice, a seguito della notifica delle due ordinanze di proroga dell’oc-
cupazione, precisava la propria domanda, chiedendo, in via subordinata, nell’ipotesi in cui fossero state ritenute legittime le due ordinanze di proroga, che fosse accertato il diritto della stessa «a far tempo dal 19/2/2013 e fino al rilascio del fondo» a «percepire l’indennità di occupazione annua nella misura di euro 4.454,20, così come stabilito con l’accordo bonario stipulato tra le parti in data 5/8/ 2010 e non anche quella prevista dall’art. 50 d.P.R. n. 327/01, già consensualmente derogata dalle parti».
Il Tribunale di Termini Imerese, con sentenza n. 1049/2017 delle 18/10/2017, accoglieva la domanda principale, accertando che, a partire dal 19/2/2013, la società RAGIONE_SOCIALE aveva agito «in palese violazione degli accordi di cui al verbale di concordamento delle indennità del 5/8/2010», avendo occupato illegittimamente il fondo, con conseguente condanna della società all’immediato rilascio ed al ripristino dello stato dei luoghi.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società RAGIONE_SOCIALE.
Si costituiva in giudizio l’attrice chiedendo il rigetto dell’appello, con la conferma integrale della impugnata sentenza, e l’accertamento, «in via subordinata per l’ipotesi in cui la Corte avesse ritenuto, per effetto delle due sopra richiamate ordinanze nn.ri 32 e 33, notificate in data 21/9/2015, la legittimità dell’occupazione del fondo di proprietà». In particolare, chiedeva, «stante la precisazione delle domande formulate nel giudizio di primo grado ed in particolare nella memoria ex art. 183 VI comma n. 1, c.p.c. a tal fine deputata, che, a far tempo dal giorno 19/2/2013 e fino all’effettivo rilascio del fondo, a quest’ultima venisse comunque riconosciuto il diritto a percepire l’indennità di occupazione annua nella misura di euro 4.454,20 (e dunque la concordata somma di euro 22.271,00 suddivisa per n. 5 anni), così come stabilito con l’accordo bonario stipulato tra le parti in data 5/8/2010».
La Corte d’appello, con sentenza n. 571/2020, depositata il 14/4/2020, accoglieva l’appello della società RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, per la Corte territoriale, contrariamente all’assunto del Tribunale, la mancata notificazione dei provvedimenti di proroga dell’occupazione temporanea non ne comportava l’illegittimità, essendo la notifica solo una forma qualificata di comunicazione rilevante ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione.
Ad avviso del Giudice di secondo grado, tutti gli atti in materia di espropriazione non erano recettizi e la loro efficacia non era subordinata alla notifica, la quale non costituiva né elemento integrativo, né requisito di validità, né condizione di efficacia dell’atto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attrice, depositando anche conclusioni scritte.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE, depositando anche conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «nullità della sentenza per motivazione apparente, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare l’esistenza del verbale di concordamento, «con il quale le parti avevano convenzionalmente regolamentato la procedura di occupazione».
L’accordo intercorso tra le parti era stato dedotto dall’attrice al fine di sottolinearne l’effetto preclusivo della legittimità dell’occupazione, «contenendo espressamente un accordo circa la durata della stessa». Al contrario, la Corte d’appello, nel riformare la sentenza di primo grado, ha fondato la decisione esclusivamente sul presupposto che le ordinanze n. 33 del 18/6/2010 e n. 32 del 10/6/2015, in quanto non aventi natura recettizia, avevano prodotto effetti a pre-
scindere dalla loro comunicazione, con implicita conseguenza della legittimità dell’occupazione.
In tal modo, però, il giudice di merito avrebbe omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, avendo del tutto negletto la stipulazione dell’accordo intervenuto tra le parti.
Il ragionamento della Corte territoriale si è svolto esclusivamente su principi generali, senza alcun approccio all’esame della fattispecie concreta oggetto di controversia, «ove l’esercizio del potere autoritativo era stato sostituito dalla regolamentazione negoziale dell’occupazione, con un accordo tra le parti che ne individuava espressamente il termine di scadenza e ne disciplinava le modalità di proroga».
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso l’esame di un fatto storico principale, costituito dall’esistenza e dalla validità dell’accordo con il quale le parti hanno regolamentato l’occupazione temporanea, la cui esistenza risulta dal testo della sentenza e dagli atti processuali.
In particolare, il Giudice d’appello ha omesso di valutare l’esistenza del verbale di concordamento, successivo all’ordinanza n. 33 del 2010, con cui le parti hanno convenzionalmente stabilito un diverso termine di scadenza dell’occupazione legittima, ed antecedente all’ordinanza n. 32 del 2015, che sarebbe giuridicamente inesistente proprio in virtù dell’intervenuto accordo.
L’occupazione del fondo, pacificamente legittima nel momento in cui era avvenuta, era però divenuta illegittima far data dal 19/2/ 2013 e sino all’effettivo rilascio dell’immobile, proprio alla luce delle previsioni contenute nel verbale di accordo sottoscritto tra le parti il
5/8/2010.
La Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare: a) se la disciplina convenzionale avesse determinato una sostituzione del titolo dell’occupazione, privando così di efficacia i provvedimenti autoritativi emanati; b) quale fosse dunque il termine massimo dell’occupazione temporanea applicabile; c) se l’ulteriore provvedimento autoritativo, adottato con l’ordinanza n. 32 del 10/6/2015, potesse prorogare un termine già scaduto.
In realtà, con l’accordo del 5/8/2010 le parti hanno regolato, non solo la misura dell’indennità di occupazione per il quinquennio, ma anche le modalità dell’occupazione e, soprattutto, la sua durata.
La durata dell’occupazione è stata prevista dall’art. 5 del verbale di concordamento per il periodo di cinque anni, dal 19/2/2008 alle 18/2/2013, con regolamentazione anche del rinnovo eventuale.
Il verbale di concordamento, dunque, ha travolto gli effetti dell’ordinanza n. 33 del 18/6/2010, in relazione alla durata dell’occupazione e dunque al termine di scadenza, originariamente stabilito per il 17/6/2015; in mancanza dell’esercizio del diritto potestativo di prorogare il termine, convenzionalmente riconosciuto alla società, al fine di legittimare la perdurante occupazione, «sarebbe stato necessario, semmai, un nuovo decreto di occupazione».
Il termine finale di cui all’ordinanza n. 33 del 2010 sarebbe stato sostituito da quello di cui all’accordo bonario del 5/8/2010, con conseguente inesistenza giuridica della successiva ordinanza n. 32 del 10/6/2015 «tenendo deliberatamente in non cale il verbale di concordamento sottoscritto dalle parti».
Non sarebbe intervenuto alcun rinnovo in base alle precise indicazioni contenute nel verbale di concordamento.
Pertanto, doveva essere concordata o comunicata una ulteriore indennità per il periodo successivo al 18/2/2013, in quanto la somma
corrisposta all’attrice, pari ad euro 22.271,00, si riferiva al solo arco temporale compreso dal 19/2/2008 al 18/2/2013.
Nessun’altra indennità per il periodo successivo era stata mai corrisposta, in quanto a decorrere da tale data l’occupazione non era stata più ritenuta legittima.
In base a quanto contemplato nel verbale di concordamento, sussisteva l’obbligo di comunicare la richiesta di proroga o rinnovo.
Con il terzo motivo di impugnazione si lamenta la «nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 49 e 50 del d.P.R. n. 327/01 – Errore riguardo l’individuazione e/o l’interpretazione della norma applicata, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente affermato che tutti gli atti in materia di espropriazione non sono recettizi e la loro efficacia non è subordinata alla notifica, desumendo tale principio dalla lettera dell’art. 49, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, in materia di occupazione temporanea di aree non assoggettate esproprio.
In realtà, tale affermazione avrebbe avuto senso solo in presenza di una ipotesi di espropriazione per pubblica utilità e non, invece, in presenza di una ipotesi di occupazione temporanea non preordinata all’esproprio.
L’art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001 delinea un procedimento autonomo e solo eventuale nell’ambito dell’espropriazione.
Attraverso il verbale di concordamento le parti avrebbero inteso derogare alla disciplina generale, indicando l’accordo pattizio quale unica fonte di disciplina tra le stesse.
In base all’accordo, dunque, la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto notificare o comunicare nei termini la proroga o il rinnovo.
Ad avviso della ricorrente, la proroga di un’occupazione temporanea, non solo dovrebbe essere adottata prima della scadenza dell’atto prorogato, ma dovrebbe essere anche comunicata e rece-
pita prima del termine.
Si tratterebbe dunque di un tipico atto recettizio «per il quale la comunicazione ai destinatari ha funzione costitutiva dell’effetto della fattispecie».
Con il quarto motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 113 c.p.c. – Nullità della sentenza per omessa pronuncia – Omesso esame di domanda introdotta in causa ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Per la ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe viziato anche per l’omesso esame della domanda subordinata formulata dall’attrice, «nella denegata ipotesi in cui fossero state ritenute l’efficacia e la legittimità delle ordinanze nn. 32 e 33, notificate all’odierna ricorrente in data 21/9/2015, con conseguente legittimità dell’occupazione del fondo».
La domanda subordinata, presentata nel corso del giudizio di prime cure, era stata reiterata anche in sede d’appello.
5. Il primo motivo è infondato.
In realtà, la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo in senso grafico, ma anche nella indicazione delle ragioni logiche e giuridiche poste a base della decisione assunta.
La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto che le due ordinanze di proroga dell’occupazione temporanea emesse dalla RFI il 18/6/2010 e il 10/6/2015, con rispettive proroghe dell’occupazione sino al 17/6/ 2015 e sino al 17/6/2018, non erano atti recettizi, sicché non rilevava in alcun modo la mancata comunicazione tempestiva delle stesse, essendo state notificate le due ordinanze di proroga solo successivamente alla notifica dell’atto di citazione, avvenuta il 16/7/ 2015, e quindi solo il 31/9/2015.
La circostanza che la Corte territoriale non abbia affrontato la specifica questione della rilevanza, nella specie, dell’accordo stipu-
lato tra le parti 5/8/2010, non rende meramente apparente la motivazione.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati nei termini di cui motivazione.
6.1. Devono premettersi alcune sintetiche osservazioni in ordine alla natura recettizia o meno delle due ordinanze di proroga dell’occupazione temporanea emesse dalla RAGIONE_SOCIALE rispettivamente il 18/6/ 2010 e il 10/6/2015.
Si anticipa che la soluzione risulta quella della natura non recettizia di tali ordinanze di proroga, anche a seguito della nuova normativa di cui al d.P.R. n. 327 del 2001, dovendosi però valutare l’incidenza dell’accordo sulle due ordinanze di proroga.
7.1. Va chiarito, innanzitutto, che la giurisprudenza amministrativa richiamata dalla Corte d’appello, tutta favorevole alla natura non recettizia dei provvedimenti resi in materia espropriativa, risulta superata dalle nuove disposizioni introdotte con il d.P.R. n. 327 del 2001.
7.2. Prima dell’introduzione del Testo unico espropriazioni, infatti, si riteneva che il decreto di espropriazione avesse efficacia costitutiva, restando del tutto irrilevante la successiva comunicazione o notificazione dello stesso al privato espropriato.
Con la precedente normativa, come sostenuto anche dalla dottrina, il decreto di esproprio aveva immediata efficacia reale, stabilendo che la proprietà dei beni soggetti ad espropriazione per causa di pubblica utilità passava dall’espropriato all’espropriante in virtù della sola emanazione del decreto di esproprio ed a partire dalla data del medesimo (Cass., Sez. Un., 1/8/1994, n. 7154; Cass., sez. 1, 5/ 06/2014, n. 12700; Cass., sez. 1, 4/08/2000, n. 10229).
Tali considerazioni vanno però confrontate con le nuove dispo-
sizioni.
8.1. Ed infatti, ai sensi dell’art. 23, primo comma, lettera f) del d.P.R. n. 327 del 2001, il passaggio della proprietà all’autorità espropriante avviene, non con la semplice emissione del decreto di espropriazione, ma soltanto dopo la notificazione dello stesso e l’esecuzione del decreto, con l’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio (art. 23, primo comma, lettera h), del d.P.R. n. 327 del 2001 (in tal senso vedi Cass., Sez. Un., 12/1/2023, n. 651).
8.2. L’art. 23 del d.P.R. n. 327 del 2001 (decreto di esproprio) prevede che «il decreto di esproprio: f) dispone il passaggio del diritto di proprietà, o del diritto oggetto dell’espropriazione, sotto la condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente notificato ed eseguito».
Inoltre, si stabilisce al comma 4 che «le operazioni di trascrizione e di voltura nel catasto e nei libri censuari hanno luogo senza indugio, a cura e a spese del beneficiario dell’esproprio». Pertanto, la natura costitutiva dell’effetto espropriativo viene riconosciuta alla notificazione ed esecuzione del decreto di espropriazione; il trasferimento della proprietà è subordinato ad una condizione sospensiva consistente nella materiale immissione in possesso, documentata con la redazione del relativo verbale, e nella notifica all’interessato del decreto di esproprio.
Nel nuovo Testo unico, dunque, per la dottrina maggioritaria, il trasferimento della proprietà costituisce il risultato di un «procedimento bifasico» composto dall’insieme emanazione-esecuzione, sicché proprio la fase dell’esecuzione rappresenta il momento di perfezionamento del provvedimento ablativo.
8.2. Resta la questione della trascrizione del decreto di espropriazione, in quanto l’art. 23, secondo comma, del d.P.R. n. 327 del 2001 prevede che «il decreto di esproprio è trascritto senza indugio
presso l’ufficio dei registri immobiliari». Coloro che sostengono l’immediatezza del trasferimento coattivo della proprietà, a prescindere dalla notificazione e dalla esecuzione del provvedimento, leggono in questa norma una conferma alla loro tesi, dovendo l’Amministrazione provvedere alla trascrizione del decreto di esproprio indipendentemente dal fatto che abbia avuto esecuzione.
Per la seconda tesi, accolta da questa Corte a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 651 del 2023; anche Cass., sez. 1, 3/2/2023, n. 3318), dal momento che con l’espropriazione l’ente acquista il bene a titolo originario e la trascrizione non è prevista ai fini dell’efficacia traslativa e di piena opponibilità ai terzi (ancorché aventi causa dell’espropriato in forza di atto trascritto anteriormente, cioè agli effetti dell’art. 2643 c.c.), l’espropriante non avrebbe alcun motivo di tutelarsi per evitare di perdere la proprietà del bene a seguito di un eventuale trasferimento avvenuto nel periodo intercorrente tra l’emanazione del decreto e la sua esecuzione (Cass., 3/2/2023, n. 3318); da ciò l’irrilevanza di procedere alla trascrizione del decreto di esproprio subito dopo la sua emanazione.
Tra l’altro, ai sensi dell’art. 45 del d.P.R. n. 327 del 2001 al proprietario è concesso il diritto di stipulare un atto di cessione volontaria «fino al momento di esecuzione del decreto di espropriazione». La trascrizione, dunque, dovrebbe avvenire dopo l’esecuzione.
8.3. Si è dunque affermato (Cass., Sez. Un., n. 651 del 2023) che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, in base alla disciplina introdotta dal d.lgs. n. 327 del 2001, l’esecuzione del decreto di esproprio – con la immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio entro il termine perentorio di due anni, mediante la formale redazione di un verbale – assurge a condizione sospensiva di efficacia del decreto stesso (artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, d.lgs. cit.), con la conseguenza che, in mancanza, detto decreto diventa defini-
tivamente inefficace e non si realizza l’effetto estintivo della proprietà e degli altri diritti gravanti sul bene (salvo il potere dell’autorità espropriante di emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilità entro i successivi tre anni, cui dovrà seguire un nuovo decreto di esproprio).
Tuttavia, le argomentazioni di cui sopra, rivolte esclusivamente alla natura del decreto di espropriazione, che risulta soggetto alla condizione sospensiva di efficacia costituita dalla notificazione del provvedimento e dall’immissione in possesso, non possono estendersi all’occupazione temporanea di cui all’art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001.
L’occupazione temporanea, anche a seguito delle modifiche apportate dall’art. 23 del d.P.R. n. 327 del 2001, resta un atto non recettizio.
Deve muoversi dalla considerazione che, prima dell’introduzione del Testo unico espropriazioni del 2001, erano presenti nella legislazione tre tipologie di occupazione legittima:
l’occupazione preliminare di urgenza, in cui erano anticipati gli scopi ablatori nei confronti del bene occupato, realizzandosi un procedimento volto all’acquisizione del bene (art. 71, primo comma, ultima parte: «si procederà colle stesse norme nel caso di RAGIONE_SOCIALE di questa natura dichiarati urgenti e indifferibili dal RAGIONE_SOCIALE»);
l’occupazione temporanea di fondi per l’estrazione di pietre, ghiaia, sabbia, terra o zolle per usi necessari all’esecuzione di opere pubbliche, ove la proprietà del bene rimaneva in capo all’originario proprietario titolare del diritto reale, realizzandosi soltanto una limitazione, anche se temporanea, del godimento (art. 64 della legge n. 2359 del 1865);
vi era poi l’occupazione temporanea di fondi nei casi di rottura
di argini, di rovesciamento di ponti per impeto delle acque, e negli altri casi di forza maggiore o di assoluta urgenza ex art. 71, primo comma, prima parte, della legge n. 2359 del 1865.
Il Testo unico espropriazioni del 2001, invece, originariamente ha introdotto nel sistema esclusivamente le ipotesi di occupazione temporanea, inserendole all’interno dell’art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001 (L’occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio).
In particolare, ai sensi dell’art. 49, comma 1, «l’autorità espropriante può disporre l’occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo anche individuate ai sensi dell’art. 12, se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei RAGIONE_SOCIALE previsti».
Questa è proprio l’ipotesi che trova applicazione nella controversia in esame, in quanto il procedimento espropriativo non ha riguardato i fondi dell’attrice, che sono stati utilizzati esclusivamente per l’insediamento dei cantieri, con obbligo di restituzione al termine dei RAGIONE_SOCIALE.
11.1. Inoltre, l’art. 49, comma 5, richiama espressamente il contenuto dell’art. 64 della legge n. 2359 del 1865, prevedendo che «le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, nel caso di frane, alluvioni, rottura di argini e in ogni altro caso in cui si utilizzano beni altrui per urgenti ragioni di pubblica utilità».
11.2. Mancava, invece, il richiamo all’occupazione di urgenza preordinata all’espropriazione, inserita solo successivamente dal legislatore con l’art. 22bis del d.P.R. n. 327 del 2001, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. 27/12/2002, n. 302.
In tal modo, viene riproposta la triplice ipotesi di cui alla legislazione del 1865.
Tuttavia, come sottolineato dalla dottrina, il Testo unico
espropriazioni ha inciso in modo profondo sui procedimenti di occupazione temporanea.
Ciò che rileva in questa sede, in particolare, è che, rispetto alla legge del 1865, nelle norme attualmente in vigore si nota l’assenza dei termini di durata massima dell’occupazione.
Infatti, l’art. 65 della legge n. 2359 del 1865 chiariva che «a domanda deve essere dagl’intraprenditori od esecutori dei RAGIONE_SOCIALE diretta al prefetto della Provincia in cui trovansi i beni da occuparsi, coll’indicazione della durata che essi intendono si debba assegnare all’occupazione e all’indennità dei medesimi offerta».
Del resto, l’art. 73 della legge n. 2359 del 1865 stabiliva che «le occupazioni temporanee prevedute dall’art. 71 non possono in nessun caso essere protratte oltre il termine di due anni, decorrenti dal giorno in cui ebbero luogo. Occorrendo di renderle definitive, si procederà secondo le norme di cui agli articoli 16 e seguenti della presente legge».
Diversamente, l’art. 49, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001 si limita a prevedere che «l proprietario del fondo è notificato, nelle forme degli atti processuali civili, un avviso contenente l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora in cui è prevista l’esecuzione dell’ordinanza che dispone l’occupazione temporanea».
Come si vede, non si fa alcun riferimento alla durata della occupazione temporanea. Ciò può rivestire importanza dirimente nella controversia in esame, ove le parti hanno stipulato un accordo per determinare la durata delle possibili ed eventuali proroghe.
Al comma 3 dell’art. 49 citato si stabilisce che «l momento della immissione in possesso, è redatto il verbale sullo stato di consistenza dei luoghi».
Si prevede anche che «l verbale è redatto in contraddittorio con il proprietario o, nel caso di assenza o di rifiuto, con la presenza
di almeno due testimoni che non siano dipendenti del soggetto espropriante. Possono partecipare alle operazioni il possessore e i titolari di diritti reali o personali sul bene da occupare».
Non vi è dunque alcun riferimento alla durata dell’occupazione temporanea.
In dottrina, la motivazione dell’assenza della indicazione della durata della occupazione temporanea è stata individuata nella non prevedibilità temporale dei RAGIONE_SOCIALE.
Si è anche osservato in dottrina che l’immissione in possesso è scansionata dall’art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001 in modo rigoroso, a seguito di avviso, con un rigido formalismo, tale da indicare l’impossibilità di utilizzare metodi alternativi di comunicazione, essendo indispensabile l’intervento dell’ufficiale giudiziario, con conseguente inammissibilità di mezzi alternativi, radicalmente nulli, non trovando applicazione l’istituto processuale della sanatoria dello scopo (Cass., 22/11/2001, n. 14767 con riferimento alla nullità di altre modalità comunicative o di notificazione).
L’art. 50 del d.P.R. n. 327 del 2001 diviene rilevante, nella specie, in quanto si prevede un’indennità in favore del proprietario per ogni anno pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area.
In sostanza, si fa riferimento al valore venale correlato alla perdita dei frutti, alla diminuzione del valore del fondo, alla durata dell’occupazione e a tutte le altre circostanze utili.
Si tratta di un indennizzo che è volto a compensare medio tempore il mancato godimento del cespite, in ragione della perdita reddituale del bene, diversa da quella patrimoniale riferita alla perdita della proprietà.
Si tratta dunque di un’obbligazione di tipo indennitario collegato ad un’ipotesi tipica di responsabilità della PA per atto lecito.
Resta ferma, ovviamente, la possibilità per il privato di chiedere anche il risarcimento del danno.
Ed infatti, se l’utilizzo del bene da parte della PA arreca danni che non sono previsti nella determinazione dell’indennità di occupazione del fondo, il proprietario può agire per il risarcimento del maggiore danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Allo stesso modo il proprietario ha diritto al risarcimento del danno nel caso di utilizzo del terreno che comporti mutamenti irreversibile della destinazione dello stesso.
Di tutto rilievo è, poi, la possibilità per il privato, espressamente affermata dall’art. 50, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, di stipulare un accordo con la PA in ordine alle caratteristiche dell’occupazione temporanea.
L’art. 50, comma 2, citato prevede infatti che «e manca l’accordo, su istanza di chi vi abbia interesse la commissione provinciale prevista dall’art. 41 determina l’indennità e ne dà comunicazione al proprietario, con atto notificato con le forme degli atti processuali civili».
Se ne deduce la possibilità per il privato di raggiungere un accordo in ordine alla determinazione dell’indennizzo di occupazione temporanea.
Pertanto, emerge nitida la natura dell’occupazione temporanea, ben diversa dalla occupazione urgente preliminare all’espropriazione, di cui all’art. 22bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
L’occupazione temporanea, quindi, non costituisce un sub-procedimento autonomo di un procedimento espropriativo.
Pertanto, ed in questo senso va corretta – sul punto – la motivazione della sentenza della Corte d’appello, mentre il decreto di esproprio risulta sospensivamente condizionato alla notifica del provvedimento e alla successiva esecuzione dello stesso, al contrario,
nulla di tutto ciò si prevede con riferimento all’occupazione temporanea di cui all’art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001.
Non risulta dunque corretta l’affermazione della Corte territoriale per cui «tutti gli atti in materia espropriativa non sono recettizi e la loro efficacia non è subordinata alla notifica, la quale non costituisce né elemento integrativo, né requisito di validità, né condizione di efficacia dell’atto stesso».
È corretta però l’affermazione per cui il provvedimento di occupazione temporanea non è atto recettizio.
Ciò si ricava anche dall’art. 49, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001 che prevede, nei confronti del proprietario del fondo, esclusivamente la notifica di un avviso, solo ai fini dell’esecuzione dell’ordinanza che dispone l’occupazione.
L’ordinanza di occupazione temporanea risulta dunque valida ed efficace a prescindere dalla notificazione del provvedimento.
Del resto, tale interpretazione si pone in linea con la giurisprudenza amministrativa per la quale, sia pure con riferimento all’occupazione di urgenza, la mancata notificazione del decreto di occupazione non comporta l’illegittimità dello stesso, essendo la notifica solo una forma qualificata di comunicazione del provvedimento, con la conseguenza che la mancata sua notificazione è rilevante soltanto ai fini dell’individuazione del termine per l’eventuale impugnazione dell’atto (Cons. Stato, sez. IV, 15/7/2013, n. 3861; Cons. Stato, 24/11/2014, n. 5802; TAR Lazio, sez. II, 19/9/2018, n. 9484; TAR Campania, sez. V, Napoli, 29/8/2017, n. 4173; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 1/10/2001, n. 1446).
Si è infatti ritenuto che, nella assenza di una disposizione normativa che esplicitamente preveda la notificazione dell’atto a pena di invalidità dello stesso, la notificazione deve considerarsi una forma qualificata di comunicazione del provvedimento, ma non ne rappre-
senta elemento costitutivo (Cons. Stato., n. 3861 del 2013).
Peraltro, già in un remoto precedente di questa Corte aveva rilevato che le norme regolatrici del procedimento espropriativo non prevedono alcun onere di comunicazione o notificazione del decreto di occupazione – o di proroga della medesima – al proprietario dello immobile, in conformità con il più generale principio della non recettizietà dell’atto amministrativo, salvo espressa, contraria disposizione di legge (Cass., sez. 1, 19/2/1999, n. 1387; Cass., sez. 1, 11/3/2016, n. 4850).
Pertanto, può affermarsi che, a differenza del decreto di espropriazione, che, ai fini della sua efficacia, necessita della notificazione e della successiva fase esecutiva, il provvedimento di proroga dell’occupazione temporanea risulta atto non recettizio, non essendo necessaria, per la sua efficacia, la previa comunicazione o notificazione al proprietario del terreno (per la normativa anteriore al testo unico espropriazioni vedi Cass., n. 2559 del 2014).
Ciò chiarito, occorre però rilevare che la Corte territoriale ha omesso di considerare l’esistenza dell’accordo stipulato tra le parti il 5/8/2010, debitamente trascritto nelle sue componenti essenziali nel ricorso per cassazione.
Risulta dal «verbale di concordamento» che le parti non solo avevano determinato l’indennità spettante al proprietario nella somma di euro 22.271,00, per i cinque anni, tra l’immissione in possesso, avvenuta il 19/2/2008, e la scadenza dell’occupazione temporanea, fissata per il 18/2/2013, ma si erano anche impegnate per l’eventuale proroga dell’occupazione temporanea, restando a carico della PA l’obbligo di comunicare al privato l’intenzione di avvalersi di tale proroga («le parti intendono dare atto e far risultare da apposito verbale l’accordo sull’indennità spettante per l’occupazione temporanea delle aree interessate per uso di cantiere, necessarie per la
realizzazione dei RAGIONE_SOCIALE e le modalità dell’occupazione stessa nonché la sua durata»).
All’art. 5 del verbale di concordamento si stabilisce che «qualora fosse necessario occupare i beni per un ulteriore anno e così via sarà cura del C.G. a mezzo racc. a.r. tre mesi prima della scadenza dell’occupazione temporanea, comunicare il rinnovo dell’occupazione stessa, alle stesse condizioni economiche».
La Corte territoriale non si è per nulla preoccupata degli effetti di tale accordo, stipulato tra le parti in data 5/8/2010, sulla precedente ordinanza di RFI n. 33 del 18/6/2010, in relazione alla durata dell’occupazione ed al termine di scadenza, previsto da tale ordinanza per il 17/6/2015.
Occorreva invece valutare quale fosse la sorte e la durata dell’occupazione temporanea in caso di mancato esercizio del diritto potestativo di prorogare il termine, convenzionalmente riconosciuto alla RAGIONE_SOCIALE 20.
Ed infatti, la società RAGIONE_SOCIALE non aveva in alcun modo inteso prorogare l’occupazione temporanea, avvalendosi di quanto previsto dall’art. 5 del verbale di coordinamento, non avendo comunicato formalmente, con lettera raccomandata, tre mesi prima della scadenza dell’occupazione temporanea, la propria volontà di rinnovare l’occupazione stessa.
Risulta pacificamente che l’ordinanza n. 33 del 18/6/2010, con proroga dell’occupazione temporanea al 17/6/2015, come pure la successiva ordinanza n. 32 del 10/6/2015, con proroga della occupazione temporanea al 17/6/2018, sono state notificate all’attrice solo in data 21/9/2015, cioè dopo la notificazione dell’atto di citazione da parte della stessa, avvenuta il 16/7/2015.
Pertanto, a seguito dell’accordo tra le parti, il termine di proroga del 17/6/2015, inserito dall’ordinanza n. 33 del 18/6/2010 di RAGIONE_SOCIALE,
risulta superato da quanto stabilito nella convenzione del 5/8/2010, che ha posto quale termine dell’occupazione temporanea quello del 18/2/2013.
La Corte territoriale non ha neppure esaminato le conseguenze della stipula dell’accordo del 5/8/2010, nella parte in cui fissava il termine per l’occupazione temporanea al 18/2/2013, facendo salve possibili proroghe, ai fini delle quali richiedeva l’esternazione della propria volontà da parte della RAGIONE_SOCIALE attraverso specifiche raccomandate, rispetto all’ordinanza successiva di RFI n. 32 del 10/6/2015, che ha portato la proroga dell’occupazione temporanea al 17/6/ 2018.
Del resto, mentre la somma di euro 22.271,00, a titolo indennitario, per l’occupazione temporanea dal 19/2/2008 al 18/2/2013, è stata convenuta e pagata, non è stata concordata o comunicata alcuna ulteriore indennità per il periodo successivo al 18/2/2013.
Non sono condivisibili, al riguardo, le conclusioni del P.G., sia perché nel ricorso per cassazione si ricostruisce adeguatamente lo svolgimento dei due gradi di giudizio di merito e si riportano le conclusioni della attrice, con chiara indicazione della chiesta efficacia dello accordo stipulato tra le parti («con ordinanza n. 32 del 10/6/2015 la società RAGIONE_SOCIALE, senza tenere in alcun conto l’accordo concluso, disponeva la proroga Conseguentemente, la medesima attrice chiedeva che la RAGIONE_SOCIALE venisse condannata all’immediato rilascio del fondo »), sia perché, una volta stipulato l’accordo sulle modalità di proroga della durata della occupazione temporanea – in difetto peraltro di un termine legale della stessa – l’unico modo per effettuare la proroga era quello pattizio.
Tra l’altro, nel ricorso per cassazione si riporta parte della motivazione della sentenza di primo grado, in cui si dichiarava che «la RAGIONE_SOCIALE, agendo in palese violazione degli accordi» (pa-
gina 6 del ricorso per cassazione).
Il quarto motivo è assorbito, in ragione dell’accoglimento dei motivi secondo e terzo.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, dichiara assorbito il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME