Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 131 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 131 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 1325-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dell’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME quale difensore di se stesso;
-ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di ROMA n. 6606/2019, depositata il 31 ottobre 2019;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e dichiararsi estinto per rinuncia quello incidentale;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 dicembre 2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, nella persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e dichiararsi estinto per rinuncia quello incidentale;
udita l’avvocato NOME COGNOME per la ricorrente principale;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. La RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Roma l’aveva condannata al pagamento in favore dell’avvocato NOME COGNOME della somma di € 7.263,69, quale compenso per avere assistito l’opponente in un giudizio di opposizione a precetto nell’ambito della procedura esecutiva intentata nei confronti di COGNOME NOME e di NOME. Sosteneva che tra le parti era vigente una convenzione che prevedeva il pagamento degli onorari in maniera predeterminata e che subordinava il pagamento del compenso al fatto che fossero state incassate le somme dai debitori esecutati, circostanza non verificatasi, con la conseguenza inesistenza del diritto azionato.
Nella resistenza dell’opposto, che eccepiva l’inefficacia della convenzione invocata dalla controparte, Tribunale adito, revocava
il decreto opposto, condannando la Credeal al pagamento di una somma inferiore rispetto a quella richiesta in via monitoria.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la società, cui ha resistito l’avv. COGNOME proponendo a sua volta appello incidentale.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6606 del 31 ottobre 2019, ha rigettato l’appello principale, ed in parziale accoglimento dell’appello incidentale, ha condannato la Credeal anche al pagamento delle spese forfetarie, con la condanna altresì al rimborso delle spese del grado. Nel merito reputava che il verbale assembleare del 18/2/2009, che la appellante sosteneva contenesse una convenzione, era in realtà una mera proposta di contratto indirizzata ai difensori della società, ma mancava la prova che vi fosse stata anche l’adesione dei destinatari, e che quindi la proposta fosse stata validamente accettata ex art. 1326 c.c.
Era disatteso anche il motivo di appello che verteva sul mancato riconoscimento della responsabilità professionale dell’avv. COGNOME che aveva intrapreso una procedura esecutiva, attingendo un bene gravato da garanzia in favore di un creditore privilegiato che era poi intervenuto nella procedura, rendendo infruttuosa per la società la procedura stessa.
Ad avviso della Corte distrettuale la valutazione del Tribunale era corretta, in quanto il giudizio di responsabilità dell’avvocato deve avvenire in base ad un giudizio prognostico ex ante , e non anche ex post , tenendo conto di quanto poi accaduto nel corso della procedura esecutiva.
In tale senso rilevava che ogni procedura esecutiva non assicura a monte che la stessa abbia esito favorevole per il creditore
procedente, attesa la possibilità che altri creditori possano intervenire, e che gli stessi abbiano una posizione privilegiata che assorba integralmente il ricavato della procedura. A seguire il ragionamento della appellante, per ogni creditore chirografario si paleserebbe sempre l’inutilità della procedura esecutiva, in quanto sarebbe sempre immaginabile che altri creditori privilegiati possano trarre spunto dall’esecuzione intrapresa, vanificando in tal modo la pretesa del procedente.
Quanto all’appello incidentale, la Corte accoglieva solo il terzo motivo che investiva il mancato riconoscimento delle spese generali, ancorché dovute.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi.
COGNOME ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, da reputarsi tardivo, in quanto presentato dopo la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., avendo lo stesso ricorrente incidentale notificato la sentenza in data 7/11/2019, affidato ad un motivo.
In data 14.06.2023, veniva notificata alle parti proposta di definizione anticipata del ricorso, ai sensi dell’art 380 -bis c.p.c., redatta dal Consigliere delegato.
A seguito di tale proposta, la ricorrente ha avanzato istanza di decisione ex art. 380 bis c.p.c.
All’esito dell’adunanza camerale del 9/2/2024, la Corte con ordinanza interlocutoria n. 13256 del 14 maggio 2024 ha rimesso la causa alla pubblica udienza.
La causa è stata quindi fissata per l’odierna udienza di discussione.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte e la ricorrente principale ha depositato memorie.
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il cons. NOME COGNOME autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
E’ invece inammissibile la produzione dei documenti allegati al ricorso, non avendo attinenza all’ammissibilità del ricorso o del controricorso o alla nullità della sentenza (Cass. 24942/2021; Cass. 4415/2020).
Sempre in via preliminare la Corte dà atto che non ricorrono le condizioni per chiedere di rimettere alla decisione delle Sezioni Unite la questione della forma scritta della convenzione tra il professionista e il cliente secondo quanto chiesto dalla società controricorrente, trattandosi di questione sulla quale la
giurisprudenza della Suprema Corte è univoca (così già Cass. n. 3457/2024, relativa a controversia tra le medesime parti ed involgente la medesima questione).
L’ordinanza interlocutoria n. 13256/2024 ha ritenuto che fosse opportuno rimettere la causa alla pubblica udienza, in ragione del fatto che la proposta di definizione del Consigliere delegato ex art. 380 bis c.p.c. aveva opinato nel senso dell’inammissibilità dei tre motivi del ricorso principale, mentre, quanto al ricorso principale, in ragione della prognosi di inammissibilità di quello principale, aveva sostenuto che potesse esimersi dal formulare una valutazione prognostica, in ragione della sua inefficacia ex art. 334 c.p.c., essendo pacifico che lo stesso fosse tardivo.
La citata ordinanza dubita circa la ammissibilità del ricorso al meccanismo processuale di cui all’art. 380 bis c.p.c., con la possibilità quindi di esimersi dalla valutazione del ricorso incidentale, invocando già in quella fase la previsione di inefficacia riservata dalla norma ai ricorsi incidentali tardivi, in caso di inammissibilità ovvero di improcedibilità (come chiarito a seguito della novella del 2022), di quello principale.
In tal senso viene evidenziato che il dettato dell’art. 380 bis, co. 1, c.p.c. prevede che la proposta di definizione sia ammissibile allorché il presidente o il consigliere delegato ravvisino l’inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, così che potrebbe sostenersi la diversa tesi secondo cui la valutazione de qua debba essere compiuta anche in relazione al ricorso incidentale tardivo, pur a fronte di una valutazione di inammissibilità o di improcedibilità di quello principale.
Ritiene il Collegio che la questione posta sia però priva di rilevanza ai fini del presente giudizio, una volta che, come appunto accaduto, la ricorrente principale abbia avanzato istanza di decisione del processo, impedendo quindi che possa prodursi l’estinzione cui la legge correla la mancata formulazione nel termine dell’istanza di decisione.
La presenza di questa richiesta impone pertanto alla Corte di dover decidere nel merito la controversia e che quindi la decisione debba prescindere dal contenuto della proposta, occorrendo verificare la fondatezza o meno del ricorso principale.
Dovendo quindi applicarsi le ordinarie regole che presiedono alla decisione dei ricorsi, ne discende altresì che la Corte è autonomamente chiamata a valutare la sorte del ricorso principale, così che ove ritenga che lo stesso sia inammissibile (come suggerito nella proposta), risulterebbe de plano applicabile la previsione di inefficacia del ricorso incidentale tardivo.
Inoltre, in tema di procedimento per la decisione accelerata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ove la proposta di decisione riguardi sia il ricorso principale che quello incidentale non condizionato e l’istanza di decisione sia depositata da una sola delle parti, l’impugnazione non coltivata va considerata rinunciata e va decisa solo quella coltivata, cosicché se tale decisione sia conforme alla proposta, la condanna in favore della cassa ammende ex art. 96, comma 4, c.p.c. ed il raddoppio del contributo unificato, dipendente dalla pronuncia di improcedibilità, inammissibilità o rigetto del ricorso, si applicano nei soli confronti della parte richiedente la decisione, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno regolate in base al suo esito complessivo, considerando non soltanto la decisione del ricorso coltivato, ma anche la
sostanziale soccombenza dell’altra parte, che pur avendo inizialmente proposto impugnazione, abbia scelto di non coltivarla facendo acquiescenza alla proposta di definizione anticipata (così Cass. n. 10164/2024). Ciò comporta che non avendo parte ricorrente incidentale avanzato istanza di decisione, la sorte della sua impugnazione resta ormai del tutto irrilevante, dovendosi reputare rinunziata a seguito dell’inerzia serbata anche dopo la formulazione della proposta.
Il dubbio che l’ordinanza interlocutoria pone è quindi ormai superato per effetto della presentazione dell’istanza di decisione che priva di efficacia la proposta, se non ai limitati fini della applicazione del terzo comma dell’art. 380 bis c.p.c.
Peraltro, sebbene irrilevante ai fini della decisione della controversia, reputa comunque il Collegio che debba opinarsi per un’interpretazione dell’art. 380 bis c.p.c. che consenta, in caso di ricorso incidentale tardivo, di poter ritenere assorbente, in caso di valutazione di inammissibilità o improcedibilità del ricorso principale, la previsione di cui all’art. 334 c.p.c., esimendo quindi dal dover formulare analoga valutazione prognostica in relazione ai motivi del ricorso incidentale.
In tal senso rileva che la valutazione di cui alla proposta di definizione mira a prospettare alle parti, al fine di agevolare la definizione agevolata dei ricorsi che non abbiano ragionevoli possibilità di accoglimento, il presumibile esito (sebbene ancorato alla valutazione del Presidente o del Consigliere delegato), onde stimolare una ulteriore riflessione delle parti in merito all’opportunità di coltivare ulteriormente un’impugnazione di cui sono state prospettate delle carenze tali da inficiarne le possibilità di successo. Ne deriva che la proposta deve presentare alle parti
quale sarà il verosimile scenario che si prospetta in caso di decisione del ricorso, ed in tale scenario non può non tenersi conto anche del fatto che, in ragione dell’esito riservato al ricorso principale, risulti applicabile anche la declaratoria di inefficacia di cui all’art. 334 c.p.c.
Analogamente è a dirsi quanto al ricorso incidentale espressamente o naturalmente condizionato (come nel caso di ricorso incidentale avanzato dalla parte risultata vittoriosa nel merito, ma soccombente su questioni pregiudiziali o preliminari che però non siano risultate tali da precludere il successo nella lite nel merito), dovendosi reputare che anche in questo caso la valutazione prognostica di esito sfavorevole sul ricorso principale, esima dal dover avanzare analoga prognosi sui motivi di ricorso incidentale condizionato, destinati a restare assorbiti.
E’ evidente che in entrambe le ipotesi, ove non intervenga l’istanza di decisione da parte del ricorrente principale (potendo al più ipotizzarsi che analoga istanza debba essere avanzata dal ricorrente incidentale tardivo, che invece abbia interesse alla decisione del suo ricorso, ma contesti la valutazione di inammissibilità o improcedibilità formulata al riguardo del ricorso principale), la declaratoria di estinzione ex art. 380 bis co. 2 c.p.c., è destinata a coinvolgere nella medesima sorte anche il ricorso incidentale condizionato o tardivo inefficace, i quali andranno invece normalmente esaminati, ove l’istanza di decisione sia stata formulata, secondo le ordinarie regole ed in ragione dell’esito della decisione del ricorso ai sensi del procedimento di cui all’art. 380 bis.1, come disposto dall’art. 380 bis co. 3 c.p.c.
In tale ottica, che tiene conto della finalità essenzialmente deflattiva dell’istituto, va pertanto sostenuta l’interpretazione secondo cui la regola, secondo cui la proposta di cui al primo comma dell’art. 380 bis c.p.c. debba riguardare sia il ricorso principale che quello incidentale, non opera nel caso in cui il ricorso incidentale sia condizionato, ovvero, a fronte dell’inammissibilità o dell’improcedibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale sia stato tardivamente proposto.
7.1 Quanto, infine all’altro interrogativo posto dall’ordinanza interlocutoria circa la possibilità di estendere la previsione di cui all’art. 334 c.p.c. anche al caso in cui l’inammissibilità del ricorso principale derivi dall’applicazione dell’ipotesi di inammissibilità di cui all’art. 360 bis n. 1 c.p.c., ritiene il Collegio che debba darsi continuità e ribadire quanto precisato da questa Corte nella sua più autorevole composizione, e precisamente da Cass. S.U. n. 7155/2017, secondo cui lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, c.p.c., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti” (conf. Cass. n. 29629/2020). 8. Passando quindi al merito della vicenda, il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 2233 c.c. in combinato disposto con gli artt. 1326, 1350, nonché 1362 e 1263
c.c., quanto alla portata della delibera della società del 18/2/2009.
Si deduce che la soluzione del giudice di appello ha prescisso dalla verifica circa il fatto che la stessa delibera era stata proposta dallo stesso controricorrente, trascurando altresì i requisiti di forma scritta per gli accordi derogatori dei minimi tariffari e la condotta successivamente tenuta dal COGNOME che aveva emesso varie fatture attenendosi a quanto previsto nella delibera.
Si sostiene invece che le parti avevano perfezionato un accordo in forma scritta regolante l’importo del compenso, poiché l’assemblea della Credeal, in data 18.2.2009, aveva approvato uno schema di convenzione predisposto dallo stesso resistente in forma scritta e che, in ogni caso, l’accettazione formale della delibera di incarico era avvenuta con l’emissione delle fatture. Così come del pari si è trascurato il fatto che la delibera era stata letta in assemblea.
Il secondo motivo denuncia sotto altro aspetto la violazione degli artt. 2233 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1326 e 1350 c.c., con omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e per violazioni di legge. Si adduce che in realtà non è necessario, ove si voglia ritenere essenziale una sottoscrizione da parte del COGNOME, che questa sia contestuale, ben potendosi evincere tale requisito dall’emissione della fattura che alla convenzione faceva richiamo.
Si lamenta pertanto anche l’omesso esame della fattura de qua ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.
I motivi da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c. avendo la Corte d’Appello deciso conformemente agli orientamenti già espressi da
questa Corte, e senza che i motivi, sostanzialmente reiterativi delle critiche già in passato mosse dalla società nei confronti di analoghe decisione a sé sfavorevoli, offrano elementi alla Corte per mutare il proprio orientamento.
Va preliminarmente dato atto che analoghe controversie tra le stesse parti sono state già definite da questa Corte con le decisioni nn. 717/2023, 719/2023, 22885/2023 e 3457/2024, che hanno escluso che la delibera di cui si discute integri un valido accordo sul compenso redatto in forma scritta.
Ai sensi dell’art. 2233 c.c., l’accordo sui compensi del difensore deve rivestire la forma scritta ad substantiam . La norma non può ritenersi abrogata dall’entrata in vigore dell’art. 13, comma 2, L. 247/2012 (secondo cui il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale”). La novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nell’art. 2233, comma terzo, c.c., e, nell’esigere ‘di regola’ l’accordo scritto, non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo: essa, cioè, stabilisce che il patto deve essere stipulato all’atto del conferimento dell’incarico, ma pur sempre in forma scritta (cfr. Cass. n. 11597/2015; Cass. 24213/2021; Cass. 15563/2022).
Ciò posto, la tesi della società secondo cui la mera predisposizione dello schema di accordo farebbe sì la successiva delibera di approvazione valga come proposta contrattuale dello stesso difensore, accettata dalla società nel rispetto del requisito di forma, o come nuova proposta proveniente dalla Credeal, accettata dal difensore mediante l’emissione della fattura è stata reputata priva di fondamento.
Ai fini della validità dell’accordo sul compenso professionale, alla proposta di una parte, avente forma solenne, deve corrispondere un’accettazione conforme anche nella forma. Il requisito della forma scritta non è integrato da un mero comportamento adesivo o attuativo (o anche dalla predisposizione della bozza di accordo), non accompagnato da una manifestazione di volontà negoziale resa palese nelle forme imposte per legge a pena di nullità.
Una tale volontà non poteva considerarsi manifestata con l’approvazione del verbale assembleare del 18.2.2009; la deliberazione, anziché costituire una proposta contrattuale o l’accettazione di una precedente proposta del difensore, appariva in effetti un mero atto interno, con il quale l’assemblea aveva approvato le condizioni economiche, ma con l’intesa che fossero poi sottoposte ai professionisti per la formale accettazione, con l’espresso invito al Presidente a preferire, nel rilascio del mandato professionale, i soci o amministratori (tra cui il COGNOME) o, in ipotesi di mancata loro accettazione, a terzi professionisti, nel rispetto delle medesime condizioni contrattuali.
Occorreva quindi un successivo scambio di proposta (proveniente dal Presidente della RAGIONE_SOCIALE) ed accettazione dei professionisti selezionati non ex ante , ma di volta in volta dagli organi di vertice della società, secondo un modulo contrattuale predisposto dalla stessa società ed al quale quest’ultima aveva evidentemente inteso vincolarsi, non potendo conseguire dall’approvazione della delibera anche la immediata costituzione del rapporto professionale, con le relative condizioni economiche. Il prospetto, privo di sottoscrizione del resistente, non poteva avere valore negoziale e non impegnava il difensore, in ipotesi ancora in termini per respingerlo, non potendosi valorizzare neppure il
rilascio della procura, che attiene alla costituzione del rapporto di rappresentanza processuale e non vale come automatica adesione ai termini economici unilateralmente prefissati.
Quanto al rilievo dell’emissione della fattura, va in primo luogo evidenziato come risulti inammissibile la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., trovando applicazione, in presenza di un’ipotesi di doppia conforme, la preclusione posta dall’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c.
Ma in ogni caso è stato sottolineato che tale documento attiene alla fase esecutiva del rapporto, che presuppone il già avvenuto perfezionamento del contratto nelle forme richieste per legge (Cass. 1614/2009; Cass. 5263/2015; Cass. 2099/1987). Il difensore, emettendo la fattura, aveva inteso dare attuazione ad un’intesa considerata già perfetta, ma non redatta nelle forme necessarie per la validità, evidenziando -appunto che i compensi erano stati quantificati, appunto, ‘come da convenzione’. Da tale prospettiva è senz’altro indubbio che la formazione dell’accordo nei negozi formali può aver luogo anche mediante lo scambio di atti separati, ma non può soccorrere la regola fissata dall’art. 1362, secondo comma, c.c., che consente di tener conto, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, del comportamento recedente o successivo alla conclusione del contratto, né può avere rilevanza la semplice formazione del consenso, ove non sia stata incorporata in un documento scritto (Cass. 18361/2004; Cass. 2216/2004; Cass. 8080/2002; Cass. 4975/2004; Cass. 12297/2011; Cass. 11828/2018; Cass. 11190/2018).
Ad integrare l’atto scritto richiesto ” ad substantiam “, non è sufficiente un qualsiasi documento, ma è necessario uno scritto
contenente la manifestazione di volontà, posto in essere dalle parti al fine specifico di manifestarla: non basta una dichiarazione di quietanza o la fattura, atti che presuppongono il contratto e non pongono in essere il contratto stesso (Cass. 12673/1997; Cass. 5158/2012; Cass. 10846/2018).
Il riepilogo delle motivazioni che hanno indotto questa Corte a rigettare le analoghe censure avanzata dalla ricorrente, o in alcuni casi ad accogliere il ricorso proposto dal COGNOME avverso la sentenza di merito che aveva invece opinato per l’avvenuta conclusione di una convenzione tra le parti, consente di rilevare come i motivi in esame siano meramente riproduttivi delle argomentazioni già spese in passato e reputate infondate dalla Corte, il che porta il Collegio a dovere concludere per la declaratoria di inammissibilità ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c.
Né rileva il richiamo a quanto statuito dalla Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 7746 del 30 novembre 2023, trattandosi di precedente di cui non risulta attestato il passaggio in giudicato e che in ogni caso non risulta confrontarsi con le motivazioni delle precedenti decisioni di questa Corte.
Il terzo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 1176 c.c. e la falsa applicazione degli artt. 498 e 569 c.p.c., quanto al rigetto della domanda risarcitoria avanzata dalla società nei confronti del proprio difensore, per avere questi intrapreso una procedura esecutiva poi rivelatasi infruttuosa, per essere intervenuta nella stessa un creditore privilegiato che aveva di fatto vanificato la possibilità di conseguire un vantaggio in sede di riparto.
In disparte la novità della questione posta per la prima volta in questa sede con il riferimento al fatto che la colpevolezza del
professionista andava individuata nella circostanza che, aggredendo la abitazione del debitore si sarebbe impoverito quest’ultimo, vanificando la possibilità di recupero del credito (deduzione che però contraddice la stessa finalità della procedura esecutiva, che è appunto mirata a conseguire una sottrazione dei beni al debitore, per permettere il soddisfacimento delle ragioni creditorie), novità che si riflette anche sull’inammissibilità del motivo, nel resto la censura si risolve in una surrettizia critica alla valutazione circa la diligenza del professionista, mirando in tal modo a contrastare una valutazione di merito, esclusa dal sindacato di legittimità, palesando quindi anche in questo caso l’inammissibilità del mezzo di impugnazione.
Il ricorso principale è quindi inammissibile, essendo inammissibili tutti i motivi.
Va dichiarata poi dichiarata l’estinzione del giudizio limitatamente al ricorso incidentale tardivo, il cui unico motivo lamenta l’omessa pronuncia da parte del giudice di appello sul quarto motivo dell’appello incidentale, che lamentava l’erronea quantificazione dei compensi da parte del Tribunale, con la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.
All’inammissibilità del ricorso principale consegue la condanna della ricorrente principale al rimborso delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, restando confermata la sua soccombenza in fase di impugnazione.
Poiché il ricorso principale è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380 -bis c.p.c.il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in
favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di leggein favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all’applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380 -bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c.- codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
Le argomentazioni dele Sezioni Unite di cui al precedente da ultimo richiamato danno anche contezza della manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 380 bis c.p.c. sollevati dalla difesa della ricorrente, e ciò anche in considerazione del fatto che la norma è stata intesa nel senso che non determina un automatismo necessario tra rigetto del ricorso a seguito di istanza di decisione ed applicazione delle sanzioni di cui all’art. 380 bis c.p.c.
Infatti, è stato affermato che non deve farsi luogo alla sanzione processuale di cui all’ultimo comma dell’art. 380 -bis c.p.c. laddove la definizione collegiale del ricorso prescinda del tutto dalla proposta di definizione anticipata, come nel caso in cui, a fronte d’una proposta di rigetto o d’inammissibilità nel merito, il
ricorso venga dichiarato improcedibile o inammissibile ab origine oppure venga rigettato prendendo in esame motivi non vagliati in sede di proposta. (cfr. da ultimo Cass. n. 21668/24).
Poiché il ricorso principale è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P .R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
La declaratoria di estinzione del ricorso incidentale esclude che per lo stesso ricorrano i presupposti applicativi della norma in esame.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed estinto per rinuncia il giudizio quanto al ricorso incidentale;
condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 2.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, ed accessori come per legge.
Condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari ad € 1.000,00, nonché al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda