Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3453 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3453 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15766/2023 R.G. proposto da :
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE , domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende ex lege -ricorrenti- contro
REGIONE AUTONOMA VALLE D’AOSTA , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3096/2023 depositata il 3.5.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Regione Autonoma Valle d’Aosta (di seguito, semplicemente:
RAVA) ha evocato in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Governo della Repubblica (di seguito: PCM) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito: MEF) per ottenere il versamento delle somme derivanti dall’applicazione, nel territorio regionale, dell’art. 1, comma 7, della legge 15.12.2014, n. 186, con cui era stata prevista l’integrale devoluzione all’erario delle somme riscosse all’esito delle procedure di collaborazione volontaria ( voluntary disclosure ) per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite all’estero, nonché delle somme dovute dal contribuente per Irpef, Irap e Iva in esito alla definizione delle procedure di versamento e per sanzioni, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Consulta con sentenza n. 66 del 2016 nei confronti della Regione per contrasto con le disposizioni statutarie, che ad essa riconoscevano tale gettito.
RAVA ha sostenuto che la decisione della Corte Costituzionale si inseriva in un più ampio contenzioso che vedeva la pendenza di plurimi ricorsi, avviati sia dalla RAVA sia da altre Regioni, sicché, in parallelo alla vertenza, era stato stipulato un Accordo tra il MEF e il Presidente della RAVA per la definizione delle reciproche relazioni finanziarie, in base al quale la Regione « si impegnava a rinunciare ai ricorsi pendenti e/o agli effetti positivi … che dovessero derivare da eventuali future pronunce di accoglimento della Corte costituzionale »; in attuazione di tale clausola, la Regione aveva adottato una delibera con cui individuava l’elenco dei contenziosi
costituzionali cui si estendeva la rinuncia, tra i quali non figurava quello, già pendente, definito con la decisione n. 66/2016, che riteneva escluso dall’accordo del 21.7.2015; la Ragioneria di Stato, tuttavia, nell’erogare alla Regione Valle d’Aosta le somme spettanti per le entrate erariali in base allo Statuto non aveva incluso quelle derivanti dalla sentenza n. 66/2016.
Le Amministrazioni statali si sono costituite in giudizio eccependo preliminarmente l’inammissibilità della domanda per difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore della Corte costituzionale e, in subordine, a favore del giudice amministrativo; hanno altresì dedotto , in ogni caso, l’infondatezza della richiesta perché preclusa dalla clausola di rinuncia contenuta nel citato Accordo.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1206/2020, ritenuta la propria giurisdizione, ha respinto la domanda.
La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Roma, che, con la sentenza qui impugnata del 3.5.2023, ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, ha ritenuto che l’Accordo si riferisse con la clausola di rinuncia anche alle somme conseguite in base ai meccanismi di voluntary disclosure ex legge n. 186 del 2014 percepite sul territorio regionale, ma esclusivamente per le annualità 2014 e 2015; di conseguenza, la Corte territoriale ha accolto la domanda con riferimento alle somme conseguite in base ai meccanismi di voluntary disclosure ex legge n. 186 del 2014 percepite sul territorio regionale e riferite all’anno 2016, ritenuto non coperto dall’Accordo de quo .
La PCM e il MEF hanno proposto ricorso per cassazione con quattro motivi.
Ha resistito RAVA con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con sei motivi, al quale hanno replicato le Amministrazioni statali con controricorso.
Il Procuratore generale ha presentato conclusioni scritte, con cui ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario con rimessione della causa alla Prima Sezione civile per la decisione dei restanti motivi.
In prossimità dell’udienza la Regione Autonoma Valle d’Aosta ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ordinanza n.14393 del 23.5.2024 hanno rigettato il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti i motivi dal quarto al sesto del ricorso incidentale; hanno quindi rimesso la causa alla competente Prima Sezione civile di questa Corte per la separata decisione degli ulteriori motivi del ricorso principale e di quello incidentale, oltre che per le spese del procedimento.
10.1 . In particolare, con il primo motivo del ricorso principale i ricorrenti avevano denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 134 Cost. e dell’art. 39 l. n. 87 del 1953, deducendo difetto di giurisdizione dei giudici comuni in favore della Corte costituzionale posto che la Valle d’Aosta, con la domanda proposta, avrebbe lamentato, in sostanza, la violazione da parte dello Stato del giudicato costituzionale realizzata con la non erogazione da parte della Ragioneria Generale dello Stato delle risorse derivanti dall’applicazione dell’art. 1, comma 7, l. n. 186 del 2014.
10.2. Con il secondo motivo i ricorrenti avevano denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., violazione degli artt. 133, comma 1, lett. a), n. 2) e 7, commi 1, 4 e 5, c.p.a., deducendo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore del giudice amministrativo sotto un duplice profilo: da un lato la controversia aveva ad oggetto un accordo fra pubbliche amministrazioni; in ogni caso, la causa rientrava nella giurisdizione
generale di legittimità del giudice amministrativo perché relativa ad atti e provvedimenti della pubblica amministrazione.
10.3 . Il quarto motivo del ricorso incidentale di RAVA denunciava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 37, 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale condizionato delle controparti sulle questioni di giurisdizione.
10.4. Il quinto motivo del ricorso incidentale di RAVA denunciava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112, 342 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione e contraddittorietà insuperabile in ordine all’esame del primo motivo dell’appello incidentale delle controparti sulla questione di giurisdizione in favore della Corte costituzionale, ritenuto dalla sentenza aspecifico senza che ne fosse stata statuita l’inammissibilità.
10.5 . Il sesto motivo del ricorso incidentale di RAVA denunciava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112 e 342, cod. proc. civ., omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità del secondo motivo di appello incidentale delle controparti.
10.6. Le Sezioni Unite, rigettando i primi due motivi del ricorso principale e conseguentemente assorbendo il quarto, quinto e sesto motivo del ricorso incidentale, hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario.
A valle di questa decisione hanno ritenuto che la natura delle questioni poste con i residui motivi del ricorso principale e di quello incidentale, giustificasse, ai sensi dell’art.142 disp. att. cod. proc. civ., la rimessione della causa alla Sezione semplice per la decisione.
10.7. La Regione Autonoma Valle d’Aosta ha depositato ulteriore memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi ancora da scrutinare, all’esito del parziale esame condotto dalle Sezioni Unite, sono il terzo e il quarto del ricorso principale e i primi tre motivi del ricorso incidentale.
11.1. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente perché il giudice d’appello, nell’accogliere il quarto motivo dell’atto di gravame della Regione e nel ritenere la validità dell’Accordo, ma per i soli anni 2014 e 2015, si era limitato a condividere la tesi dell’appellante, senza che tale conclusione fosse supportata da un idoneo ed esaustivo ragionamento logico giuridico e senza un confronto con le articolate difese svolte dalle Amministrazioni statali.
11.2. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. perché la sentenza avrebbe erroneamente interpretato l’Accordo stipulato tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Valle d’Aosta nella parte in cui dispone che « la Regione si impegna a rinunziare ai ricorsi e/o agli effetti positivi, sia in termini di saldo netto da finanziare, che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali future pronunce di accoglimento da parte della Corte Costituzionale ».
11.3. Con il primo motivo del ricorso incidentale RAVA denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 3, 24, 111 Cost., 6 e 13 CEDU per difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata quanto al rigetto dei primi
tre motivi dell’appello, in violazione del c.d. minimo costituzionale e dei diritti di difesa e di accesso effettivo al giudizio.
11.4. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. e del criterio dell’interpretazione costituzionalmente orientata in riferimento agli artt. 116, 117, 119, 120 Cost. e agli artt. 12, 48 bis e 50 della Statuto speciale valdostano di cui alla l. cost. n. 4 del 1948, nonché alla l. n. 320 del 1990 e al d.lgs. n. 320 del 1990, in ordine all’interpretazione dell’Accordo di finanza pubblica del 21 luglio 2015 e alla relativa clausola di rinuncia.
Secondo RAVA, la sua pretesa di vedersi restituite dallo Stato le entrate tributarie percette sul territorio regionale in applicazione della l. n. 184/2014 discende direttamente dalla sentenza della Corte costituzionale n. 66/2016 (che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma nella parte in cui prevedeva il riversamento in fondo statale delle somme percepite sul territorio regionale) e non rientra nell’Accordo di finanza pubblica del 21.7.2015 e nella relativa clausola di rinuncia. La sentenza sarebbe illegittima per violazione/errata applicazione dello Statuto della Valle d’Aosta, dei principi costituzionali sulle autonomie differenziate, delle norme di interpretazione dei contratti (testuale, teleologico, del comportamento delle parti).
11.5 . Il terzo motivo di ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla richiesta subordinata di dichiarazione di nullità dell’accordo.
Vi sarebbe nullità per contrasto con le norme costituzionali, statutarie e di attuazione statutaria in materia di autonomie differenziate e autonomia finanziaria della Valle d’Aosta, da ritenersi norme imperative ai fini della validità del contratto. L’Accordo di finanza pubblica non potrebbe disporre delle entrate
tributarie e del relativo gettito perché è materia riservata a fonti di rango costituzionale o rinforzato (statuto e d.lgs. di attuazione statutaria) e perché comunque non si può rinunciare ex post agli effetti di sentenze costituzionali erga omnes che incidono sulle competenze e sui diritti dei cittadini.
Con la memoria del 28.1.2025 RAVA ha preliminarmente invocato l’ordinanza n. 14393 del 23.5.2024 delle Sezioni Unite , resa in questo giudizio, che ha confermato la giurisdizione del Giudice Ordinario, peraltro alla luce di alcuni accertamenti che rivestirebbero, a suo dire, natura vincolante anche ai fini della decisione di merito.
12.1. In particolare, la ricorrente incidentale si riferisce a due passaggi dell’ordinanza ove si afferma:
« Come emerge chiaramente dalla domanda attorea contenuta nell’atto di citazione, la pretesa dell’amministrazione regionale è diretta ad ottenere il pagamento delle somme dovute derivanti dall’obbligo accertato con la sentenza n. 66 del 2016, e riespansione delle norme statutarie, per il versamento dei proventi della voluntary disclosure, non corrisposte dallo Stato e, dunque, ha ad oggetto un normale credito pecuniario a fronte dell’inadempimento statuale » (§7.2 delle ‘Ragioni della decisione’) ; « Come sopra rilevato, la domanda fatta valere dalla Regione ha ad oggetto una pretesa meramente patrimoniale, individuata nell’omesso adempimento dell’obbligo derivante dalla richiamata decisione n. 66/2016 della Corte costituzionale. Esula, dunque, dalla causa petendi il dedotto accordo del 15 luglio 2015 » (§8.2 delle ‘Ragioni della decisione’).
Secondo RAVA, con i riferiti passaggi motivazionali le Sezioni Unite avrebbero confermato che sulla pretesa azionata dalla Regione con l’atto introduttivo del presente giudizio non può in alcun modo incidere l’Accordo di finanza pubblica del 21.7.2015, riconoscendo quindi -sia pure con accertamento incidentale e finalizzato a
dirimere la questione di giurisdizione, ma comunque vincolante per la decisione di merito ora da assumere -l’estraneità del suddetto Accordo rispetto al perimetro della pretesa e dell’accertamento richiesti.
L’accertamento operato dalle Sezioni Unite nell’ambito di questo stesso giudizio avrebbe perciò valore vincolante e la pretesa della Regione dovrebbe essere valutata senza considerare l’Accordo di finanza pubblica del 21.7.2015, al quale essa è estranea.
12.2. L’assunto non può esser condiviso.
Lasciando in disparte il fatto che la rimessione a questa Sezione dell’esame degli altri motivi di ricorso non avrebbe avuto uno scopo reale, se davvero già il tema del contendere fosse stato appianato indirettamente dalla decisione sulla giurisdizione, l’argomentazione prospettata si basa su di un evidente fraintendimento dell’ordinanza delle Sezioni Unite.
Il Supremo Consesso ha dapprima esaminato isolatamente la domanda proposta da RAVA contenuta nell’atto di citazione per affermare che la pretesa dell’ Amministrazione regionale era diretta ad ottenere il pagamento delle somme dovute derivanti dall’obbligo accertato con la sentenza n. 66 del 2016, per il versamento dei proventi della voluntary disclosure , non corrisposte dallo Stato e, dunque, aveva ad oggetto un normale credito pecuniario a fronte dell’inadempimento statuale.
Poi le Sezioni Unite hanno ricordato che ciò rilevava perché in via generale la giurisdizione va determinata sulla base della domanda anche se, a tali fini, occorre riferirsi non già alla prospettazione compiuta dalla parte bensì al petitum sostanziale, che deve essere identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto in funzione della causa petendi , ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati.
Quindi le Sezioni Unite hanno puntualizzato che non assumono rilievo, invece, le eventuali eccezioni sollevate dal convenuto, a meno che le stesse non evidenzino che la pretesa giudiziale di controparte (già come formulata ab initio ovvero in relazione alle conseguenti repliche del creditore che concretizzino una richiesta di accertamento con efficacia di giudicato) implichi l’accertamento di situazioni soggettive che esulano dalla cognizione del giudice adito. Per questa ragione la Corte, avendo constatato che la domanda fatta valere dalla Regione aveva ad oggetto una pretesa meramente patrimoniale, individuata nell’omesso adempimento dell’obbligo derivante dalla richiamata decisione n. 66/2016 della Corte costituzionale, ha affermato che esulava dalla causa petendi attorea il dedotto Accordo del 21.7.2015 e ha ribadito che la Regione faceva valere non l’esecuzione di un accordo ex art. 15 l. 241/1990, bensì gli effetti diretti e attributivi di carattere restitutorio derivanti dalla pronunzia di legittimità costituzionale. della domanda attorea e la sua irrilevanza ai fini della determinazione della giurisdizione non significa affatto la sua irrilevanza in causa, impeditiva dalle
Tuttavia, l ‘estraneità dell’Accordo alla causa petendi visto che esso è stato fatto valere in via Amministrazioni convenute.
Ed in effetti le Sezioni Unite hanno aggiunto che, anche a voler considerare l’Accordo del 21.7.2015, eccepito dalle Amministrazioni statali come fatto impeditivo del diritto vantato dalla Regione e sulla cui portata la sentenza d’appello si è pronunciata con statuizione non meramente incidentale, e a voler attribuire rilevanza ad esso ai fini della individuazione della causa petendi della complessiva domanda, comunque doveva essere escluso che la fattispecie fosse riconducibile all’art. 133, comma 1, lett. a) , n. 2 c.p.a. (§ 8.3. dell’ordinanza 14593/2024 delle Sezioni Unite).
13. Il terzo motivo di ricorso principale e il primo motivo di ricorso incidentale possono essere esaminati congiuntamente.
Essi denunciano, naturalmente in opposte direzioni, la mera apparenza della motivazione con cui la Corte capitolina ha ritenuto che la clausola di rinuncia contenuta nell’Accordo MEF -RAVA del 21.7.2015 riguardasse le annate 2014 e 2015 e non quella del 2016.
13.1. Da un lato, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE lamentano sostanzialmente un «appiattimento» per relationem del giudice di appello sulle argomentazioni avversarie, laddove la Corte territoriale ha accolto il quarto motivo di appello di RAVA; essi sostengono che la Corte di appello nell’accogliere il quarto motivo dell’atto di gravame della Regione e nel ritenere la validità dell’Accordo, ma per i soli anni 2014 e 2015, si era limitata a condividere la tesi dell’appellante, senza sostenere tale conclusione con un idoneo ed autonomo ragionamento logico giuridico e senza un confronto con le articolate difese da loro svolte.
13.2. RAVA da parte sua, nel censurare il rigetto dei suoi primi tre motivi di appello, osserva che la sentenza impugnata ha dichiarato di riprodurre la ricostruzione della vicenda operata dalla sentenza di primo grado, quando in realtà ne ha riportato solo una pagina, insufficiente per ricostruire integralmente e compiutamente la vicenda processuale e quella sostanziale; non ha illustrato in alcun modo il contenuto motivo della decisione di primo grado, né ha ricostruito, seppur succintamente, il contenuto dei motivi di appello; nel respingere «in blocco» i primi tre motivi, ha assunto di « riportare per esteso l’accordo tra il Ministero delle Finanze e la Regione Valle d’Aosta », ma in realtà ha riprodotto esclusivamente i primi tre articoli dell’Accordo, senza spiegare perché gli altri sarebbero irrilevanti ai fini della decisione (per poi invece utilizzare contraddittoriamente in un passaggio l’art. 7, non riportandone il contenuto e anzi travisandolo totalmente); sempre per respingere tutti e tre i motivi, ha assunto di condividere la difesa di Governo e MEF in appello e ne ha riprodotto il contenuto con tecnica del copia
e incolla, ma lo stralcio riportato costituisce solo una parte della memoria avversaria, rivolto a rispondere al solo primo motivo, e ciò sebbene il secondo e il terzo motivo fossero autonomamente idonei a sovvertire la decisione impugnata e a confermare la fondatezza della pretesa della Regione; infine, ha aggiunto un paio di notazioni che non consentono in alcun modo di comprendere il contenuto della decisione con riguardo alle censure sollevate.
La sentenza impugnata -secondo la ricorrente incidentale RAVA mancherebbe di quel «minimo costituzionale» di motivazione necessario per potersi ritenere rispettato l’art. 111, c. 6, Cost., di cui l’art. 132, c., n. 4 c.p.c. costituisce estrinsecazione, e al contempo per garantire in modo non solo formale ma sostanziale i principi e diritti di ricorso effettivo e di processo giusto, tutelati a livello costituzionale e dalle carte sovranazionali (v. artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 CDFUE).
13.3 . Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6 – 1, n. 6758 del 1.3.2022; Sez. 1, n. 13248 del 30.6.2020).
Ancora si è detto che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Sez. L, n. 3819 del 14.2.2020).
13.4. Nella specie entrambe le censure si rivelano infondate.
La Corte di appello, ancorché assai stringatamente e senza riportare il contenuto dei motivi di appello, ha pur sempre dato conto in modo sufficientemente intelligibile delle ragioni che l’avevano indotta a confermare il dictum di primo grado, rigettando i primi tre motivi di appello di RAVA, in gran parte (pag.5) riproducendo il contenuto di alcune difese delle controparti, che ha dichiarato di condividere, e in parte motivando autonomamente (pag.6).
In tal modo è stato dato conto del percorso logico seguito dai giudici per pervenire alla decisione, cosa che esclude, in radice, il drastico vizio motivazionale denunciato, che si risolve in una mera apparenza, vuoto simulacro equiparabile alla assenza totale e che non è ravvisabile, dopo le modifiche apportate all’art.360, comma 1, n.5, cod.proc.civ. dal d.l. 22.6.2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7.8.2012, n. 134 alla mera insufficienza della motivazione e tantomeno alla mancata confutazione di mere argomentazioni difensive.
Anche se non sono state spese motivazioni integrative lo stesso ragionamento vale per l’accoglimento del quarto motivo di appello delle Amministrazioni statuali , volto a escludere il 2016 dall’ambito temporale dell’Accordo, con cui la Corte romana ha riprodotto e integralmente condiviso le osservazioni di RAVA.
13.5 . Non può infatti ravvisarsi il predetto vizio per la mera adesione di volta in volta prestata alle argomentazioni di uno dei contraddittori -peraltro, nella fattispecie, in un caso soltanto parziale -perché in tal modo il giudice indica pur sempre alle parti la ragione che l’ha indotto a decidere in quel modo.
Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 642 del 16.1.2015; cfr anche Sez. 62, n. 22562 del 7.11.2016; Sez. 5, n. 29028 del 6.10.2022) hanno affermato al proposito che nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il
contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato.
Nella specie, poi, le tesi di parte condivise sono state espressamente riportate e corredate in un caso da ulteriori motivazioni autonomamente elaborate.
Il quarto motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale attengono entrambi all’interpretazione dell’Accordo e debbono quindi essere esaminati congiuntamente.
14.1. Il quarto motivo del ricorso principale denuncia una errata interpretazione dell’Accordo e in particolare la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. perché la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato l’Accordo stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nella parte in cui dispone che « la Regione si impegna a rinunziare ai ricorsi e/o agli effetti positivi, sia in termini di saldo netto da finanziare, che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali future pronunce di accoglimento da parte della Corte Costituzionale ».
Secondo PCM e MEF la clausola si riferiva a tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti all’atto della sottoscrizione dell’Accordo relativi alle impugnative di leggi nelle materie riconducibili ai rapporti finanziari StatoRegione, promossi prima dell’Accordo, ovvero, in caso di mancata rinuncia al giudizio, e comportava l’impegno di RAVA a rinunciare anche successivamente agli effetti finanziari positivi
derivanti da eventuali future pronunce di accoglimento da parte della Corte costituzionale.
RAVA pertanto, non menzionando, per mera disattenzione o forse volutamente, il ricorso presentato avverso la legge n. 186 del 2014, allora pendente, tra quelli espressamente fatti oggetto di rinuncia nella apposita delibera di Giunta, non ha rispettato il vincolo imposto direttamente dall’Accordo all’articolo 3, secondo cui « La regione si impegna a rinunciare ai ricorsi pendenti ».
La natura meramente ricognitiva, e quindi non esaustiva, dell’elenco contenuto nella delibera di Giunta non esonerava RAVA da tale impegno che, ove correttamente adempiuto, non avrebbe determinato la sentenza della Corte costituzionale n. 66 del 2016.
PCM e MEF ritengono quindi che siano stati violati il criterio di interpretazione letterale (art.1362), di interpretazione complessiva (art.1363), secondo buona fede (art.1366).
Conseguentemente la rinuncia ai ricorsi pendenti di cui al punto 3 dell’Accordo deve ritenersi inclusiva anche del ricorso avverso l’articolo 1, comma 7, della legge n. 186 del 2014, che, concernendo il rientro dei capitali detenuti all’estero (cd. voluntary disclosure ), attiene certamente al perseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica e, pertanto, rientra a pieno titolo nell’ambito di operatività dell’Accordo.
14.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. e del criterio dell’interpretazione costituzionalmente orientata in riferimento agli artt. 116, 117, 119, 120 Cost. e agli artt. 12, 48 bis e 50 della Statuto speciale valdostano di cui alla l. cost. n. 4 del 1948, nonché alla l. n. 320 del 1990 e al d.lgs. n. 320 del 1990, in ordine all’interpretazione dell’Accordo di finanza pubblica del 21 luglio 2015 e alla relativa clausola di rinuncia.
Secondo RAVA la sua pretesa di vedersi restituite dallo Stato le entrate tributarie percette sul territorio regionale in applicazione della l. n. 184/2014 discende direttamente dalla sentenza della Corte costituzionale n. 66/2016 (che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma nella parte in cui prevedeva il riversamento in fondo statale delle somme percepite sul territorio regionale) e non rientra nell’Accordo di finanza pubblica del 21.7.2015 e nella relativa clausola di rinuncia.
Secondo RAVA la sentenza sarebbe illegittima per violazione/errata applicazione dello Statuto della Valle d’Aosta, dei principi costituzionali sulle autonomie differenziate, delle norme di interpretazione dei contratti (testuale, teleologico, del comportamento delle parti).
14.2.1. In primo luogo la conclusione della Corte di appello sarebbe costituzionalmente incompatibile.
Secondo RAVA l’estraneità del gettito tributario derivante dalla l. n. 186 del 2014 dall’Accordo del 21.7.2015 discende infatti in via assorbente, dal fatto che in base alla normativa costituzionale relativa all’autonomia finanziaria della Regione Valle d’Aosta una diversa disciplina del gettito delle imposte statali spettante alla Regione, e tanto più la relativa rinuncia, non può essere prevista con un semplice Accordo di finanza pubblica siglato dal solo Presidente di Regione e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, ma deve essere soggetta a un procedimento speciale dettato dagli artt. 48-bis e 50 dello Statuto speciale e declinato nelle norme di attuazione statutaria.
Precisamente, a norma dell’art. 12 dello Statuto speciale (l. cost. n. 4/1948), alla Regione Valle d’Aosta è attribuita « una quota dei tributi erariali »; tale quota, per quanto riguarda i tributi oggetto della voluntary , è individuata nella legge di attuazione statutaria n. 690 del 1981 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta), e nel d.lgs. di attuazione dello Statuto n. 320 del
1990, che individuano i tributi erariali il cui gettito spetta alla Regione e la relativa percentuale (dette norme attribuiscono integralmente alla Regione Valle d’Aosta il gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle società, delle relative imposte sostitutive, nonché, per i nove decimi, quello di tutte le altre entrate tributarie erariali, comunque denominate, «percette» nel territorio regionale).
Per modificare tale sistema occorre dunque: a) una modifica dello Statuto, che a norma dell’art. 50 può avvenire solo « con il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali» , su iniziativa del Governo o del Consiglio regionale, soggetta a parere dell’altra parte; b) comunque, una modifica dei decreti di attuazione statutaria, che a norma dell’art. 48 -bis può avvenire solo con l’adozione di decreti legislativi preceduti dall’adozione del relativo schema da parte di una Commissione paritetica (composta da 3 componenti del Governo e 3 componenti del Consiglio regionale), sottoposto al parere del Consiglio regionale.
14.2.2. RAVA ravvisa inoltre violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363,1364, 1367 e 1369 cod.civ.
Applicando correttamente i suddetti criteri, infatti, il gettito tributario derivante dalla l. n. 186 del 2014 risulta comunque estraneo all’Accordo del 21.7.2015 e conseguentemente alla clausola di rinuncia di cui al relativo art. 3, anche lasciando in disparte il precedente assorbente profilo.
Secondo la ricorrente incidentale l’Accordo non riguarda genericamente « il complesso dei rapporti finanziari tra Stato e Regione », con l’effetto di includere anche le somme oggetto di voluntary disclosure all’interno di tali complessivi rapporti finanziari e, quindi, la rinuncia a tali somme nella clausola di cui all’art. 3.
Dunque sarebbe errato asserire, sulla base della sola lettura dell’art. 1 dell’Accordo, che esso si riferirebbe, genericamente, a
ogni rapporto finanziario esistente tra i due enti, e che di conseguenza anche la regolazione delle controversie e dei rapporti pendenti riguarderebbe in generale tutti i rapporti finanziari, e così anche le entrate tributarie da voluntary disclosure oggetto dell’allora pendente contenzioso costituzionale; i rapporti finanziari che l’accordo intende regolare, anche in termini di definizione delle controversie, non possono che essere solo quelli disciplinati nell’Accordo stesso, negli articoli a seguire (art. 1363 cod.civ.).
Come risulta da tutte le varie clausole dell’Accordo, esso concerne esclusivamente il patto di stabilità interno e il riequilibrio dei contributi della Regione ad autonomia speciale alla finanza pubblica (artt. 2-5), nonché gli oneri relativi al trasporto pubblico regionale (art. 6), mentre non ha per oggetto le entrate tributarie e non disciplina, esplicitamente né implicitamente, la ripartizione di queste entrate.
Concludendo, l’Accordo non disciplina in generale « il complesso dei rapporti finanziari tra Stato e Regione », ma solo alcune specifiche materie, e in particolare il contributo della Regione Valle d’Aosta alla Finanza pubblica per gli anni 2014-2015, con riferimento all’accordo annuale relativo al patto di stabilità interno della Regione e degli enti locali (artt. 2-5), e la disciplina degli oneri connessi al trasporto pubblico regionale (art. 6), mentre non riguardano in nessun modo le entrate tributarie e tanto meno le entrate derivanti dall’applicazione della l. n. 186/2014.
La clausola di rinuncia di cui all’art. 3 dell’Accordo, recante «Definizione dei contenziosi pendenti Stato -Regione», non comprende anche gli esiti dell’allora pendente contenzioso costituzionale sulla l. n. 186/2014: l’art. 3, nella misura in cui impegna la Regione a « rinunciare ai ricorsi e/o agli effetti positivi, sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali future pronunce di accoglimento da parte della Corte costituzionale » si
riferisce ai ricorsi e/o agli effetti positivi di pronunce vertenti sulle sole materie disciplinate dall’Accordo stesso (art. 1364 c.c.).
Inoltre e in ogni caso, in base all’interpretazione testuale e logico sistematica l’art. 3 dell’Accordo e la rinuncia in esso contemplata riguardano soltanto i contenziosi relativi agli ambiti disciplinati dal precedente articolo 2, cioè dalla clausola contrattuale che immediatamente lo precede, e quindi esclusivamente ai contenziosi attinenti al patto di stabilità interno 2014-2015 e ai tetti di spesa regionale concordati.
La specificazione contenuta nell’art. 3 conferma invece che i contenziosi ai quali le rinunce sono riferite sono solo quelli aventi effetti sui vincoli di spesa e sul concorso alla finanza pubblica, e cioè quelli attinenti al modo e alla misura in cui la Regione Valle d’Aosta, in quanto dotata di autonomia speciale, era chiamata a rispettare i limiti alla spesa pubblica per il rispetto dei saldi a livello nazionale; ne restano esclusi i contenziosi (o gli effetti dei contenziosi) relativi ad altre partite finanziarie, e in particolare alle entrate tributarie da voluntary disclosure , il cui riconoscimento non incide né sul saldo netto da finanziare, né sull’indebitamento netto.
14.2.3. Infine RAVA invoca a conforto della propria interpretazione il comportamento successivo delle parti. Oltre alla mancata rinuncia formale da parte sua al contenzioso costituzionale sulla legge 186/2014 pendente al momento di sottoscrizione dell’Accordo, la ricorrente incidentale pone l’accento sul comportamento degli organi governativi.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri in vista dell’udienza pubblica del 23 febbraio 2016 aveva depositato una memoria difensiva in data 2 febbraio 2016, quindi successivamente alla stipula dell’Accordo, nella quale, lungi dal rilevare o eccepire la pretesa inclusione del contenzioso nell’Accordo del precedente 21 luglio, ha continuato a difendere nel merito la legittimità costituzionale della norma impugnata.
Ciò dimostrerebbe inequivocabilmente che anche lo Stato fosse pienamente consapevole dell’estraneità del contenzioso in esame rispetto ai contenuti dell’Accordo e della clausola di rinuncia al contenzioso di cui al relativo articolo 3: nel caso in cui la PCM avesse ritenuto che detto contenzioso fosse rientrato nell’Accordo e nella clausola di rinuncia, infatti, lo avrebbe sicuramente fatto presente davanti alla Corte costituzionale, affinché quest’ultima esperito il dovuto contraddittorio su tale deduzione -potesse esprimersi sull’estinzione o meno del giudizio.
Il fatto, invece, che dell’Accordo non si sia mai fatta menzione durante il giudizio costituzionale, né da una parte e né dall’altra, e che anzi il Governo abbia insistito, diversi mesi dopo la sottoscrizione dell’Accordo, per portare la causa in decisione, confermerebbe che detta controversia fosse del tutto estranea rispetto all’accordo stesso
In questo senso deporrebbero anche le vicende relative all’approvazione e condivisione statale della DGR n. 1379 del 2015, dichiaratamente volta a dare esecuzione all’art. 3 dell’Accordo del 21.7.2015 e contenente l’elenco dei ricorsi in Corte costituzionale cui la Regione avrebbe rinunciato.
Tali giudizi concernono esclusivamente il concorso regionale alla finanza pubblica in materia di patto di stabilità e di compartecipazione agli obiettivi di risanamento della finanza pubblica attraverso accantonamento.
15. La pretesa azionata dalla Regione con il presente contenzioso attiene alla restituzione, da parte dello Stato, delle somme riscosse sul territorio regionale attraverso le procedure di voluntary disclosure di cui alla legge n. 186 del 2014, disciplina volta all’emersione volontaria di attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero e alla definizione senza sanzioni delle violazioni commesse in materia di imposte sui redditi e relative addizionali,
imposte sostitutive, imposta regionale sulle attività produttive e IVA.
La domanda di RAVA era stata fondata sul fatto che la spettanza di queste somme alla Regione era stata accertata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 66 del 2016, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della normativa sulla voluntary disclosure , nella parte in cui stabiliva che le somme acquisite con i procedimenti di collaborazione volontaria -e riferite ai tributi attribuiti in quota alla Valle d’Aosta in forza del proprio statuto speciale e delle relative norme di attuazione -confluissero al bilancio dello Stato, senza prevederne la spettanza alla Regione e quindi la devoluzione del relativo gettito al bilancio regionale.
La sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda di RAVA, ritenendo che la Regione avesse rinunciato alle somme in esame nell’ambito dell’accordo di finanza pubblica concluso con il MEF il 21.7.2015; la clausola di rinuncia di cui all’art. 3 di tale accordo, riferita anche agli effetti positivi di eventuali sentenze di accoglimento, avrebbe incluso anche gli esiti del contenzioso sulla voluntary disclosure , e ciò indipendentemente da una specifica rinuncia a quel giudizio formalizzata dalla Regione.
Con i primi tre motivi di appello la Regione aveva contestato la statuizione di primo grado, eccependo l’illegittima applicazione, da parte del primo giudice, dei canoni di interpretazione della legge e del contratto, che, se correttamente seguiti, avrebbero condotto a escludere le entrate tributarie da voluntary disclosure dal perimetro dell’ Accordo e della rinuncia (salvo a ritenere del tutto nulla la clausola in esame).
Con il quarto motivo, formulato per la subordinata ipotesi in cui la Corte di appello avesse ritenuto che la clausola di rinuncia agli effetti postivi delle sentenze di accoglimento, contenuta nell’art. 3 dell’Accordo, si riferisse anche alle entrate tributarie in discussione, la Regione aveva contestato il mancato accoglimento della
domanda quanto meno con riferimento all’annualità 2016, dal momento che l’ambito temporale dell’accordo (e, quindi, anche quello degli effetti di un’eventuale rinuncia) era limitato agli anni 2014 e 2015.
La sentenza impugnata ha respinto i primi tre motivi di appello e accolto il quarto.
In particolare, recependo per relationem le argomentazioni di RAVA, la Corte di appello ha affermato che era evidente che gli effetti relativi all’Accordo di finanza pubblica del 21.7.2015 fossero limitati all’esercizio finanziario 2015, senza alcun riferimento agli esercizi successivi; che di conseguenza, la rinuncia agli effetti positivi discendenti dalla sentenza di incostituzionalità n. 66 del 2016, aveva riguardato i soli effetti finanziari riferiti all’anno 2015; che anche a prescindere dall’inequivoco tenore testuale delle clausole dell’Accordo, sarebbe assurdo pensare che, in quadro di accordo paritetico volto a disciplinare i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione, secondo un modello costituzionalmente imposto per assicurare l’autonomia speciale e finanziaria regionale, al fine di evitare che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre i limiti consentiti l’autonomia finanziaria ad esse spettante , quest’ultima rinunci a ingenti entrate tributarie pluriennali senza un accordo finanziario complessivo riferito a quelle annualità; che letto in questi termini l’Accordo perderebbe la sua naturale funzione costituzionale, e si tramuterebbe in un distorto strumento che, lungi dal ridurre l’ingerenza statale sull’autonomia finanziaria regionale, ne consentirebbe, ad libitum e sine fine , la contrazione, in senso affatto contrario alla sua ratio .
16. Poiché la Corte di appello ha ritenuto che l’Accordo del 21.7.2015 si riferisse anche alle entrate scaturenti dalla procedura di volontary disclosure di cui alla legge 186 del 2014 (tesi propugnata da PCM e MEF), ma solo per il 2015 (tesi subordinata propugnata da RAVA), l’ordine logico delle questioni impone il
preliminare esame del secondo motivo di ricorso incidentale di COGNOME volto ad aggredire la prima affermazione.
17. L’opinione del Collegio è che il mezzo pluriarticolato di censura sfogato da RAVA sia complessivamente fondato e meriti accoglimento, perlomeno nei profili argomentati nei § 14.2.2. e 14.2.3., con assorbimento dei profili argomentati nel § 14.2.1. con cui RAVA invoca una interpretazione costituzionalmente orientata dell’Accordo di finanza pubblica, conforme alle regole costituzionali disciplinanti l’autonomia speciale della Regione dei poteri dei suoi organi, nel senso che l’Accordo non avrebbe potuto modificare tale sistema senza una modifica dello Statuto, « con il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali », e una modifica dei decreti di attuazione statutaria.
17.1 . In primo luogo, la Corte di appello si è focalizzata sull’esame del solo art.1, senza considerare, come avrebbe dovuto e come le era stato richiesto, l’interpretazione complessiva dell’atto.
L’estraneità del gettito tributario derivante dalla l egge n. 186 del 2014 all’Accordo del 21.7.2015 e conseguentemente alla clausola di rinuncia di cui al relativo art. 3, andava considerata anche per altre ragioni.
Infatti l’Accordo non riguarda genericamente « il complesso dei rapporti finanziari tra Stato e Regione », con l’effetto di includere anche le somme oggetto di voluntary disclosure all’interno di tali complessivi rapporti finanziari e, quindi, la rinuncia a tali somme nella clausola di cui all’art. 3.
Non convince infatti l’assunto della Corte territoriale, fondato sulla sola e isolata lettura dell’art. 1 dell’Accordo, peraltro tutt’altro che univoca, che lo riferisce, genericamente, a ogni rapporto finanziario esistente tra i due enti, sicché di conseguenza anche la regolazione delle controversie e dei rapporti pendenti riguarderebbe in generale tutti i rapporti finanziari, e così anche le entrate tributarie da
voluntary disclosure oggetto dell’allora pendente contenzioso costituzionale.
I rapporti finanziari che l’ Accordo intendeva regolare, anche in termini di definizione delle controversie, dovevano essere solo quelli disciplinati nell’Accordo stesso, negli articoli a seguire, secondo la regola di interpretazione complessiva delle clausole del negozio di cui all’art. 1363 cod.civ.
Andava poi considerato in tale prospettiva che le varie clausole dell’Accordo concernono esclusivamente il patto di stabilità interno e il riequilibrio dei contributi della Regione ad autonomia speciale alla finanza pubblica (artt. 2-5), nonché gli oneri relativi al trasporto pubblico regionale (art. 6), non recano alcun riferimento oggettivo alle entrate tributarie e non disciplinano, esplicitamente né implicitamente, la ripartizione di queste entrate.
L’Accordo non disciplina in generale « il complesso dei rapporti finanziari tra Stato e Regione », ma solo alcune specifiche materie, e in particolare il contributo della Regione Valle d’Aosta alla Finanza pubblica per gli anni 20142015, con riferimento all’accordo annuale relativo al patto di stabilità interno della Regione e degli enti locali (artt. 2-5), e la disciplina degli oneri connessi al trasporto pubblico regionale (art. 6).
Nessun cenno è infine contenuto circa le entrate tributarie e tanto meno circa le entrate derivanti dall’applicazione della l egge n. 186/2014.
17.3 . La Corte territoriale ha anche mancato di applicare correttamente l’art.1364 cod.civ. in tema di espressioni generali, che vanno necessariamente riferite ai soli oggetti su cui le parti si sono proposte di contrattare.
Sarebbe stato necessario valutare in questa prospettiva la clausola di rinuncia di cui all’art. 3 dell’Accordo, recante « Definizione dei contenziosi pendenti Stato -Regione » per riferirla anche agli esiti dell’allora pendente contenzioso costituzionale sulla l egge n.
186/2014: infatti l’art. 3, nella misura in cui impegna la Regione a « rinunciare ai ricorsi e/o agli effetti positivi, sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali future pronunce di accoglimento da parte della Corte costituzionale » si riferisce ai ricorsi e/o agli effetti positivi di pronunce vertenti sulle sole materie disciplinate dall’Accordo stesso.
17.4. La Corte capitolina inoltre ha omesso di procedere all’interpretazione testuale e logico sistematica dell’art. 3 dell’Accordo e della rinuncia in esso contemplata in connessione con gli ambiti disciplinati dal precedente articolo 2, cioè della clausola contrattuale che immediatamente lo precede, che si riferisce esclusivamente ai contenziosi attinenti al patto di stabilità interno 2014-2015 e ai tetti di spesa regionale concordati.
17.5. Infine RAVA invoca a proprio conforto il comportamento successivo delle parti.
Anche a prescindere dalla mancata rinuncia formale da parte sua al contenzioso costituzionale sulla legge 186/2014 pendente al momento di sottoscrizione dell’Accordo, deve essere valutato il comportamento degli organi governativi, totalmente obliterato dalla sentenza impugnata e pur rilevante ai sensi dell’art.1362, comma 2, cod.civ.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri nel procedimento dinanzi alla Corte Costituzionale, dopo la stipula dell’Accordo del 21.7.2015 in vista dell’udienza pubblica del 23.2.2016 ha depositato una memoria difensiva in data 2.2.2016, nella quale, lungi dal rilevare o eccepire la pretesa inclusione del contenzioso nell’Accordo del precedente 21 luglio, ha continuato a difendere nel merito la legittimità costituzionale della norma impugnata. Si tratta di elemento suscettibile di avere significato, totalmente trascurato dalla Corte romana. In tale quadro, potrebbero assumere significato pure le vicende relative all’approvazione e condivisione
statale, senza obiezioni, della DGR n. 1379 del 2015, dichiaratamente volta a dare esecuzione all’art. 3 dell’Accordo del 21.7.2015 e contenente l’elenco dei ricorsi in Corte costituzionale cui la Regione avrebbe rinunciato.
17.6 . Per queste ragioni il secondo motivo di ricorso incidentale di RAVA merita accoglimento.
Il quarto motivo di ricorso principale, che deduce violazione dei criteri ermeneutici i quali, se rispettati, avrebbero condotto alla conclusione dell’inerenza dell’accordo alla finanza pubblica nel suo complesso e non limitato solo alle annualità 2014 e 2015, merita anch’esso accoglimento.
La motivazione adottata dalla Corte territoriale, riproduttiva dell’atto di appello, fa applicazione del solo criterio letterale e lo riferisce inoltre solo all’art. 2, e ignora totalmente gli altri criteri ermeneutici, collegando il risultato interpretativo ad una valutazione, quanto mai generica e apodittica, di «assurdità» di una diversa interpretazione
Il terzo motivo di ricorso incidentale, che denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla richiesta subordinata di dichiarazione di nullità dell’accordo, resta assorbito in quanto attinente il mancato esame di una richiesta subordinata, che presuppone una diversa interpretazione dell’Accordo.
Per i motivi esposti la Corte accoglie il quarto motivo di ricorso principale e il secondo motivo di ricorso incidentale, respinti il terzo motivo di ricorso principale e il primo di ricorso incidentale, assorbito il terzo motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso principale e il secondo motivo di ricorso incidentale, respinti il terzo motivo di ricorso principale e il primo di ricorso incidentale, assorbito il terzo motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in