Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15501 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15501 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22631/2024 R.G. proposto da :
Garcia Maria del Rosario, rappresentata e difesa dall ‘Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale legale
-ricorrente-
contro
Università degli studi del Salento, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, siti in Roma, INDIRIZZO domicilia
-controricorrente-
nonché contro
Istituto Nazionale della Previdenza RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimato- avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 264 /2024 depositata il 17/05/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La C orte d’appello d i Lecce ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOMEdal 1° marzo 1991 dipendente dell’Università del
Salento in qualità di collaboratrice ed esperta di lingua straniera -avverso la sentenza di primo grado, con cui erano state accolte solo parzialmente le domande intese a rivendicare differenze retributive asseritamente maturate per il periodo luglio 2013-novembre 2017. In particolare, per quanto qui rileva, la originaria ricorrente aveva agito in giudizio sostenendo che il trattamento retributivo dovesse essere determinato sulla base di quanto previsto dal contratto collettivo decentrato del 29 giugno 2009, perché richiamato nel verbale di accordo conciliativo siglato il 31 marzo 2010, e non in forza della disciplina dettata dal successivo contratto collettivo del 10 dicembre 2013 ; assumeva, inoltre, che l’Università fosse tenuta a restituirle importi illegittimamente trattenuti a titolo di oneri previdenziali.
La Corte territoriale ha escluso la fondatezza delle pretese sul rilievo che l’accordo in questione non fosse riferibile al periodo successivo, tanto che il richiamo al contratto decentrato del 2009 comprendeva anche la clausola relativa alla efficacia del contratto medesimo affermata solo fino alla stipulazione di un nuovo contratto collettivo nazionale o decentrato. Ha, quindi, ritenuto parzialmente prescritta la domanda volta ad ottenere la restituzione di quanto trattenuto dalle retribuzioni arretrate a titolo di contribuzione previdenziale in applicazione del termine quinquennale, atteso che veniva in rilievo un’ azione volta al pagamento della retribuzione e non di ripetizione di indebito o di arricchimento senza causa.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, cui oppone difese l’Università degli studi del Salento con controricorso, mentre l’ Istituto Nazionale della Previdenza Sociale è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e ss. c.c. nonché l’ omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, oltre che il travisamento della prova e la nullità della sentenza , ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.
Si assume che la Corte avrebbe violato i criteri di ermeneutica contrattuale perché l’accordo di conciliazione doveva essere esaminato nel suo complessivo tenore ed era chiaramente volto ad equiparare il trattamento stipendiale a quello del ricercatore confermato a tempo definito, mirando ad ottenere anche per il futuro quanto riconosciuto dal contratto decentrato del 2009 che quell’effetto aveva assicurato. In tal modo, nell’interpretazione dell’accordo la Corte sarebbe incorsa in un travisamento della prova, con conseguente nullità della sentenza impugnata.
1.1. Il motivo, anche a non voler considerare i profili di inammissibilità connessi alla modalità di formulazione della censura (con la deduzione sovrapposta di diversi vizi eterogeni fra quelli ammissibili ex art. 360, primo comma, c.p.c.) è comunque inammissibile perché, pur richiamando i principi di carattere generale che devono guidare nella interpretazione della volontà contrattuale e lamentando un omesso esame ovvero un travisamento della prova, nella sostanza sollecita una lettura alternativa dell’ac cordo conciliativo a sé favorevole (Cass. Sez. L., 03/07/2024, n. 18214), del quale la Corte ha, invece, fornito un’interpretazione non implausibile e conforme al diritto, giacché la previsione di un’ultrattività del contratto integrativo sarebbe contraria al sistema delle fonti delineato dalla legge del 1995, che, pur qualificando il rapporto di natura privatistica, ha rinviato alla disciplina della contrattazione collettiva che, in ragione della natura pubblica del datore di lavoro, è quella di comparto, disciplinata, all’epoca, dall’art. 45 del d.lgs. n. 29 del 1993 e, successivamente, dagli artt. 40 e ss. del d.lgs. n. 165 del 2001 nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, in linea con i principi che, all’esito della privatizzazione dei rapporti di impiego pubblico, ispirano la disciplina dell’impiego contrattualizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, principi che la Corte Costituzionale (di recente, Corte Cost. n. 253 del 2022) ha più volte richiamato e valorizzato (così, Cass., Sez. L., 23/05/2023, n. 14108).
2. Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2077 e 2103 c.c. , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.
Si sostiene che la disciplina pattuita nel rapporto di lavoro non può essere modificata dalla contrattazione collettiva decentrata senza l’adesione specifica della lavoratrice.
2.1. Il motivo, prima ancora che infondato, è comunque inammissibile per sostanziale irrilevanza, atteso che la censura risulta comunque assorbita per effetto della ritenuta inammissibilità del primo mezzo, inteso a sostenere una lettura alternativa dell’accordo rispetto a quella adottata dal giud ice d’appello.
Con il terzo motivo si deduce la violazione della l. n. 167 del 2017 e dei decreti ministeriali di attuazione, del d.l. n. 2 del 2004, convertito nella l. n. 63 del 2004, e della sentenza della CGUE del 18 luglio 2006, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. In particolare, in base alla ricostruzione della disciplina degli ex lettori di lingua straniera, si assume che il mancato accoglimento della domanda di riconoscimento della maggiore retribuzione rivendicata violerebbe il diritto eurounitario, sollecitando un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE.
3.1. Il motivo, nei termini formulati, è inammissibile, perché la complessa questione sollevata con il mezzo in esame esula dal thema decidendum , che, come emerge chiaramente dalla disamina della sentenza impugnata, attiene piuttosto all’applicazione degli importi previsti per le diverse fasce di anzianità dal contratto integrativo successivo a quello del quale si pretende l’applicazione in virtù dello specifico accordo conciliativo intervenuto fra le parti. Pertanto, l’oggetto del contendere del presente giudizio non involge i profili denunciati nel motivo, per incentrarsi sulla regolamentazione del rapporto raggiunta inter partes in virtù dell’accordo, come prospettato nel primo motivo di censura.
3.2. In ragione dell’inammissibilità della censura, ritiene il Collegio che debba essere disattesa l’istanza di rinvio a nuovo ruolo e di fissazione dell’udienza pubblica ex art. 375 c.p.c., formulate nella memoria difensiva, così come il pur sollecitato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, attesa la palese irrilevanza della questione ai fini della decisione del presente giudizio.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2948 c.c. , sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.
Si premette che, al momento del pagamento degli arretrati, illegittimamente l’Università aveva trattenuto anche la quota previdenziale a carico della lavoratrice, quota che, invece, resta a carico del datore se il pagamento è effettuato in ritardo; in tal modo, la ricorrente sostiene che la domanda con la quale erano stati richiesti gli importi illegittimamente trattenuti non poteva essere qualificata di carattere retributivo, bensì come ripetizione di indebito e, comunque, come indebito arricchimento, domanda formulata in via subordinata.
4.1. La censura è infondata.
Costituisce risalente ma consolidato principio quello per cui solo il diritto oggetto di un atto transattivo avente natura novativa – cioè funzionalizzato a mutarne titolo o a estinguere le pregresse posizioni soggettive costituendone al loro posto altre autonome e distinte – si sottrae al termine prescrizionale proprio (in ipotesi inferiore a quello ordinario) ed è soggetto all ‘ ordinario termine prescrizionale decennale (Cass. Sez. L., 11/08/2000, n. 10657).
Poiché nella specie è incontestato che non viene in rilievo una conciliazione a carattere novativo del rapporto (nel senso che le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso, o meno, addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, diretto a costituire, in sostituzione di quello precedente, nuove autonome situazioni: così, fra molte, Cass., Sez. L, 13/12/2005, n. 27448), correttamente la Corte territoriale ha applicato la prescrizione quinquennale prevista per i crediti di lavoro dall ‘ art. 2948 n. 4 c.c.
Né potrebbe legittimamente invocarsi il termine decennale previsto per la restituzione dell’indebito, ai sensi dell’art. 2033 c.c., ovvero per l’azione di ingiustificato arricchimento, peraltro a carattere meramente
residuale, posto che, come pure chiaramente evidenziato nella sentenza impugnata, nella specie l’azione attiene all’esatto adempimento dell’obbligo retributivo, in base alla conciliazione intervenuta fra le parti, rispetto alle trattenute previdenziali operate dal datore.
Il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto.
Le spese di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore dell’Università , seguono la soccombenza, mentre non vi è luogo a provvedere in ordine alla posizione dell’I.NRAGIONE_SOCIALESRAGIONE_SOCIALE, che non ha svolto attività difensiva.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’Università di Pisa, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 07/05/2025.