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Accordo non approvato: nessun diritto per il lavoratore

Una lavoratrice ha citato in giudizio la propria azienda per ottenere il pagamento di incentivi basati su un accordo firmato dal presidente. Tuttavia, l’accordo era qualificato come una mera “ipotesi” soggetta all’approvazione del Consiglio di Amministrazione, approvazione mai avvenuta. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che un accordo sindacale non approvato, quando tale condizione è esplicitamente prevista, è privo di efficacia giuridica e non può fondare alcun diritto per il lavoratore.

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Accordo sindacale non approvato: quando è inefficace e non genera diritti

Un accordo firmato dal presidente di una società è sempre vincolante per l’azienda? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, chiarisce i limiti del potere di rappresentanza e le conseguenze di un accordo sindacale non approvato dal Consiglio di Amministrazione (CdA), quando tale approvazione sia esplicitamente richiesta come condizione di validità. Il caso analizzato offre spunti fondamentali sulla distinzione tra potere rappresentativo e potere deliberativo all’interno delle società.

I fatti di causa

Una dipendente di una società di riscossione si rivolgeva al Tribunale per ottenere il riconoscimento del suo diritto a percepire il trattamento retributivo incentivante e il premio di produttività per gli anni dal 2012 al 2015. La sua richiesta si fondava su accordi collettivi e, in particolare, su una scrittura privata del 2015, definita nel testo stesso come “ipotesi di accordo”.

La società si difendeva sostenendo la non debenza delle somme. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello in secondo grado rigettavano le domande della lavoratrice. In particolare, la Corte territoriale sottolineava come la scrittura privata del 2015 fosse una mera ipotesi di accordo, priva di effetti giuridici vincolanti, in quanto una clausola conclusiva ne subordinava esplicitamente la validità all’approvazione da parte del Consiglio di Amministrazione della società, approvazione che non era mai intervenuta. La lavoratrice, insoddisfatta, proponeva quindi ricorso per Cassazione.

La questione dell’accordo sindacale non approvato dal CdA

Il fulcro della controversia risiede nella natura giuridica dell'”ipotesi di accordo” e nelle conseguenze della sua mancata ratifica. La ricorrente sosteneva che l’accordo fosse valido e che la clausola di approvazione costituisse un limite al potere di rappresentanza del presidente, inopponibile ai terzi secondo l’art. 2384 del codice civile.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva interpretato la clausola in modo diverso. Non si trattava di un limite statutario al potere di rappresentanza, ma di un elemento costitutivo dell’accordo stesso, voluto dalle parti. La volontà espressa nel documento non era quella di creare un vincolo immediato, ma di subordinarne l’esistenza e l’efficacia a un evento futuro e incerto: la delibera favorevole del CdA. In assenza di tale delibera, l’accordo rimaneva allo stadio di una semplice bozza, non perfezionata e inidonea a produrre effetti obbligatori.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito che l’interpretazione del contratto è un’attività riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica, cosa non avvenuta nel caso di specie.

La Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso, ritenendo che la Corte territoriale avesse correttamente valutato la documentazione e avesse fornito una motivazione logica e coerente per le sue conclusioni.

Le motivazioni

La Cassazione ha chiarito in modo definitivo perché un accordo sindacale non approvato non può essere considerato valido. La motivazione si articola su alcuni punti chiave:

1. Natura della clausola di approvazione: La Corte ha stabilito che la clausola che subordina l’efficacia dell’accordo all’approvazione del CdA non è un limite esterno al potere del rappresentante, ma una condizione intrinseca di validità o efficacia dell’atto stesso. Di conseguenza, non si applica la tutela prevista dall’art. 2384 c.c. per i terzi in buona fede. Il presidente, inserendo quella clausola, ha manifestato chiaramente la dissociazione tra il suo potere rappresentativo (firmare l’atto) e il potere deliberativo (formare la volontà vincolante della società), che rimaneva in capo all’organo collegiale.

2. Mancato perfezionamento dell’accordo: In mancanza della successiva approvazione, il contratto non si è mai perfezionato. Si è rimasti nella fase delle trattative, cristallizzate in una “ipotesi di accordo” che, per sua natura, non è produttiva di effetti giuridici obbligatori.

3. Irrilevanza delle vicende successive: La Corte ha considerato irrilevante la circostanza che il presidente firmatario dell’ipotesi di accordo fosse successivamente diventato amministratore unico della società. La sua nomina non poteva sanare retroattivamente la mancanza dell’approvazione richiesta, che doveva provenire dall’organo competente al momento della stipula.

4. Onere della prova: La lavoratrice, inoltre, non aveva fornito prova adeguata né degli specifici obiettivi legati al sistema incentivante richiesto né del loro effettivo conseguimento, rendendo comunque infondata la sua pretesa.

Conclusioni

La decisione della Suprema Corte riafferma un principio fondamentale nel diritto societario e del lavoro: la chiara volontà delle parti, espressa in un contratto, è sovrana. Se le parti decidono di subordinare la validità di un accordo a una condizione sospensiva, come l’approvazione di un organo societario, l’accordo non produrrà alcun effetto fino al verificarsi di tale condizione. Questa pronuncia serve da monito per i lavoratori e le organizzazioni sindacali: un'”ipotesi di accordo” o un verbale che contenga una riserva di approvazione non costituisce un diritto acquisito, ma solo un passo intermedio nel processo negoziale, il cui esito finale dipende dalla volontà dell’organo deliberativo competente.

Un’ipotesi di accordo firmata dal presidente di una società è sempre vincolante per l’azienda?
No. Se l’accordo stesso contiene una clausola che ne subordina la validità o l’efficacia all’approvazione del Consiglio di Amministrazione (CdA), esso non è vincolante fino a quando tale approvazione non viene concessa. La firma del presidente, in questo caso, manifesta solo l’intenzione di sottoporre l’ipotesi all’organo deliberativo.

Cosa succede se un accordo prevede esplicitamente di essere approvato dal Consiglio di Amministrazione e tale approvazione non arriva?
L’accordo rimane una mera “ipotesi” e non si perfeziona. È da considerarsi giuridicamente inefficace e non può produrre alcun effetto obbligatorio per la società né far sorgere diritti in capo ai lavoratori.

Il fatto che il presidente firmatario diventi successivamente amministratore unico può sanare la mancata approvazione dell’accordo?
No. La Corte ha ritenuto tale circostanza irrilevante. La validità dell’accordo dipende dall’approvazione dell’organo che era competente al momento della stipula (il CdA). Un cambiamento successivo nella governance societaria non ha effetto retroattivo per sanare la mancanza di un elemento costitutivo dell’accordo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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