Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 83 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 83 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37194/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI NAPOLI, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 4443/2019 depositata il 13/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE aveva convenuto nel settembre 2009 avanti al Tribunale di Napoli la Provincia di Napoli, subentrata al Commissario Straordinario ex lege n.219/81, originario concedente in base alla convenzione conclusa il 22.12.1981 e alle successive integrazioni intervenute, e aveva chiesto la rideterminazione secondo la legge n.41/86, art.33, del conteggio revisionale maturato sul prezzo pattuito per uno degli interventi concordati, a far data dal 1° aprile 1996 sino alla fine dei lavori, con le pronunce conseguenti anche quanto agli interessi di mora maturati.
In particolare, in fatto: -il Commissario Straordinario aveva affidato in concessione al Consorzio attore, con la convenzione richiamata, la realizzazione dell’intervento straordinario di edilizia residenziale del Comune di Afragola, comparto 12, per l’importo di £ 87.097.500.000; -con successiva ordinanza n. 210 del 15.11.1984, la concessione era stata ampliata affidando allo stesso Consorzio, tra l’altro, anche la realizzazione del collegamento della S.P. Cantariello, posta a sud del capoluogo, con la tangenziale di Napoli; -furono approvate a tal fine perizie di variante, con lavori da eseguirsi nell’ambito della concessione citata e nei modi e nei tempi già definiti dalla ordinanza n. 210 del 15.11.1984, con elevazione dell’importo complessivo del corrispettivo riconosciuto al Consorzio; -nell’atto di sottomissione del 30.12.1986 era stata pattuita (art.5) l’esclusione della revisione dei prezzi per le opere oggetto della convenzione, nell’ambito dei poteri attribuiti al Commissario Straordinario del Governo e in deroga alla normativa vigente, e si
era stabilito il termine per l’effettuazione dei lavori al 30.9.1988; -con atto aggiuntivo del 23.2.1990 le parti avevano rideterminato alcune condizioni della convenzione, tra cui il modo di determinazione dei prezzi attraverso l’introduzione di un sistema a forfait chiuso (adeguamento, limitatamente alle opere ancora da eseguire, dello 0,4% per ciascun mese successivo alla scadenza di 18 mesi dalla stipula dell’atto, inferiore a quello previsto dall’art.33 co 4 della l. n.41/86 all’epoca vigente) anche per il collegamento della INDIRIZZO, in considerazione del manifestarsi di circostanze estranee incidenti sull’andamento dei lavori e della conseguente opportunità di rivedere la clausola 5 dell’accordo del 30.12.1986, in modo da non far pesare economicamente sul solo concessionario gli imprevisti richiamati; separato l’intervento per il collegamento della INDIRIZZO alla tangenziale di Napoli con costituzione di un lotto autonomo, trasferito appunto alla Provincia di Napoli con effetti dal 1.4.1996, esso era stato completato il 15.2.2003 (con stato di fine lavori redatto e sottoscritto il 30.9.2004 e collaudo effettuato poco dopo l’introduzione del giudizio di primo grado); -il 24.10.2007 era intervenuta una transazione tra il Consorzio e il Commissario straordinario, avente ad oggetto tutte le controversie sorte tra le parti in relazione al complessivo intervento posto in essere per il periodo fino al 31.3.1996 (fino al subentro, cioè, degli Enti territoriali nella gestione delle diverse opere); -nel presente giudizio, limitato appunto all’intervento relativo al collegamento INDIRIZZO con la tangenziale di Napoli trasferito alla Provincia, il Consorzio attore aveva chiesto l’aggiornamento dei prezzi, con relativi accessori, dal 1.4.1996 al completamento delle opere, 15.2.2003, sul presupposto della illegittimità delle previsioni pattizie intervenute sul punto e sulla conseguente applicabilità dell’art.33 co 4 l. n.41/1986 (revisione forfetaria del 5% per tutta la durata del rapporto).
Si era costituita la Provincia di Napoli sollevando eccezioni di carenza di giurisdizione e di carenza di propria legittimazione passiva e contestando comunque il merito delle pretese di controparte.
Esperita una CTU, il Tribunale di Napoli, respinte entrambe le eccezioni richiamate, aveva dichiarato nulla la clausola 5 dell’atto aggiuntivo del 23.2.1990 per contrarietà a norma imperativa, individuata nell’art.33 , comma 4, l. n.41/86 vigente all’epoca della stipula, aveva ritenuto non autonomo e non novativo il successivo accordo del 6.12.2000 e aveva rideterminato pertanto il dovuto per compenso revisionale nel periodo dall’aprile 1996 al febbraio 2003 applicando l’art.33 cit., con le pronunce conseguenti.
Aveva proposto appello la Provincia, alla quale era poi subentrata la Città Metropolitana di Napoli, riproponendo le eccezioni respinte e contestando articolatamente il merito della decisione sia in ordine alla fondatezza della pretesa di controparte ai sensi dell’art.33 l. n.41/86, sia in ordine alla identificazione e misura degli accessori riconosciutile. Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE aveva contrastato i motivi di appello, formulando a propria volta appello incidentale condizionato con il quale reiterava in sostanza le domande già svolte nel giudizio di primo grado.
Il giudizio d’appello si era concluso con la sentenza della Corte d’Appello di Napoli ricorsa in questa sede che, reiterato il rigetto delle eccezioni preliminari, aveva parzialmente accolto le censure di merito svolte nei confronti della sentenza impugnata dall’Ente territoriale, rideterminando il minor importo dovuto al Consorzio.
Le argomentazioni contenute nella sentenza d’appello, che richiama precedenti giurisprudenziali di merito della stessa Corte in termini, si possono, per quanto qui ancora interessa, così sintetizzare: Come già l’accordo del 1990, anche l’accordo del 6.12.2000 è, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, autonomo con carattere novativo e sottostà quindi alle disposizioni normative
all’epoca della stipula vigenti. Se è vero infatti che quando si prevede l’aggiunta di interventi il cui valore supera il quinto rispetto all’importo originariamente pattuito, non essendovi in tal caso obbligo di accettazione da parte dell’appaltatore delle ulteriori opere, l’atto di sottomissione a seguito di richiesta o l’atto aggiuntivo costituisce sicuramente un nuovo contratto disciplinato dalla legislazione coeva, non si può per ciò solo escludere la natura di contratto autonomo e nuovo in qualsiasi altra ipotesi in cui, a seguito di variante di valore economico inferiore al quinto, vengano stipulati atti aggiuntivi o atti di sottomissione a richiesta della Pubblica Amministrazione concedente. -In questo secondo caso occorre fare riferimento alla volontà delle parti e, nel caso di specie, deve essere valorizzato il contenuto dell’accordo del 6.12.2000. In particolare: le premesse dell’accordo indicano un nuovo prezzo fisso invariabile, di £ 4.847.958.659, di cui £ 1.158.081.963 sono espressamente indicate come aggiornamento prezzi; l’art.4 prevede, oltre al ripristino delle opere già in corso, opere del tutto nuove (una stradina interpoderale); l’art.2 fissa una nuova durata dei lavori di completamento e la penale per ogni giorno di ritardo; l’art.5 detta una norma di particolare significanza, richiamando per il completamento dei lavori di completamento e ripristino della SP Cantariello le condizioni della delibera consiliare del 30.11.1999 n.143 e della determinazione n.6716 del 8.11.2000, nonché in quanto compatibili le condizioni della convenzione, degli atti aggiuntivi e dello stesso atto di sottomissione. L’atto è stato accettato senza riserve e costituisce un nuovo contratto con conseguente applicazione della normativa coeva, individuata, essendo stata abrogata la legge n.41/86 dalla legge n.498/92, nella legge n.109/1994 alla luce della quale non è legittima la previsione in materia di revisione prezzi in esso contenuta. L’atto regola però il periodo dal 6.12.2000 mentre per il periodo precedente, disciplinato dalla convenzione e dall’atto
aggiuntivo del 1990, il riferimento è nella l. n.41/86 e perciò rimane ferma la sostituzione della clausola 5, nulla, con la disposizione dell’art.33 co 4 l. cit. contenente la clausola del ‘prezzo chiuso’. -Ne consegue che per il periodo 1.4.1996/6.12.2000 deve essere riconosciuto, sulla base delle risultanze della disposta CTU, un valore differenziale di € 3.599.573,11 a credito del Consorzio (pur se per un importo minore rispetto a quanto riconosciuto in primo grado). -Sulla somma indicata sono dovuti gli interessi di mora ex art.35 e 36 DPR n.1063/1962. Si deve escludere l’anatocismo sugli interessi, implicitamente riconosciuto dal Tribunale, in contrasto con l’orientamento interpretativo di legittimità consolidato secondo cui si deve tenere conto dell’art.1283 c.c., non configurandosi il debito per interessi come una qualsiasi obbligazione pecuniaria generante interessi di mora. Quanto all’appello incidentale del Consorzio, che è in realtà un richiamo ex art.346 c.p.c., si tratta in concreto di un generico richiamo alle argomentazioni già svolte in primo grado non rimodulato alla luce della motivazione della sentenza impugnata, sostanzialmente superato dalle argomentazioni svolte per accogliere nei termini esposti l’appello principale.
Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidando a due motivi le critiche rivolte alla sentenza impugnata:
Violazione e/o falsa applicazione degli art.1230 e ss. c.c. e 1362 e ss. c.c. in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. e/o Omesso esame di fatti anche autonomamente decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art.360 co 1 n.5 c.p.c.Violazione e/o falsa applicazione dell’art.33 della legge n.41/1986, dell’art.2 della legge n.37/1973, dell’art.15, comma 5, della legge n.498/1992 in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c.
La Corte d’Appello avrebbe considerato novativo e autonomo l’atto di sottomissione del 6.12.2000, con conseguente ritenuta
applicabilità dell’art.15, comma 5 l. n.498/92 (che aveva nelle more abolito il meccanismo revisionale), mal applicando le norme codicistiche sull’interpretazione dei contratti; in tal modo sarebbe stato negato al Consorzio il compenso revisionale per il periodo successivo al 6.12.2000, invece spettante ai sensi dell’art.33 , comma 4, l. n.41/86. La Corte avrebbe pure omesso di valutare una serie di fatti autonomamente decisivi e discussi, che avrebbero portato, se considerati, ad una decisione diametralmente opposta a quella raggiunta.
Vi sarebbe stata, nella sostanza, da parte della Corte di merito un’erronea interpretazione dell’accordo, non in linea con gli art.1362 e s. c.c., con conseguente erronea qualificazione giuridica dello stesso e, in particolare, con violazione delle norme disciplinanti la novazione oggettiva.
I fatti di cui sarebbe stata omessa la valutazione sarebbero i seguenti:
-la Provincia sarebbe subentrata al Commissario straordinario, per il completamento delle opere ancora in corso, quanto all’intervento per il collegamento della INDIRIZZO alla tangenziale;
-la realizzazione della stradina di accesso contemplata nell’accordo del 6.12.2000, lavoro extra rispetto all’intervento originario, avrebbe avuto un’incidenza economica minima, pari a circa £ 158.000.000;
-i lavori di completamento sarebbero ammontati a circa £ 500.000.000;
-tutte le restanti lavorazioni sarebbero state di pulizia o di rifacimento di opere già fatte ma usurate dal tempo;
-l’importo di £ 1.158.000.000, previsto nell’accordo come relativo alla revisione prezzi, non sarebbe stato un elemento di novità ma avrebbe costituito l’applicazione della clausola di un precedente contratto, e cioè dell’accordo del febbraio 1990, a conferma della carenza di autonomia dell’accordo in esame.
-il 6.12.2000 si stipulava l’atto di sottomissione per i residui lavori di perizia e il 19.1.2001 si procedeva alla ripresa dei lavori e non al loro inizio ex novo;
-già al 31.12.1997 sarebbe stata realizzata la gran parte dell’intervento, residuando lavori per una percentuale inferiore al 10%;
-la descrizione dei lavori, anche nel collaudo e in tutta la contabilità, sarebbe stata unica;
-in tutti gli atti deliberativi e anche nell’atto di sottomissione del 6.12.2000 si farebbe riferimento ad una perizia di completamento dei lavori e opere ammalorate;
-la stradina interpoderale avrebbe sostituito un precedente accesso interpoderale alla INDIRIZZO, già rientrante nel piano dell’opera. Secondo il ricorrente, se la Corte avesse esaminato tutti i fatti una descritti, decisivi, invece omessi, sarebbe arrivata ad valutazione opposta nella interpretazione dell’accordo.
Nemmeno i presunti elementi novativi sarebbero da considerare tali, trattandosi di conseguenze naturali di ogni variante.
La Corte avrebbe inoltre omesso di interrogarsi sul rapporto oggettivo di stretta dipendenza tra la Convenzione originaria, gli atti aggiuntivi successivi e l’atto di sottomissione del 6.12.2000 da un punto di vista strettamente negoziale, anche in considerazione dell’unitarietà dell’opera, e non avrebbe tenuto conto, in violazione degli art.1230 e 1231 c.c., che non costituiscono novazione l’apposizione o l’eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria e che, in concreto, non vi sarebbe stata pattuizione di obbligazione incompatibile con quella già oggetto dei negozi precedenti.
Il Consorzio ricorrente ha inoltre evidenziato in ricorso che, in tema di interpretazione del contratto, in linea generale il Giudice ha il potere-dovere di stabilire se la comune intenzione delle parti risulti in modo certo e immediato dalla dizione letterale del contratto,
attraverso una valutazione di merito che consideri il grado di chiarezza della clausola contrattuale mediante l’impiego articolato dei vari canoni ermeneutici, ivi compreso il comportamento complessivo delle parti, in quanto la lettera (il senso letterale), la connessione (il senso coordinato) e l’integrazione (il senso complessivo) che costituiscono strumenti interpretativi legati da un rapporto di implicazione necessario al relativo procedimento ermeneutico -nel ricorso si richiamano Cass. civ. n. 12360/2014 e Cass. civ. n. 6366/2008-. Nel caso di specie, il rapporto di implicazione/integrazione tra i vari strumenti interpretativi sarebbe mancato del tutto e, in particolare, sarebbe totalmente mancata per individuare la comune volontà dei contraenti la verifica di corrispondenza e coerenza tra il dato testuale del contratto e tutti gli ulteriori elementi, emergenti dalle parti restanti del contratto e dalla condotta delle parti.
II) Violazione e/o falsa applicazione dell’art.33 della legge n.41/1986, dell’art.2 della legge n.37/1973, dell’art.15, comma 5, della legge n.498/1992, degli art.343 e 344 della legge n.2284/1865, dell’art.20 del regolamento approvato con RD 25 maggio 1895 n.350, degli art.13 e 14 del DPR n.1063/1962 e dell’art.161 del DPR n.207 del 2010, in relazione all’art.360 co 1 n.3 c.p.c. -Violazione e falsa applicazione degli art.1230 e ss. c.c. e 1362 e ss. c.c. in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. -omesso esame di fatti anche individualmente decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art.360, comma 1 n.5 c.p.c.
La sentenza impugnata errerebbe nell’applicazione delle disposizioni di legge che regolano lo ius variandi dell’Amministrazione. La perizia, espressamente definita ‘di completamento e ripristino opere ammalorate’, recepita nell’atto di sottomissione del 6.12.2000 rientrerebbe nella fattispecie disciplinata dagli art.343 e 344 RD n.2248/1865 e s.m.i., con la
conseguenza della esclusione della possibilità che l’atto di sottomissione del 6.12.2000 possa essere considerato autonomo e innovativo. La Corte avrebbe pure omesso di valutare una serie di fatti (che sono gli stessi esposti al punto precedente) autonomamente decisivi e discussi, che avrebbero portato ad una decisione diametralmente opposta a quella contestata.
Nell’esplicitazione del motivo il Consorzio ricorrente ripete considerazioni analoghe a quelle svolte a supporto del primo motivo di ricorso, esaminandole sotto il profilo delle caratteristiche dell’esercizio dello ius variandi da parte della Pubblica Amministrazione: in particolare, il ricorrente sottolinea il carattere accessorio della variante rispetto all’opera progettata e contrattualmente stabilita perché, diversamente, si sarebbe in presenza non di una modificazione del progetto ma di un nuovo contratto, ed evidenziata altresì la differenza tra atto aggiuntivo che regolerebbe l’ipotesi di eccedenza oltre il quinto d’obbligo dei lavori periziati rispetto al contratto originario e si aggiungerebbe a quest’ultimo – e atto di sottomissione -che riguarderebbe invece variazioni e/o aggiunte rimanenti nell’ambito dell’originario contratto, nel quale si inserirebbe automaticamente-, afferma la natura di atto di sottomissione dell’accordo del 6.12.2000. Secondo il Consorzio, la Corte di merito non avrebbe infatti tenuto debito conto del fatto che, nel caso di specie, oggetto dell’accordo del 6.12.2000 sarebbero state solo variazioni contrattuali chiaramente introdotte per la completa esecuzione dell’intervento e rientranti, nei limiti del quinto d’obbligo, nel suo ambito, tanto che l’opera finale non presenterebbe alcun rilievo di alterità rispetto a quella originaria ed anzi riguarderebbe la medesima strada con la medesima ubicazione con limitate modifiche volte a rendere più celere il suo completamento.
7. Ha presentato controricorso la Città Metropolitana di Napoli prospettando l’inammissibilità -e comunque l’infondatezza -del
primo motivo perché il Consorzio, attraverso il richiamo al vizio di motivazione di cui all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., solleciterebbe l’esame indiretto sul merito della controversia, con specifico riferimento alla valutazione dell’atto negoziale del 6.12.2000; sarebbe improprio anche il richiamo all’art. 360 co 1 n.5 non presentando la motivazione, esistente, gravissimi vizi giuridici e non essendo la stessa articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente e obiettivamente incomprensibili; nemmeno si configurerebbe la violazione delle regole di interpretazione del contratto per la quale sarebbe comunque necessario indicare i canoni in concreto non osservati ed il modo in cui il giudice di merito se ne sia discostato, non essendo idonea una critica del risultato raggiunto dallo stesso Giudice mediante la contrapposizione di una diversa interpretazione. Sarebbe inammissibile e infondato anche il secondo motivo di doglianza prospettato dal ricorrente perché supportato da profili di operatività dello ius variandi prospettati per la prima volta solo nella memoria conclusionale in grado di appello; il Consorzio valorizzerebbe inoltre in modo inappropriato una diversità dell’atto aggiuntivo e dell’atto di sottomissione da cui trarrebbe conseguenze non condivisibili.
Il Consorzio ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Appare opportuno osservare che la questione che rimane ancora controversa riguarda la possibilità di riconoscere la revisione prezzi richiesta dal RAGIONE_SOCIALE per il periodo successivo al 6.12.2000 fino alla fine dei lavori, intervenuta il 15.2.2003, secondo l’indicazione emergente dall’art.33 l. n.41/86 (pacificamente già abrogato il 6.12.2000) che sostituisce di diritto la clausola 5, dichiarata nulla, del precedente accordo del 23.2.1990 e che si applica ormai pacificamente dal 1.4.1996 (dopo il periodo coperto dalla transazione intervenuta, per il periodo
precedente, tra il Consorzio e il Commissario Straordinario, originario contraente) al 6.12.2000.
Non è più in contestazione, infatti, in assenza di ricorso incidentale avverso la pronuncia della Corte d’Appello confermativa della sentenza del Tribunale di Napoli sul punto, la nullità della clausola 5 dell’accordo del 23.2.1990 e la sua sostituzione di diritto con il disposto dell’art.33 cit., e quindi la debenza della revisione prezzi da calcolare secondo la norma indicata per il periodo 1.4.1996/6.12.2000 (così come non sono più in discussione la misura degli interessi di mora sul credito del RAGIONE_SOCIALE riconosciuto nell’ambito del presente giudizio e l’assenza dei presupposti per l’anatocismo in riferimento a detti interessi).
Attraverso i motivi di ricorso articolati il RAGIONE_SOCIALE vorrebbe che sia riconosciuto il suo diritto alla revisione prezzi ex art.33 l. n.41/86, pur abrogato nel 1992, anche per il periodo successivo al 6.12.2000, facendo riferimento all’accordo del 23.2.1990, rispetto al quale il successivo atto di sottomissione del 6.12.2000 avrebbe carattere accessorio senza poterlo, di conseguenza, sostituire per il profilo in esame, ed escludendo rilievo all’intervento della legge n.498/1992 perché successivo alla stipula del 23.2.1990; la Città Metropolitana di Napoli contrasta la richiesta aderendo infine alla composizione dei rapporti tra le parti in ordine alla revisione prezzi come da ultimo definita dalla Corte d’Appello di Napoli.
La questione centrale da esaminare alla luce dei motivi di ricorso proposti dal RAGIONE_SOCIALE è costituita pertanto dalla verifica della correttezza, nei limiti di cui all’art.360 c.p.c., della natura giuridica di contratto autonomo e novativo attribuita dalla Corte d’Appello di Napoli all’accordo intervenuto tra le parti il 6.12.2000.
10. Nel contesto delle considerazioni svolte, l’esame dei motivi di ricorso articolati dal RAGIONE_SOCIALE comporta prima di tutto la soluzione di una questione rilevante sull’ammissibilità di entrambi.
Sia il primo che il secondo motivo di ricorso contengono infatti profili di contestazione riferibili a più ipotesi disciplinate dall’art.360 c.p.c., poiché nella loro articolazione si fa riferimento sia alla violazione di legge, di cui al comma 1 n.3 dell’art.360 c.p.c., sia all’omessa considerazione di fatti decisivi discussi, di cui al comma 1 n.5 della stessa norma.
La giurisprudenza di questa Corte non è univoca per la valutazione di ammissibilità di motivi di ricorso per cassazione cd misti perché contenenti più profili di doglianza, ma appaiono condivisibili al riguardo le considerazioni svolte nell’ordinanza della Corte di Cassazione n.39169/2021 che ammette detta possibilità, purché la formulazione del motivo permetta ‘ di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati ‘. Nella motivazione del provvedimento si precisa che se ‘ E’ vero, infatti, che un ampio indirizzo della giurisprudenza di questa Corte non ritiene consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez.3, 23.6.2017 n.15651; Sez.6, 4.12.2014 n.25722; Sez. 2, 31.1.2013 n.2299; Sez.3, 29.5.2012 n.8551; Sez.1, 23.9.2011 n.19443; Sez.5, 29.2.2008 n.5471). 6.4. Si è tuttavia anche ritenuto che l’inammissibilità in linea di principio della mescolanza e della sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, nn. 3 e 5, può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in
cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Sez.6, 09.08.2017 n. 19893; Sez.un. 6.5.2015, n.9100). In particolare, le Sezioni Unite con la sentenza n.17931 del 24.7.2013 hanno ritenuto che, ove tale scindibilità sia possibile, debba ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure siano tenute distinte, alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, segnatamente a quello, tradizionale e millenario, iura novit curia, ed a quello, di derivazione sovranazionale, della c.d. «effettività» della tutela giurisdizionale, da ritenersi insito nel diritto al «giusto processo» di cui all’art. 111 Cost., elaborato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile e segnatamente nell’attività di interpretazione delle norme processuali, corrispondere una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi statuali preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale, senza eccessivi formalismi. La miscela di due diversi profili, riflettenti i vizi di violazione di legge ed omessa motivazione, non impedisce infatti di cogliere il senso e la portata delle questioni proposte dal ricorrente. Non risulta pertanto violato il canone di specificità dell’impugnazione, il quale, pur inducendo a ritenere preferibile la distinta proposizione di censure riguardanti l’interpretazione di norme giuridiche e la ricostruzione dei fatti di causa, non ne preclude la formulazione in unico contesto, a condizione che, …, l’illustrazione del motivo consenta d’individuare con chiarezza le questioni prospettate e di procedere, se necessario, ad un esame separato delle stesse (cfr. Sez. Un., 6.05.2015, n. 9100; Sez. 2, 23.10.2018, n. 26790; Sez.6, 17. 03.2017, n. 7009)’.
Nel caso di specie le contestazioni svolte nel corpo del primo motivo di ricorso si possono sintetizzare come segue: -omessa
valutazione di una serie di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, effettivamente esaminati in contraddittorio, la cui adeguata considerazione avrebbe determinato un esito completamente diverso (asserito vizio di motivazione, rientrante nell’ambito dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c.); -erronea interpretazione dell’accordo concluso il 6.12.2000, quindi erronea qualificazione giuridica dello stesso, con violazione delle norme sia disciplinanti l’interpretazione dei contratti, art.1362 e s. c.c., sia delle norme disciplinanti la novazione oggettiva (violazione di legge).
Anche nel secondo motivo articolato è possibile distinguere i profili prospettati come violativi dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c., che sono analoghi a quelli svolti nell’ambito del primo motivo, dalle critiche prospettate come violazione di legge, ex art.360 co 1 n.3 c.p.c., concernenti non direttamente l’interpretazione dell’accordo del 6.12.2000 ma la possibilità, in radice, che un atto di sottomissione, quale detto accordo sarebbe, possa avere carattere diverso dalla mera accessorietà rispetto agli atti negoziali precedenti.
In entrambi i casi l’operazione di scissione a cui fa riferimento l’ordinanza di questa Corte n.39169/2021 può essere compiuta, in concreto, senza troppe difficoltà nell’ambito delle deduzioni del ricorrente.
Entrambi i motivi di ricorso per cassazione, pur di carattere misto, superano pertanto il vaglio di ammissibilità.
11. Ancora comune sia al primo che al secondo motivo è la questione relativa all’ammissibilità di un accordo/atto di sottomissione, stipulato per l’intervento di varianti nei limiti del quinto d’obbligo, non accessorio rispetto all’attività negoziale precedente ma con carattere di autonomia e novatività rispetto ad essa.
In diritto, è riconosciuta la possibilità che un accordo di sottomissione intervenuto, dopo la predisposizione di varianti, nell’ambito di un rapporto di concessione/appalto pubblico e
incidente sulle prestazioni a carico delle parti, possa essere autonomo e novativo rispetto agli atti negoziali già regolanti il rapporto, anche quando provocato da una variante di incidenza inferiore al quinto.
E’ chiaro, in proposito, quanto emerge dall’ordinanza della Corte di Cassazione n.30886/2018, che merita piena adesione, nel senso che ‘ In tema di appalto di opere pubbliche, qualora l’accordo intervenuto tra le parti per l’esecuzione di nuovi lavori non ecceda un quinto del valore dei lavori originariamente pattuiti, non se ne può presumere, solo per tale caratteristica, la natura accessoria al contratto principale, essendo compito del giudice del merito verificare se possa valere come presupposto logico-giuridico per la configurabilità di un accordo nuovo od autonomo ‘. Nella motivazione del provvedimento richiamato, in una situazione analoga alla presente, decisa dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza che appare percorrere un iter motivazionale simile a quello seguito dalla stessa Corte di merito per la decisione della presente controversia, la Corte di Cassazione ha chiarito che: ‘ La questione centrale del ricorso riguarda la natura negoziae dell’atto di sottomissione del … (novativo e autonomo o meramente integrativo e accessorio) rispetto al contratto principale. …. 11. -Con riguardo al fondo della questione, la giurisprudenza, ordinaria e amministrativa, è nel senso che l’accordo intervenuto tra le parti per l’esecuzione di nuovi lavori in variante per un importo superiore di oltre un quinto (a quello stabilito) richiede un nuovo impegno di spesa e la stipulazione di un nuovo contratto che deve essere considerato come contratto autonomo rispetto a quello originario (Cass. n. 10663/2011), al quale è applicabile la normativa vigente in quel momento (Cons. di Stato, sez. V, n. 7130/2005). 12.- Ciò tuttavia non significa che se non è superato il predetto limite del «quinto» l’accordo non sarebbe mai configurabile come nuovo e autonomo, con la conseguenza che il regime normativo applicabile
sarebbe sempre quello del contratto originario. E’ compito del giudice di merito, infatti, valutare il tenore delle intese raggiunte tra le parti e dell’accordo raggiunto sugli ulteriori lavori da eseguire e sul relativo prezzo aggiornato, come presupposto logico e giuridico per ritenerlo autonomo o meramente accessorio al contratto principale. ‘.
E’ chiaro quindi che in tesi l’autonomia e novatività dell’accordo del 6.12.2000 rispetto al contratto originario e agli atti negoziali precedenti sarebbe stata certamente possibile e legittima, anche se la variante che lo ha preceduto non ha avuto, in concreto, incisività sull’intervento concordato tale da superare il quinto del valore originario del contratto.
Stabilire quale sia la qualificazione corretta da attribuire all’accordo del 6.12.2000 è questione di interpretazione dell’atto negoziale, la quale presuppone prima l’identificazione di tutte le circostanze di fatto da valorizzare a tal fine per la loro prospettata decisività.
Passando ora alle altre questioni poste dal primo motivo di ricorso e richiamata la sintesi del suo contenuto sopra svolta, si osserva quanto segue.
12.1. Deve essere esaminata per prima la critica rivolta alla sentenza ricorsa consistente nel non avere la Corte d’Appello vagliato fatti determinanti oggetto di discussione tra le parti.
Per prospettare la violazione dell’art.360 n.5 c.p.c. il Consorzio richiama una serie di circostanze -che peraltro sono state tenute in considerazione dalla Corte di merito, come si vedrà oltre, e che dovrebbero essere comunque valutate in un contesto probatorio più ampio comprendente anche le altre emergenze documentali-, affermandone una decisività che, in concreto, esse non hanno affatto, potendo al più rilevare come elementi indiziari da inserire nell’ambito di un ragionamento presuntivo; questo richiederebbe però una gravità, precisione e concordanza di indizi tale da supportarlo escludendo significanza a tutte le altre emergenze
istruttorie e ciò, nel caso di specie, proprio non è dato rilevare per una loro considerazione nel senso voluto dal ricorrente.
Il Consorzio ha infatti sottolineato che: l’accordo del 6.12.2000 riguardava il completamento delle opere ancora in corso, con interventi di pulizia e di rifacimento delle opere ammalorate, in prosecuzione quindi con l’attività, che veniva ripresa , già posta in essere per la gran parte dell’intervento pattuito in esecuzione del contratto originario e degli accordi negoziali successivi; la realizzazione della stradina di accesso contemplata nell’accordo del 6.12.2000 costituiva effettivamente un lavoro extra rispetto all’intervento originario ma essa sostituiva un precedente accesso inizialmente previsto, e la sua incidenza economica era minima, così come di importo modesto rispetto all’entità dell’affare (realizzato per circa il 90%) erano i lavori di completamento; l’importo di £ 1.158.000.000, previsto nell’accordo come relativo alla revisione prezzi, non sarebbe stato un elemento di novità ma avrebbe costituito l’applicazione della clausola di un precedente contratto, e cioè dell’accordo del 23.2.1990, a conferma della carenza di autonomia dell’accordo in esame; la descrizione dei lavori, anche nel collaudo e in tutta la contabilità, era stata inoltre unica.
Tutti questi elementi di fatto sono stati considerati dalla Corte d’Appello di Napoli -cfr. alla pag.14 della sentenza ricorsa, oltre alla sintesi di cui sopra-, che di essi ha in particolare inteso valorizzare la novità (pacifica, a prescindere dal fatto che essa abbia sostituito una precedente diversa opera con finalità analoga) della stradina interpoderale ma soprattutto la pattuizione di un nuovo prezzo fisso invariabile, di cui era espressamente indicata la somma di £ 1.158.081.963 quale aggiornamento prezzi (non appare rilevante il fatto che l’importo indicato possa essere lo sviluppo della previsione di calcolo indicata nell’accordo del 23.2.1990, dato che questo e, in particolare, il suo articolo 5 non risulta richiamato
nemmeno per il profilo in esame, secondo una scelta che appare anzi essere confermativa dell’autonomia, non dell’accessorietà della pattuizione successiva), di un nuovo termine per il completamento dell’opera e di una penale per ogni giorno di ritardo. La Corte di merito ha valorizzato inoltre l’indicazione contenuta nell’art.5 dell’atto di sottomissione del 6.12.2000, in ordine alle condizioni a cui le parti intendevano sottoporre i lavori di completamento e ripristino delle opera ammalorate, per le quali erano espressamente richiamate le delibere consiliari del 30.11.1999 e del 8.11.2000 nonché le condizioni ‘per quanto compatibili, della richiamata convenzione, degli atti aggiuntivi nonché del presente atto di sottomissione’ (non l’atto di sottomissione del 23.2.1990). La Corte aveva quindi ben chiaro che i lavori residui, di entità ridotta, erano in prosecuzione e completamento dell’intervento originario, già per la maggior parte concluso, ed erano di importo contenuto rispetto al valore complessivo delle opere: semplicemente, ha offerto di tutti questi elementi di fatto -privi di decisività autonoma al fine di considerare accessorio l’accordo del 6.12.2000- una valutazione diversa da quella che il Consorzio avrebbe desiderato.
Non è pertanto riscontrabile nell’operato della Corte di merito alcuna violazione rientrante nell’ambito dell’art.360 , comma 1, n.5 c.p.c.
12.2. Quanto alla lamentata violazione di legge, prospettata sia con riferimento agli art.1362 e s., sia con riferimento agli art.1230 e s. c.c., l’articolazione del ricorso è astratta, perché delinea quali dovrebbero essere le attività da svolgere per la corretta interpretazione del contratto, anche ai fini della sua qualificazione giuridica, e quali caratteristiche siano necessarie perché si possa parlare di novazione oggettiva, ma non indica in che cosa le valutazioni operate dalla Corte di merito avrebbero concretamente leso le disposizioni normative di riferimento richiamate, salvo
affermarne l’erroneità e prospettare quello che avrebbe dovuto essere il diverso esito delle valutazioni da operare per giungere alla decisione.
Nella sostanza le doglianze svolte dal Consorzio all’operato della Corte d’Appello di Napoli consistono nella critica all’attività di interpretazione e valutazione del materiale probatorio e alla decisione che ne è seguita, perché in contrasto con quanto ritenuto corretto e auspicato dal ricorrente.
Basti richiamare sulle questioni in esame l’orientamento interpretativo univoco di questa Corte, nel senso che l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale (cfr. Cass. n. 11254/2018).
Ancora su questo profilo si legge nell’ordinanza della Corte di Cassazione n.39169/2021, sopra richiamata, che ‘ secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte in tema di ermeneutica contrattuale, … (ex multis: Sez. 1, n. 4178 del 22.2.2007, Rv. 595003 -01; Sez. 3, n. 2560 del 6.2.2007, Rv. 594992 -01; Sez. 3,n. 15798 del 28.7.2005, Rv. 584351 -01; Sez. L, n. 17168 del 9.10.2012, Rv. 624346 -01; Sez. L,n. 9054 del 15.4.2013,Rv. 626803 -01; Sez. L, n. 25728 del 15.11.2013, Rv. 628585 -01; Sez. 1,n. 27136 del 15.11.2017, Rv. 646063 -01; Sez. 5, n. 873 del 16.1.2019, Rv. 652192 – 01) l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Non è peraltro sufficiente
l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. Infine non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra ‘.
Anche questo secondo profilo di critica enucleabile dal primo motivo di ricorso per cassazione proposto dal Consorzio è pertanto da respingere.
L’esame del secondo motivo di ricorso port a alla stessa valutazione di infondatezza.
La critica in esame è incentrata sul fatto che, secondo il Consorzio ricorrente, le norme disciplinanti lo ius variandi della Pubblica Amministrazione che, per il caso di specie, sono gli art.343 e 344 l. n.2248/1865, non permetterebbero di riconoscere autonomia ed efficacia novativa all’atto di sottomissione in ipotesi di perizia in variante con incidenza inferiore al quinto d’obbligo, sottolineandosi a tal fine la differenza tra atto aggiuntivo che regolerebbe l’ipotesi di eccedenza oltre il quinto d’obbligo dei lavori periziati rispetto al contratto originario e si aggiungerebbe a quest’ultimo – e atto di sottomissione -che riguarderebbe invece, come nel caso di specie, variazioni e/o aggiunte rimanenti nel contesto dell’originario contratto, nel quale si inserirebbe automaticamentenell’ambito
dei limiti imposti normativamente all’attività della PA nell’esercizio dello ius variandi.
In concreto le considerazioni critiche svolte dal Consorzio -in sé ammissibili, contrariamente a quanto affermato dalla Città Metropolitana, perché comportanti un argomentare in diritto su circostanze di fatto ritualmente introdotte nel processo, senza alcun ampliamento del tema di decisione- mirano a contrastare per altra via l’affermazione di autonomia e novatività dell’accordo del 6.12.2000, valorizzando un profilo, e cioè la natura di atto di sottomissione di detto accordo, che non ha invece alcuna significatività determinante, per quanto sopra detto -si richiama ancora Cass. n.30886/2018-. Si ritorna pertanto alle considerazioni già svolte quanto all’assenza di supporto delle doglianze, già esaminate, volte a mettere in discussione in sede di legittimità l’attività interpretativa e valutativa svolta dalla Corte di merito con un riferimento solo apparente al disposto dell’art.360 co 1 n.3 e n.5.
Nella sostanza, infatti, anche con il motivo di ricorso in esame quello che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE mira ad ottenere è una rivisitazione, preclusa al Giudice di legittimità, delle valutazioni di merito svolte dalla Corte d’Appello nell’esaminare il materiale probatorio in atti e nel trarne le conclusioni opportune ai fini della decisione.
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
In applicazione del principio della soccombenza le spese del presente giudizio si pongono a carico del RAGIONE_SOCIALE e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna il RAGIONE_SOCIALE a rimborsare alla Città Metropolitana di Napoli le spese processuali
della presente fase di giudizio, che liquida complessivamente nell’importo di € 10.000,00, oltre € 200,00 per anticipazioni e oltre oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13 comma 1 bis .
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione