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Accordo conciliativo: la rinuncia vale sui diritti pregressi

La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore non può far valere una sentenza favorevole, ottenuta contro il precedente datore di lavoro, nei confronti della nuova società datrice di lavoro se ha firmato un accordo conciliativo. In tale accordo, il lavoratore aveva accettato un nuovo inquadramento e rinunciato a ogni pretesa pregressa, interrompendo così ogni legame con la precedente situazione lavorativa. La Corte ha ritenuto che l’accordo conciliativo fosse valido e che si fosse instaurato un rapporto di lavoro completamente nuovo, rendendo inopponibile la vecchia sentenza.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accordo Conciliativo: La Cassazione Conferma la Validità della Rinuncia a Diritti Pregressi

Un accordo conciliativo firmato all’atto di una nuova assunzione può impedire al lavoratore di far valere diritti maturati in un precedente rapporto di lavoro? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1681/2024, ha fornito una risposta chiara, sottolineando come la volontà espressa in un verbale di conciliazione possa prevalere anche su una successiva sentenza favorevole al lavoratore. Questo caso offre spunti fondamentali sull’importanza e le conseguenze delle rinunce fatte in sede transattiva.

I Fatti di Causa

Un lavoratore aveva ottenuto dal Tribunale una sentenza che gli riconosceva il diritto a un inquadramento superiore (6° livello anziché 5°) e alle relative differenze retributive nei confronti del suo ex datore di lavoro, un Consorzio. Successivamente, a seguito di un processo di riorganizzazione gestito dalla Regione, il lavoratore veniva assunto da una nuova società.

Al momento dell’assunzione presso la nuova azienda, il lavoratore sottoscriveva un accordo conciliativo con cui accettava l’inquadramento al 5° livello e dichiarava di rinunciare “ad ogni e qualsivoglia rivendicazione presente e futura nonché ad ogni forma di contenzioso”. Nonostante ciò, forte della sentenza ottenuta contro il precedente datore di lavoro, il lavoratore tentava di metterla in esecuzione forzata nei confronti della nuova società, sostenendo l’esistenza di un fenomeno successorio tra i due datori di lavoro.

La Questione Giuridica: Successione tra Imprese o Nuovo Rapporto?

Il cuore della controversia risiedeva nello stabilire se il passaggio del lavoratore dal Consorzio alla nuova Società costituisse una continuazione del medesimo rapporto di lavoro (fenomeno successorio) oppure l’instaurazione di un rapporto completamente nuovo.

La Corte d’Appello, così come il tribunale di primo grado, aveva già escluso la continuità, affermando che il lavoratore era stato assunto ex novo dalla nuova società. Questa ricostruzione si basava sul fatto che l’assunzione era avvenuta con una decorrenza precisa e a “tutti gli effetti normativi, contrattuali e previdenziali” a partire da una data specifica, e soprattutto, era stata subordinata alla sottoscrizione del verbale di conciliazione che chiudeva tutte le pendenze passate.

L’impatto dell’accordo conciliativo sulla pretesa del lavoratore

Il ricorrente sosteneva che la rinuncia contenuta nell’accordo conciliativo fosse limitata a eventuali contenziosi con l’Amministrazione Regionale e non potesse estendersi ai diritti accertati dalla sentenza del Tribunale. Inoltre, denunciava la nullità della rinuncia perché, al momento della firma, il diritto al superiore inquadramento non era ancora stato accertato con sentenza definitiva, configurandosi quindi come una rinuncia a un diritto futuro, vietata dall’art. 2113 c.c.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del lavoratore, confermando le decisioni dei giudici di merito. Le motivazioni si fondano su tre pilastri principali:

1. Inesistenza di un fenomeno successorio: La Corte ha ribadito che tra il precedente datore di lavoro e la nuova società non vi era stata alcuna successione. Era stato instaurato un rapporto di lavoro completamente nuovo. Di conseguenza, la sentenza ottenuta contro il primo datore di lavoro non poteva avere alcuna efficacia diretta nei confronti del secondo, in quanto soggetto terzo ed estraneo a quel giudizio.

2. L’interpretazione dell’accordo conciliativo: I giudici di legittimità hanno ritenuto corretta e non sindacabile l’interpretazione data dalla Corte d’Appello al verbale di conciliazione. Le espressioni usate, come la rinuncia a “qualsivoglia rivendicazione”, sono state considerate sufficientemente ampie da includere anche le pretese relative al corretto inquadramento nel precedente rapporto di lavoro. La Corte ha sottolineato che tale interpretazione era coerente con l’intero contesto normativo e contrattuale che regolava il passaggio del personale, il quale prevedeva espressamente una “rinuncia totale e completa di ogni e qualsivoglia contenzioso”.

3. La validità della rinuncia: La Cassazione ha respinto la tesi della nullità della rinuncia ai sensi dell’art. 2113 c.c. Ha chiarito che l’oggetto della rinuncia non erano diritti futuri, ma pretese (come quella all’inquadramento superiore) che, sebbene accertate giudizialmente solo in seguito, erano già sorte e riferibili ai rapporti di lavoro pregressi. Pertanto, la rinuncia era pienamente valida in quanto parte di una transazione complessiva che definiva il nuovo rapporto di lavoro.

Conclusioni

L’ordinanza in commento ribadisce un principio fondamentale nel diritto del lavoro: un accordo conciliativo che contiene clausole di rinuncia ampie e onnicomprensive può efficacemente precludere al lavoratore la possibilità di avanzare in futuro pretese relative a rapporti di lavoro passati. La decisione evidenzia come l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, distinta da una mera continuazione del precedente, interrompa la catena di responsabilità tra datori di lavoro. Infine, la Corte conferma che l’interpretazione della volontà delle parti in un atto negoziale, come un verbale di conciliazione, è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e difficilmente censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.

Una sentenza favorevole ottenuta contro un ex datore di lavoro è automaticamente valida nei confronti del nuovo datore?
No, la sentenza è vincolante solo tra le parti originarie del giudizio. Non si estende a un nuovo datore di lavoro, specialmente se viene instaurato un rapporto contrattuale completamente nuovo e non vi è un fenomeno di successione legale tra le due entità.

È valida la rinuncia a rivendicazioni firmata in un accordo conciliativo se il diritto viene accertato da un giudice solo in un secondo momento?
Sì, secondo questa ordinanza la rinuncia è valida. La Corte ha chiarito che non si tratta di una rinuncia a diritti futuri (che sarebbe nulla), ma della transazione su pretese già maturate e riferibili a rapporti di lavoro passati, anche se l’accertamento giudiziale di tale diritto avviene in data successiva alla firma dell’accordo.

Come interpreta la Corte una clausola di rinuncia a ‘ogni e qualsivoglia rivendicazione presente e futura’?
La Corte interpreta tale clausola in senso molto ampio, ritenendo che essa manifesti la volontà del lavoratore di abdicare a qualsiasi pretesa, anche retributiva, riferibile a tutti i pregressi rapporti di lavoro, chiudendo così ogni contenzioso passato e accettando le nuove condizioni contrattuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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