Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24137 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24137 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16856-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 248/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/01/2023 R.G.N. 2193/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Risarcimento danni Dequalificazione
R.G.N.16856/2023 Cron. Rep. Ud 04/06/2025 CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME COGNOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 2143/2020, e in riforma di detta sentenza, condannava l’appellata Telecom Italia s.p.a. al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di € 62.636,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della stessa decisione al saldo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, tra l’altro, premetteva: a) che con il ricorso introduttivo del giudizio il lavoratore, dipendente con contratto a tempo indeterminato dal 1993, inquadrato nel V livello del CCNL delle Telecomunicazioni dall’1.12.2015, aveva lamentato l’illegittima dequalificazione professionale subita nel periodo dall’1.12.2012 al 31.3.2019 in cui era stato assegnato a mansioni esecutive riconducibili a livelli inferiori rispetto all’inquadramento posseduto, ed aveva chie sto, pertanto, di condannare la Telecom Italia s.p.a. a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza di tale illegittimo demansionamento; b) che il Tribunale, nel rigettare il ricorso, da un lato, preliminarmente aveva ritenuto parzialmente fondata l’eccezione d’inammissibilità della domanda, sollevata dalla convenuta sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale sottoscritto dalle parti all’udienza del 27.11.2015 in precedente giudizio introdotto dal lavoratore, e, dall’al tro, aveva ritenuto ammissibile, ma infondata la stessa domanda in relazione alle mansioni attribuite al lavoratore dall’1.3.2016 al 31.3.2019.
La Corte giudicava fondato il primo motivo d’appello del lavoratore, con il quale questi censurava le parti della sentenza con cui il giudice di prime cure aveva rigettato le domande coperte dalla rinuncia espressa nel citato verbale di conciliazione.
Riteneva fondati, altresì, il secondo ed il terzo motivo di appello, accertando il demansionamento subito dal Marra presso Telecom dall’1.12.2015 al 31.3.2019.
La stessa Corte, poi, nell’esaminare il quarto motivo di gravame, lo giudicava fondato in relazione al danno patrimoniale alla professionalità, danno che liquidava equitativamente nella somma complessiva indicata in dispositivo, mentre riteneva non meritevoli di accoglimento le domande di risarcimento del danno non patrimoniale.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e successiva memoria.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2113 c.c. con riferimento al verbale di conciliazione firmato innanzi al Tribunale ordinario di Roma, Sezione lavoro, in data 27 novembre 2015 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’. Censura ‘la sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice di appello ha omesso di considerare l’inammissibilità della domanda di
accertamento del demansionamento asseritamente subito dall’allora ricorrente con decorrenza dal 01.12.2015 sino al febbraio 2016, accogliendo, di conseguenza, il primo motivo di ricorso in appello proposto da controparte’.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2113 c.c. con riferimento al demansionamento del sig. COGNOME (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’. Censura ‘la sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha accertato, inspiegabilmente, il demansionamento subito dal COGNOME presso la Telecom dal 1.12.2015 al 31.3.2019 e il conseguente diritto al risarcimento del danno alla professionalità dello stesso. Ciò in palese violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dei criteri di riparto dell’onere probatorio’.
3. Il primo motivo è fondato.
La Corte territoriale, nell’accogliere il primo motivo d’appello del lavoratore, ha riconsiderato il verbale di conciliazione giudiziale n. 120408/2015 intervenuto tra le parti dinanzi al giudice ed ai loro difensori, riportandone testualmente i principali punti (2, 4, 5 e 6). Indi, ha osservato che: ‘Alla luce del contenuto del verbale di conciliazione, ed in particolare delle rinunce di cui al punto 6), la valutazione del giudice di prime cure sull’inammissibilità delle domande coperte dall’accordo del le parti risulta corretta solo con riferimento al periodo antecedente alla sottoscrizione del verbale. Pur avendo il lavoratore rinunciato a qualsiasi pretesa o diritto attinente al rapporto di lavoro pregresso, non è condivisibile la tesi sostenuta dal giudice di prime cure per cui
risulta dal verbale che egli avesse accettato di rimanere adibito a mansioni inferiori rispetto all’inquadramento rivendicato e riconosciuto. La conciliazione giudiziale effettivamente definisce i rapporti tra le parti in causa; tuttavia, non può precludere al lavoratore successive rivendicazioni generate dall’eventuale inadempimento del datore che, nel caso di specie, non aveva adibito il lavoratore alle mansioni spettanti in base all’inquadramento riconosciuto’. Anche successivamente ha ribadito la Corte che: ‘L’interpretazione del verbale di conciliazione offerta dal Tribunale nella sentenza appellata non è condivisibile, non potendosi ritenere che nel verbale il lavoratore abbia rinunciato per il futuro e senza limite di durata a far valere nei confronti del datore di lavoro la pretesa di essere adibito a mansioni proprie della categoria legale dell’inquadramento riconosciuto in ossequio dell’art. 2103 c.c., a maggior ragione dinanzi all’assenza di qualsivoglia pattuizione espressa di demansionamento’.
Nella censura in esame a giusto motivo la ricorrente critica detta interpretazione di quel verbale di conciliazione giudiziale.
Infatti, la Corte si è sinteticamente soffermata solo sulle rinunce espresse dal lavoratore nel punto 6) del verbale; ma, pur avendo riportato il precedente punto 4) dello stesso verbale dove si legge: ‘la Società Telecom Italia s.p.a.RAGIONE_SOCIALE ferma restando la propria posizione di integrale contestazione della domanda e, pertanto, senza riconoscimento alcune delle avverse pretese (anche quelle di tipo risarcitorio), si impegna ad inquadrare, con decorrenza dal 1 dicembre 2015, il Sig. NOME COGNOME COGNOME nel V° livello del CCNL delle
Telecomunicazioni, senza alcun mutamento di mansioni’ – ha mancato di dare un qualsiasi senso ad esso.
Più nello specifico, in violazione anzitutto del principale canone ermeneutico legale di cui all’art. 1362, comma primo, c.c., non ha considerato il tenore testuale di quest’ultima specificazione come tale di detta clausola, e, cioè, ‘senza alcun mutamento di mansioni’.
Inoltre, e questa volta in contrasto anche con il criterio di cui all’art. 1363 c.c., non ha tenuto conto che il successivo punto 6) non conteneva soltanto rinunce del lavoratore, in quanto in apertura dello stesso si legge: ‘il sig. NOME COGNOME COGNOME accetta l’inquadramento di cui al punto 4) e la relativa decorrenza’.
Pertanto, tale parte del punto 6) del verbale conciliativo era senz’altro da leggersi ed interpretarsi in collegamento con il punto 4) dello stesso ivi esplicitamente richiamato, oltre che in relazione a premesse ed ulteriori clausole del testo della conciliazione, onde accertarne correttamente il complessivo significato e, segnatamente, se e in che termini i consensi delle parti si fossero o meno incontrati anche intorno ad ‘alcun mutamento di mansioni’.
6. Il secondo motivo è inammissibile.
Giova premettere che la Corte territoriale ha considerato: .
Nota, allora, il Collegio che, nell’ambito di una censura formulata esclusivamente in chiave di violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2113 c.c. ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., la ricorrente pare adombrare del tutto genericamente un’anomalia motivazionale, quando deduce che il giudice di appello avrebbe ‘accertato, inspiegabilmente, il demansionamento subito dal Marra presso la Telecom dal 1.12.2015 al 31.3.2019’.
Si rileva, inoltre, che la ricorrente, nell’individuare la parte di motivazione oggetto di censura (v. pagg. 27-28 del ricorso per cassazione), riporta in realtà un assemblaggio di distinti passaggi motivazionali, eludendo sostanzialmente la ratio decidendi della Corte territoriale in punto di demansionamento nel precisato periodo suddetto.
Tale ragionamento decisorio, invece, è indubbiamente presente ed è chiaramente espresso nella parte di motivazione trascritta nel § 8 che precede.
Tanto rilevato, la critica in esame muove dall’assunto che, nel periodo da dicembre 2015 al marzo 2019, il lavoratore ‘è stato, a ben vedere, costantemente adibito a mansioni compatibili con il livello di inquadramento posseduto (V livello) e, ad ogni modo, a mansioni accettate con la sottoscrizione del verbale di conciliazione giudiziale sottoscritto in sede giudiziale con la Telecom Italia S.p.A. e datato novembre 2015’.
Nello svolgimento del secondo motivo la ricorrente a più riprese assume inoltre che la Corte d’appello, in violazione dell’art. 115 c.p.c., avrebbe ‘del tutto omesso di considerare le osservazioni all’uopo mosse dall’odierna ricorrente sul punto limitandosi a sostenere che le mansioni svolte dal sig. COGNOME non erano state oggetto di specifica contestazione. Circostanza
del tutto inveritiera’.
Osserva il Collegio in primo luogo che la ricorrente ignora, e quindi non censura direttamente, proprio il nucleo della riportata motivazione della Corte di merito, in cui ha riportato, prima, la declaratoria contrattuale del V livello, in cui il lavoratore era inquadrato dall’1.12.2015 (sì da dover ‘essere adibito a mansioni proprie della categoria legale dell’inquadramento riconosciuto in ossequio all’art. 2103 c.c.’, come specificato dalla Corte), e, poi, la declaratoria del II livello del CCNL, in r elazione alle mansioni di ‘tipizzazione’, svolte dal lavoratore nel periodo dall’1.12.2015 al febbraio 2016, e quella del I livello, per le mansioni di ‘normalizzazione’, svolte dal lavoratore nel periodo dall’1.3.2016 -31.3.2019.
E il rilievo, da parte della Corte distrettuale, dell’assenza di specifica contestazione della datrice di lavoro anche in sede d’appello era per l’appunto riferito allo ‘svolgimento da parte del Marra’ delle mansioni così addotte.
La stessa Corte, infatti, come si è visto, ha constatato che le difese della società si muovevano su un piano diverso.
Nota inoltre il Collegio che le proprie osservazioni di cui la ricorrente asserisce che i giudici di secondo grado avrebbero omesso l’esame sono in sostanza per l’appunto quelle che sono state considerate e disattese dagli stessi.
La ricorrente, difatti, torna in sintesi a sostenere il rilievo delle mansioni svolte dal lavoratore, per giunta, senza distinguere tra i diversi periodi suddetti e considerando promiscuamente le attività di ‘tipizzazione’ e di
‘normalizzazione’, insieme ad altre, il tutto in base ad elementi fattuali diversi da quelli considerati dalla Corte di merito (cfr. pagg. 29-30 del ricorso).
Dunque, tutte le successive considerazioni di ordine giuridico, in gran parte ripetitive, che la ricorrente svolge (alle pagg. 31-38 del ricorso) risultano non pertinenti.
Pertanto, dichiarato inammissibile il secondo motivo, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla medesima Corte territoriale che, in differente composizione, oltre a regolare le spese del giudizio di cassazione, dovrà fornire un’interpretazione del verbale di conciliazione giudiziale intervenuto tra le parti in data 27.11.2015, in conformità ai canoni ermeneutici legali, ed in primo luogo al criterio letterale con specifico riguardo all’inciso ‘senza alcun mutamento di mansioni’ di cui al punto 4 dell’accordo conciliativo ;
il giudice del merito dovrà quindi valutare, all’esito della corretta interpretazione del detto verbale, se l’incontestato mutamento di mansioni rispetto a quelle svolte alla data della sottoscrizione dell’accordo – come accertato dal giudice del merito e relativo al terzo periodo (1/3/2026-31/3/2019) -, abbia determinato un demansionamento rispetto al livello di inquadramento posseduto (V livello, come riconosciuto nel verbale di conciliazione) e adottare le conseguenti statuizioni.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di
Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 4.6.2025.
La Presidente NOME COGNOME