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Accordo di ristrutturazione e fallimento: cosa succede

Un’impresa creditrice aveva accettato una riduzione del proprio credito tramite un accordo di ristrutturazione. Successivamente, l’impresa debitrice è fallita. I giudici di merito avevano ammesso al passivo fallimentare solo il credito ridotto. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che la dichiarazione di fallimento provoca la risoluzione automatica dell’accordo di ristrutturazione per impossibilità sopravvenuta. Di conseguenza, il creditore ha diritto a veder ripristinato il suo credito nella sua interezza originaria, al netto degli acconti già ricevuti.

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Accordo di Ristrutturazione e Fallimento: La Cassazione Ripristina il Credito Originario

Quando un’azienda in crisi stipula un accordo di ristrutturazione con i propri creditori, si apre una speranza di risanamento. Ma cosa succede se, nonostante l’accordo, l’azienda fallisce? Il creditore che ha accettato una riduzione del proprio credito perde definitivamente la parte eccedente o può tornare a pretendere l’intera somma originaria? Con la sentenza n. 32996/2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara e di grande importanza pratica: il fallimento successivo determina la risoluzione automatica dell’accordo, con la conseguente “riespansione” del credito originario.

I Fatti del Caso: Dal Tentativo di Risanamento al Fallimento

Una società creditrice vantava un credito di oltre 1,4 milioni di euro nei confronti di un’altra impresa. Per favorire il superamento della crisi di quest’ultima, le parti avevano concluso un accordo di ristrutturazione, omologato dal tribunale, che riduceva il debito a circa 144.000 euro.

Tuttavia, il piano di risanamento non ha avuto successo e, tempo dopo, la società debitrice è stata dichiarata fallita. Al momento di presentare la domanda di ammissione al passivo fallimentare, la società creditrice si è vista riconoscere dal giudice delegato solo l’importo ridotto previsto dall’accordo. Sia il giudice delegato che, in seguito, il Tribunale di Napoli hanno ritenuto che l’accordo fosse ancora valido, poiché la creditrice non ne aveva mai chiesto formalmente la risoluzione per inadempimento.

Contro questa decisione, la creditrice ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la dichiarazione di fallimento avesse reso impossibile la causa stessa dell’accordo, ovvero il risanamento aziendale, determinandone l’automatica inefficacia.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Principio di Diritto

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando il decreto del Tribunale e affermando un principio di diritto fondamentale. Secondo i giudici, la dichiarazione di fallimento che segue l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ne determina la risoluzione automatica per impossibilità giuridica sopravvenuta.

Questo comporta due conseguenze dirette:
1. Viene meno la causa di risanamento che giustificava l’accordo e il sacrificio richiesto al creditore (la riduzione del credito).
2. L’obbligazione originaria si “riespande”, consentendo al creditore di insinuarsi nel passivo fallimentare per l’intero ammontare iniziale del suo credito, detratti solo gli eventuali pagamenti già ricevuti nel frattempo.

Le Motivazioni: Perché il fallimento annulla l’accordo di ristrutturazione

La Corte basa la sua decisione su una solida analisi giuridica della natura e della funzione dell’accordo.

La Natura Giuridica dell’Accordo

L’accordo di ristrutturazione, pur nascendo da un contratto privato tra debitore e creditori aderenti, è a tutti gli effetti uno strumento del diritto concorsuale. La sua finalità non è semplicemente rinegoziare un debito, ma realizzare un piano di risanamento aziendale sotto il controllo del tribunale. La causa concreta del patto è proprio il superamento della crisi, obiettivo che viene definitivamente frustrato dalla dichiarazione di fallimento.

L’Impossibilità Sopravvenuta della Causa

Il fallimento, spossessando l’imprenditore dei suoi beni e destinando il patrimonio alla liquidazione, rende oggettivamente e giuridicamente impossibile l’attuazione del piano di risanamento. Viene quindi a mancare la ragione stessa dell’accordo. In base all’articolo 1463 del Codice Civile, quando la prestazione diventa impossibile per una causa non imputabile alle parti, il contratto si risolve di diritto, cioè automaticamente, senza bisogno di una domanda giudiziale.

Differenze con il Concordato Preventivo

La Corte chiarisce anche la differenza rispetto al concordato preventivo. Nel concordato, la legge prevede termini specifici per chiederne la risoluzione, superati i quali l’effetto di riduzione del debito (falcidia) si consolida. Questa previsione manca per l’accordo di ristrutturazione, dove la riduzione del credito è frutto di un patto individuale e non di un effetto generalizzato della procedura. Pertanto, venuta meno la causa del patto (il risanamento), viene meno anche il suo effetto (la riduzione del credito).

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Creditori e Imprese

La sentenza ha implicazioni pratiche di notevole rilievo. Per i creditori, rappresenta una tutela importante: l’adesione a un accordo di ristrutturazione non si trasforma in una perdita definitiva se il tentativo di salvataggio fallisce. Essi sanno di poter contare, in caso di successivo fallimento, sulla possibilità di far valere nuovamente il loro credito per intero.

Per le imprese debitrici, la decisione sottolinea che l’accordo è uno strumento finalizzato a un effettivo risanamento, non un meccanismo per ottenere riduzioni permanenti del debito svincolate dal successo del piano. Se il piano fallisce e si arriva alla liquidazione giudiziale, i sacrifici chiesti ai creditori vengono meno, ristabilendo l’equilibrio originario nel concorso tra di essi.

Se un’azienda fallisce dopo aver stipulato un accordo di ristrutturazione, il creditore può chiedere il pagamento dell’intero debito originario?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la dichiarazione di fallimento causa la risoluzione automatica dell’accordo, facendo rivivere il credito nella sua interezza originaria. Il creditore può quindi insinuarsi al passivo fallimentare per l’intero importo, al netto degli acconti già ricevuti.

La dichiarazione di fallimento provoca automaticamente la fine dell’accordo di ristrutturazione o il creditore deve avviare un’azione legale specifica?
La fine è automatica. La Corte ha stabilito che si tratta di una “risoluzione di diritto” per impossibilità giuridica sopravvenuta della causa del contratto (il risanamento aziendale). Non è quindi necessaria un’azione giudiziale da parte del creditore per far dichiarare la fine dell’accordo.

I pagamenti che il creditore ha già ricevuto in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione prima del fallimento devono essere restituiti?
No. La sentenza chiarisce che il credito originario si riespande “detratti i pagamenti eventualmente intervenuti”. Questi pagamenti, effettuati in esecuzione di un accordo omologato, sono protetti dalla legge e non sono soggetti ad azione revocatoria, quindi il creditore può legittimamente trattenerli.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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