Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15544 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15544 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4854/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da se medesimo e dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 40002/2018 depositata il 04/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.il Tribunale di Milano, con ordinanza n.6603 del 2020, accoglieva in parte l’opposizione proposta dalla BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI MILANO, RAGIONE_SOCIALE contro il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’avv. COGNOME per crediti relativi ad undici prestazioni professionali, analiticamente indicate nell’ordinanza medesima.
La Banca opponente aveva allegato il perfezionamento, in data 11.4.2013 e in data 29.4.2015, di due convenzioni tariffarie che sostituivano ogni precedente accordo, disponendo, al punto 3.1 della prima convenzione, che ‘per le attività svolte in attuazione della Convenzione al legale sarebbero stati riconosciuti i compensi calcolati sulla base dei parametri riportati negli allegati’.
Nell’accordo del 29.4.2015 era previsto che la Banca ‘facendo seguito all’incontro del … è stato concordato l’ammontare residuo pari a €836.833,32 dei compensi spettanti all’avvocato NOME COGNOME per l’attività svolta fino al 30/6/2014 per le pratiche affidate dalla B.C.C. e che riguardano tutte le posizioni che non sono disciplinate dalla convenzione e di cui all’allegato elenco. Le parti reciprocamente stabiliscono le seguenti condizioni: la B.C.C. si impegna a pagare all’Avv. COGNOME, in tre anni l’ammontare residuo dei compensi per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, indicati nell’elenco allegato e aggiornato al 30 marzo 2015, per un residuo di € 599.828,22… L’Avv. COGNOME si impegna ad effettuare una riduzione del 25% sull’ammontare indicato nell’elenco allegato per l’attività svota fino al 30/6/2014 … L’Avv. NOME COGNOME per l’attività svolta successivamente al 30/06/2014 si impegna ad applicare le tariffe di cui alla convenzione del 11/04/2013 con avvocati fiduciari della B.C.C. di RAGIONE_SOCIALE predisposta da RAGIONE_SOCIALE e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12/06/13′.
L’avv. COGNOME aveva eccepito di non aver sottoscritto alcun accordo sui compensi successivamente a quello concluso nel 16
dicembre 1996 secondo cui i compensi sarebbero stati calcolati secondo ‘le tariffe professionali dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori’ e che, in ogni caso, la clausola delle convenzioni allegate da controparte violava l’art.13 bis della legge professionale forense, derogando all’equo compenso e ai parametri fissati dal D.M. n. 55/2014, e avrebbe dovuto essere pertanto ritenuta nulla.
Il Tribunale ha affermato che l’accordo del 2013 non era stato concluso posto che l’avvocato, dopo aver ricevuto lo schema di convenzione tariffaria, aveva, con lettera del 12.6.2013, richiesto modifiche e che queste ultime erano state rifiutate dalla Banca, con comunicazione del 18.6.2013; che nell’accordo del 2015 erano state distinte l’attività ‘svolta’ prima e l’attività ‘svolta’ dopo il 30.6.2014 accentuandosi il rilievo dell’epoca di svolgimento dell’attività e senza alcun riferimento ‘all’epoca di conferimento dell’incarico’; che l’accoro del 2015 doveva essere interpretato nel senso che la previsione per cui la Banca avrebbe pagato € 599828,22 per le prestazioni svolte dall’avvocato fino al 30/6/2013 si riferiva non alle sole prestazioni indicate nell’elenco allegato all’accordo (e diverse da quelle oggetto del giudizio), come sostenuto dall’avvocato, ma a tutte le prestazioni svolte fino a quella data, come era dato desumere dal reiterato uso del termine ‘residuo’, dalla complessiva ‘finalità liquidatoria dell’accordo’, dalla previsione di ‘uno sbarramento temporale al 30.6.2014’ funzionale a ‘definire il pregresso e adottare poi un diverso criterio pe disciplinare la liquidazione dei compensi per l’attività successiva’ e dal fatto stesso che l’accordo era stato ‘redatto’ dall’avvocato il quale, per un verso, essendo a conoscenza delle pratiche seguite fino al 30.6.2014, era in grado di stabilire ‘la quantificazione concordata del compenso’ e, per altro verso, non aveva fatto alcuna espressa ‘riserva’ per eccettuare alcune di tali pratiche dall’accordo; che pertanto all’avvocato non spettava alcunché per le pratiche indicate nel decreto ingiuntivo con i nn. 1, 2, 3, 4, 10 e
11 perché svolte prima del 30.6.2014; che per le pratiche svolte dopo il 30.6.2014 all’avvocato dovevano essere liquidati compensi secondo le tariffe della convenzione del 2013 richiamate nell’accordo del 2015; che l’eccezione di nullità delle pattuizioni tariffarie rispetto all’art. 13 bis della legge professionale forense era infondata trattandosi di disposizione non applicabile al caso di specie, ratione temporis; che, al contrario di quanto sostenuto dall’avvocato, non vi era alcuna decisione passata in giudicato che avesse riconosciuto il diritto dell’avvocato a percepire, per le prestazioni fino al 30/6/2014 compensi aggiuntivi rispetto alla somma di € 599,828,22; che, conclusivamente, per le pratiche di cui ai nn.5,6,7, 8 e 9 spettavano all’avvocato compensi per € 2058,00 oltre interessi ai sensi del d.lgs. 231/02 ‘dalla domanda al saldo’;
contro
l’ordinanza ricorrono l’avvocato COGNOME, in via principale e con quindici motivi, e la Banca, in via incidentale e con quattro motivi. L’avvocato ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
in via preliminare deve essere dichiarata inammissibile l’eccezione di nullità del provvedimento impugnato, sollevata nella memoria dal ricorrente in via principale e motivata con il rilievo che la trattazione del procedimento, in contrasto con quanto dispone l’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011, si è svolta interamente dinanzi al giudice relatore, mentre il collegio è intervenuto solo in sede decisoria.
La violazione delle disposizioni degli articoli 50 bis e 50 ter c.p.c. sulla composizione monocratica o collegiale del Tribunale chiamato a decidere secondo l’art. 50 quater c.p.c., non si considera attinente alla costituzione del giudice. Alla relativa nullità si applica l’art. 161 comma primo c.p.c., per cui la stessa può essere fatta
valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell’appello o del ricorso per cassazione, ed anche ove non si ritenga applicabile l’art. 50 quater c.p.c. perché, nella specie, la collegialità deriva dalla previsione speciale dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D. Lgs. 10.11.2022 n. 149, come modificato dalla L. 29.12.2022 n. 197, e non dall’art. 50 bis c.p.c., il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c., correlato alla previsione del citato art.14, determina comunque una nullità insanabile (vedi in tal senso Cass. 6.6.2016 n.11581) che, in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere però fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso di specie il vizio, non rilevabile d’ufficio, è stato fatto valere con memoria.
Le memorie consentite dall’art. 378 c.p.c. possono essere utilizzate tuttavia esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi già compiutamente svolti con il ricorso o per confutare le tesi avversarie, ma non per formulare nuove censure o per prospettare nuovi motivi di ricorso (Cass. n. 12477/2002; n. 9387/2003; n. 4020/2006);
2.con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 132, 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Si sostiene che, con decreto ingiuntivo n.1395/2018, non opposto, e perciò passato in giudicato, il Tribunale di Monza aveva ritenuto ancora operante la convenzione tariffaria sottoscritta dalle parti nel 1996, di cui doveva farsi applicazione anche nella presente controversia.
Sono poi menzionati altri provvedimenti del Tribunale di Monza che avrebbero riconosciuto il diritto del legale al compenso stabilito secondo i parametri di cui al DM 55 del 2014. Tali provvedimenti sono al centro del successivo motivo di ricorso e se ne dirà in riferimento a questo.
Il motivo è infondato.
Il preteso giudicato esterno è insussistente.
Il decreto ingiuntivo n.1395/2018, come evidenziato sia dalla ordinanza impugnata sia dal ricorrente (v. ricorso pagina 28), non era stato opposto tempestivamente.
E’ allora sufficiente richiamare la sentenza di questa Corte n.12111 del 22/06/2020 che, con riferimento ad un credito periodico, ha enunciato il principio, valevole a maggiore ragione in caso di crediti relativi a rapporti distinti seppur legati a precedente convenzione, per cui ‘Il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i princìpi di diritto che ne costituiscono il fondamento. Pertanto, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma – in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio – non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive’;
3. con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 132, 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Si sostiene che con ordinanze relative a decreti ingiuntivi ulteriori rispetto a quello n.1395/2018 (menzionato nel secondo motivo di ricorso), il Tribunale di Monza, senza distinguere tra prestazioni svolte prima e dopo il 30/6/2014, aveva liquidato compensi anche per attività antecedenti al 30/6/2014; che il Tribunale di Milano, con l’ordinanza impugnata, aveva errato nell’affermare che quelle ordinanze non erano definitive; che infatti tali ordinanze non erano state fatte oggetto di ricorso per cassazione dalla Banca con specifico riferimento ‘alla
non estensibilità dell’accordo del 29.4.2015 a tutte le pratiche svolte ante 30/6/2014’; che, di conseguenza, sul punto della ‘non estensibilità dell’accordo’ si era formato il giudicato.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente stesso ricorda che la questione della interpretazione della clausola dell’accordo del 2015 -secondo cui la Banca avrebbe pagato € 599.828,22 per le prestazioni svolte dall’avvocato fino al 30/6/2013- come clausola riferita alle sole prestazioni indicate nell’elenco allegato all’accordo o come clausola riferita a tutte le prestazioni svolte dall’avvocato fino a quella data (anche non incluse nell’elenco), non si era mai posta davanti al Tribunale di Monza. Come ricorda la Banca nel controricorso, il Tribunale di Monza aveva affermato che l’accordo tariffario era nullo per contrasto con la normativa sull’equo compenso e contro tale affermazione la Banca aveva proposto ricorso. In questo modo la Banca ha impedito il formarsi del giudicato. Il giudicato si determina infatti su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’impugnazione motivata anche soltanto con riguardo ad uno degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 10760/2019);
4. con il quarto motivo di ricorso principale si lamenta la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art.112 c.p.c. per avere il Tribunale di Milano, ‘al di fuori ed oltre quanto richiesto ed eccepito dalle parti’ (ricorso, pagg. 30), affermato che l’accordo del 29 aprile 2015 era omnicomprensivo e che, in forza di esso, per tutta l’attività svolta fino al 30 giugno 2014 doveva essere ritenuto
satisfattivo il pagamento di € 599.828,22, malgrado che la Banca, da un lato, non avesse mai dedotto quanto affermato dal Tribunale ed avesse dedotto che solo le pratiche n. 3 e n. 11 rientravano nell’elenco allegato all’accordo e che, da un altro lato, avesse insistito solo sulla applicazione integrale dell’accordo del 2013; Il motivo è inammissibile.
Il vizio di extra petizione ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato), mentre spetta al giudice di merito il compito di definire e qualificare, entro detti limiti, la domanda proposta dalla parte. (Cass. n. 12471/2011). Per causa petendi idonea a identificare la domanda della parte devono intendersi non le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio bensì l’insieme delle circostanze di fatto poste a base di questa (Cass. n. 9176/1997). Consegue che l’interpretazione delle scritture negoziali data dalla Banca a sostegno della propria pretesa non vale di per sé a identificare i limiti di questa, e non può costituire parametro alla cui stregua valutare la novità della domanda o il rispetto da parte del giudice del principio della necessaria corrispondenza della pronunzia alla richiesta;
con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss., c.c. e degli artt. 132 c.p.c. e 118 dip. att. c.p.c. e 111 Cost. Si deduce che il Tribunale ha interpretato illogicamente l’accordo del 2015 affermando che esso riguardava tutte le pratiche svolte fino al 2014 e non solo quelle indicate nell’elenco allegato.
6. con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c. e 115 c.p.c. Si deduce che la motivazione resa dal Tribunale
basata sulla pretesa sussistenza di indici in forza dei quali ritenere l’applicabilità dell’accordo 29.04.15 a tutte le pratiche, si rivela del tutto fallace sul piano giuridico ed errata per tutti gli elementi probatori enucleati. Si deduce, in particolare, che, visto che l’accordo prevedeva l’impegno da parte del ricorrente ad applicare per l’attività successiva al 30/6/2014, le tariffe di cui alla convenzione dell’11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti S.p.A. ‘e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013’, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere operative tutte le modifiche e integrazioni senza escludere quella di cui al punto 5.2 della lettera.
I motivi quarto e quinto sono strettamente connessi e possono essere esaminati assieme.
I motivi sono inammissibili.
Come questa Corte ha in molte occasioni precisato, in tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 22 giugno 2017, n. 15471), poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa. La censura, in altre parole, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. Né l’interpretazione data dal giudice al contratto deve necessariamente essere l’unica interpretazione possibile e neppure la migliore in astratto, essendo sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando di
una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr., tra molte, Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; ancora, fra le altre, Cass. 20 maggio 2020, n. 9291; Cass. 8 gennaio 2020, n. 121; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha violato le già menzionate regole ermeneutiche né i ricordati principî di diritto.
La Corte territoriale, dopo avere richiamato la finalità (‘liquidatoria’) dell’accordo e le condizioni essenziali del medesimo, ha posto in luce che le parti avevano operato una netta separazione (‘uno sbarramento temporale’) fra l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, per la quale era stato convenuto l’ammontare residuo dei compensi spettanti, pari a €836.833,32, sul quale il professionista si impegnava ad effettuare ‘all’atto della fatturazione’ una riduzione del 25%’, e l’attività successiva al 30 giugno 2014. Con riferimento a tale attività successiva l’avv. COGNOME si impegnava ad applicare le tariffe di cui alla convenzione dell’11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti S.p.A., ‘e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013’.
Il Tribunale ha osservato che le suddette ‘modifiche e integrazioni’ dovevano essere individuate in quelle relative alla tariffazione essendo invece esclusa quella, contenuta al punto 5.2. della lettera ma non accettata dalla Banca e incompatibile con il riferimento contenuto nell’accordo alla separazione netta tra attività ‘resa’ prima e attività ‘resa’ dopo il 30/6/2014, secondo cui la convenzione avrebbe dovuto applicarsi solo per le pratiche affidate
dopo tale data e non a quelle precedenti e ciò anche se le azioni giudiziarie fossero avviate successivamente. Il Tribunale ha quindi concluso che, quanto all’attività giudiziale successiva al 30 giugno 2014, l’accordo vincolava l’avv. COGNOME alle tariffe stabilite con la convenzione mentre, quanto all’attività precedente, era chiara intenzione delle parti di liquidare il compenso omnicomprensivo di €599.828,22. Il Tribunale ha ancora aggiunto che il proprio convincimento era rafforzato dal fatto che il testo dell’accordo era stato a predisposto unilateralmente dall’avv. COGNOME il quale era ben al corrente delle pratiche seguite per conto della Banca sino al 30 giugno 2014, aggiornate peraltro al 30 marzo 2015, ed era certamente in grado di valutare l’attività svolta ai fini dell’accordo sulla liquidazione del compenso.
Rispetto a tale esegesi, il ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole.
L’ordinanza non è affetta da alcun vizio motivazionale.
È noto che, in applicazione l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nel testo novellato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 134 del 2012, è esclusa la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione in riferimento alla idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione. La novella, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; onde la riformulazione della norma suddetta deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., sez. un, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).
Nel caso in esame, nessuna anomalia motivazionale, nel senso sopra indicato, inficia l’ordinanza e il ricorrente, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, propone riflessioni critiche involgenti il complessivo accertamento fattuale operato dal giudice del merito e di cui è chiesta una rivalutazione. Ciò che non è ammesso nel giudizio di legittimità non potendosi questo giudizio trasformare in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (fra le tante, Cass. n. 21381 del 2006, Cass. n. 8758 del 2017, Cass., sez. un., n. 34476 del 2019);
7. con il sesto e il settimo motivo -che il ricorrente propone assieme- si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.2233 c.c. e del d.m. 55/2014 e del d.m.127 del 2004, dell’art. 13 bis della legge professionale forense e degli artt. 24, 35 e 36 della Costituzione nonché la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere l’art. 13 bis della legge professionale forense non applicabile al caso di specie.
I motivi sono infondati.
Il Tribunale, per le prestazioni di cui ai nn.5,6,7, 8 e 9 del ricorso monitorio, ha calcolato i compensi sulle base delle tariffe dell’accordo del 2013 (accordo, come osservato dal Tribunale, non concluso, ma per la parte inerente alle tariffe, reso effettivo in forza del richiamo fattovi da parte dell’accordo del 2015 per le prestazioni rese successivamente al 30/6/2014). Ha evidenziato che tutte le prestazioni si erano concluse a seguito della rinuncia dell’avvocato COGNOME a tutti gli incarichi in data 16 novembre 2017, ossia prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 bis cit. avvenuta il 6 dicembre 2017, ha ritenuto la disposizione non retroattiva e quindi inapplicabile alla fattispecie.
L’ordinanza è ineccepibile.
È sufficiente richiamare quanto questa Corte ha già precisato, con ordinanza n.7354 del 19/03/2025, in altra controversia tra le parti: ‘In tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della l. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall’art. 19 quaterdecies del d.l. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 172 del 2017, con effetti dall’1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore’. Infine, è palesemente insussistente la violazione dell’art. 112 c.p.c., in presenza di pronunzia esplicita di rigetto della domanda formulata ai sensi dell’art. 2233, comma 2, c.c.
8. con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione ‘di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.’, omessa motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5, in relazione all’art. 2697 cc. e 112 c.p.c. e all’art. 2233 c.c. Si deduce che il Tribunale ha negato i compensi per le attività svolte dal ricorrente prima del 30 giugno 2014, sulla base della interpretazione dell’accordo già criticata con precedenti motivi di ricorso, pur avendo ‘il ricorrente
affermato di nulla avere mai percepito e nulla avendo prodotto la banca a sostegno di tale ritenuto pagamento’.
Il motivo è inammissibile perché non tiene conto della ratio della decisione impugnata.
La ratio non è quella dell’avvenuto o non avvenuto rispetto dell’accordo ma quella per cui nessuna pretesa ulteriore poteva essere avanzata dal ricorrente per l’intera attività svolta fino al 30 giugno 2014 in quanto questa trovava il proprio corrispettivo nella somma €599828,22 -pattuita nell’accordo. La dedotta carenza di prova dell’avvenuto rispetto dell’accordo era irrilevante nell’economia della decisione posto che il ricorrente non ha agito per l’adempimento dell’accordo ma ha preteso un compenso per attività, da lui ritenute non coperte dall’accordo e ritenute invece dal Tribunale coperte dall’accordo in forza della ricordata esegesi dell’accordo stesso;
9. con il nono motivo si lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione e omessa e/o insufficiente motivazione in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., 1362, 1372 e 1374 c.c.; 24, 35 e 36 Cost., 2697 c.c. e art. 112 e 115 c.p.c., del d.l.n.1/2012 e dell’art. 24 della L.794 del 1942’.
Sotto questa rubrica si deduce che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere, quanto alle pratiche di cui ai nn. 1, 2 e 10 del ricorso per decreto ingiuntivo, valido l’accordo del 29 aprile 2015 malgrado che tali pratiche si fossero esaurite ‘tra il 2006 ed il 2012’, vigente il principio di inderogabilità dei minimi tariffari stabilito dall’art.24 della l.794 del 1942.
Il motivo è inammissibile
Va preliminarmente rilevato che solo per le prestazioni professionali rese in epoca anteriore all’ entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito con la legge n. 248 del 2006, il cui articolo 2, primo comma, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la
fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, vale il disposto dell’articolo 24 della legge 13 giungo 1942 n. 794, avendo questa Corte già avuto modo di chiarire, con la sentenza n. 9878/2008, che l’articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 223 del 2006, convertito con la legge n. 248 del 2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali «dalla data di entrata in vigore» della legge stessa, con la conseguenza che quelle disposizioni conservano piena efficacia solo in relazione a fatti verificatisi prima di tale data.
Deve in secondo luogo osservarsi che il diritto dell’avvocato al compenso in misura non inferiore ai minimi tariffari è un diritto disponibile e, pertanto, può costituire oggetto di valida rinuncia sia successiva che preventiva all’insorgere del diritto al compenso (Cass. n. 1680/83; Cass. 8539/18) e che, nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che per le attività anteriori al 30/6/2014 le parti avevano raggiunto un accordo in ordine alla misura del compenso dovuto, sul testo predisposto unilateralmente dall’avv. COGNOME;
10. con il decimo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1372, 2233 c.c. e 112 e 115 c.p.c. Si deduce che il Tribunale per le pratiche di cui ai n.1,2,3,4,10 e 11, avrebbe non integralmente rispettato la convenzione tariffaria del 2013 richiamata dall’accordo del 2015 con le ‘modifiche ed integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013’. Si deduce, in particolare, che con l’accordo del 2015, integrato dalla lettera suddetta, le parti avrebbero concordato che al ricorrente spettavano, per il caso in cui la Banca avesse recuperato i propri crediti, compensi maggiori di quelli stabiliti con la convenzione.
Il motivo è inammissibile perché slegato del tutto dal contenuto della decisione impugnata.
Il Tribunale ha escluso che per le pratiche indicate -pratiche di cui ai n.1,2,3,4,10 e 11- spettasse al ricorrente alcunché trattandosi di pratiche concluse prima del 30.6.2014.
La pattuizione invocata dal ricorrente è stata riconosciuta dal Tribunale come operante ma solo in relazione ai compensi per le pratiche svolte dopo il 30.6.2014 (v. ordinanza pagina 9);
11.con l’undicesimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt.2233 e 2234 c.c., dell’art. 1372 c.c., del d.m. 55/2014 e degli artt. 112 e 115 c.p.c. per avere il Tribunale affermato, in riferimento alle pratiche di cui ai punti 5 e 9 del ricorso monitorio, che la Banca non era tenuta a corrispondere acconti e per non aver il Tribunale valutato che, relativamente alla pratica n.5, erano state svolte attività ulteriori a quelle fatturate.
Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha affermato che, avendo l’avvocato emesso per le due pratiche in questione due fatture non a titolo di acconto, che le fatture erano state emesse ‘quando ormai l’attività professionale era esaurita’, che le fatture erano state pagate, che solo successivamente il ricorrente aveva, con note pro-forma, preteso di imputare i pagamenti ad acconti, che pertanto la ‘pretesa di qualificare a posteriori come mero acconto l’importo indicato in una fattura’, era ‘infondata’. Il Tribunale ha poi aggiunto che, in base agli accordi, la Banca non era tenuta a pagare acconti.
Così identificato il significato della pronunzia è chiaro che la censura si sostanzia nella prospettazione di una valutazione alternativa degli stessi elementi esaminati dal giudice di merito per ritenere la fattura ‘a saldo’.
Riguardo poi alla censura per cui il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che ‘relativamente al punto n.5 del ricorso per decreto ingiuntivo vi è stata ulteriore attività (documenti 85-113 fasc. di primo grado)’, la stessa non è inquadrabile in una
ammissibile censura ex art. 360, primo comma, n.5. posto che non rispetta le previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.: il ricorrente non ha indicato il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso non potendosi ritenere a tal fine sufficiente il generico riferimento alla ‘ulteriore attività’ e, in aggiunta, non ha, con sufficiente precisione, indicato il “dato” testuale da cui l’attività ulteriore risulta esistente, avendo genericamente rinviato ad una massa di documenti;
12. con il dodicesimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362, 1372 e 2233 c.c., 112 e 115 c.p.c., Si deduce che il Tribunale per la pratica di cui al n. 7 del ricorso monitorio avrebbe non integralmente rispettato la convenzione tariffaria del 2013 richiamata dall’accordo del 2015 con le ‘modifiche ed integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013’. Si deduce in particolare che, con l’accordo del 2015 integrato dalla lettera suddetta, le parti avrebbero concordato che al ricorrente spettavano i compensi liquidati dall’autorità giudiziaria nei vari giudizi e procedure.
Il motivo è inammissibile.
Nella ordinanza (pagina 9) si dà conto della specifica condizione della lettera del 12 giugno 2013, secondo cui il riconoscimento dei compensi liquidati dall’autorità giudiziaria era condizionato all’ effettivo recupero da parte della Banca.
Il Tribunale, con riferimento alla pratica n. 7, ha accertato che non vi era prova dell’effettivo recupero non potendosi ‘tale prova desumere dalla cessione del portafoglio credito al fondo temporaneo del credito cooperativo in conseguenza del quale la Banca ha presentato istanza di estromissione dalla procedura esecutiva’ alla quale era riferita la richiesta di compenso.
Il motivo si riduce alla prospettazione di una valutazione alternativa degli stessi elementi esaminati dal giudice di merito.
Il ricorrente deduce altresì che il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che anche in relazione alle pratiche di cui ai nn.9, 10 e 11 la Banca avrebbe recuperato i propri crediti.
La censura è inammissibile per quanto riferita alla pratica di cui al n.9 perché si riduce alla allegazione di un fatto: i debitori della Banca avrebbero concordato con la Banca ‘piani di recupero’. Il fatto allegato, peraltro, smentisce il fondamento della censura posta l’evidente differenza tra la definizione di un piano di recupero e l”effettivo recupero’ a cui secondo l’accordo definito dalle parti era condizionato il riconoscimento a favore del difensore di un maggior compenso.
La censura è inammissibile per quanto riferita alle pratiche nn.10 e 11 per totale sconnessione rispetto al contenuto della ordinanza impugnata: il Tribunale ha escluso che il ricorrente potesse pretendere alcunché per tali pratiche trattandosi di pratiche svolte prima del 30.6.2014.
13.con il tredicesimo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione e omessa e/o insufficiente motivazione in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., 1364, 1372 e 1374 c.c.; 24, 35 e 36 Cost., 2697 c.c. e art. 112 e 115 c.p.c.’ per avere il Tribunale escluso il maggior credito vantato dal ricorrente per alcune delle attività accessorie relative alla pratica di cui al n. 6 e per la ‘presenza di più parti’ nella pratica n.8 sul motivo -criticato dal ricorrente- per cui per tali attività e per la presenza di più parti l’accordo del 2015 non prevedeva alcuna autonoma voce di credito o maggiorazione del compenso. Il Tribunale ha specificato che nessun credito poteva essere preteso dal ricorrente per l’atto di precetto relativo alla pratica n. 6 in quanto, in base alla convenzione, il compenso per gli atti di precetto era già incluso ‘negli importi per la procedura esecutiva e poteva esser riconosciuto autonomamente solo nell’ipotesi’ -non verificatasi ‘in
cui l’attività giudiziale si fosse conclusa prima dell’avvio della fase esecutiva’.
Il motivo è inammissibile risolvendosi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzia nella mera contrapposizione di una differente interpretazione dell’accordo secondo cui la mancata previsione di una voce autonoma di credito o di una maggiorazione del compenso non avrebbe dovuto essere intesa come esclusione del credito o della maggiorazione. Si tratta di crediti per compensi relativi ad attività accessorie e di maggiorazione del compenso legate al numero della parti. Si tratta di crediti e di maggiorazione liberamente negoziabili. Come già ricordato, l’interpretazione data dal giudice al contratto non necessariamente deve essere l’unica interpretazione possibile e neppure la migliore in astratto essendo sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito -dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr., tra molte, Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; ancora, fra le altre, Cass. 20 maggio 2020, n. 9291; Cass. 8 gennaio 2020, n. 121; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644);
14. con il quattordicesimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt.2233 e 2234 c.c., dell’art. 2 del d.m. 55/2014 e dell’art.112 c.p.c. per avere il Tribunale negato il rimborso delle spese generali, perché non comprese nella convenzione del 2013, che tuttavia non era applicabile in quanto l’accordo del 2015 aveva richiamato le sole tabelle, rimanendo il resto disciplinato dalle norme comuni.
Il motivo è fondato, in quanto l’ordinanza impugnata, all’ultimo capoverso di pagina 12, ha negato il rimborso spese generali sui compensi professionali liquidati all’avvocato COGNOME perché non previsto nella convenzione del 2013, ma in realtà il Tribunale ha ritenuto perfezionato tra le parti l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 (pur facente rinvio alla convenzione del 2013 come integrata dalla lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013) e non la convenzione dell’11.4.2013, e quando è stato sottoscritto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, posto a base delle prestazioni liquidate, era già entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, che all’art. 2 prevedeva l’obbligatorietà del rimborso spese generali del 15% anche in caso di determinazione contrattuale del compenso (v. Cass. 12905/2025, tra le parti e su identica fattispecie).
Il motivo va, pertanto, accolto e al ricorrente devono essere riconosciute, sugli importi liquidati con l’ordinanza impugnata, le spese generali nella misura indicata;
15. con il quindicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt.2233, 2234, c.c., degli artt. 24, 35 e 36 della Costituzione e degli artt. 112 e 115 c.p.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe liquidato i compensi in misura simbolica e non consona rispetto al valore e al pregio dell’attività prestata e inferiore ai minimi di cui al d.m.55/2014.
Il motivo è inammissibile in quanto generico;
16. con il primo motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 1175 e 1375 c.c. per avere il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione sollevata dalla Banca di improponibilità o improcedibilità della domanda avanzata dall’avvocato per illegittimo frazionamento del credito.
La Banca deduce di essere stata obbligata a difendersi in 25 procedimenti monitori iniziati dall’avvocato, che i procedimenti erano stati avviati dall’avvocato a seguito della comunicazione
inviata dallo stesso avvocato alla Banca il 16 novembre 2017 di rinuncia a tutti i mandati, che l’avvocato aveva gli elementi per far valere le proprie pretese unitariamente, che i crediti, sebbene rinvenienti da mandati professionali distinti, tuttavia avrebbero potuto e dovuto essere fatti valere unitariamente perché tutti verso la Banca e tutti relativi a pratiche omogenee di recupero di crediti vantati dalla Banca verso i clienti, che l’avvocato non aveva in alcun modo prospettato esigenze tali da giustificare il frazionamento delle iniziative giudiziali; che la motivazione data dal Tribunale -essere i crediti relativi a prestazioni eseguite in base ad incarichi distintinon era in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui occorre avere riguardo, ai fini del frazionamento, all’unicità del rapporto nel quale i distinti crediti erano inseriti.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti, in capo al creditore, un interesse, oggettivamente valutabile, alla tutela processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/ 2019). È dunque ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica
compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023).
È stato anche già precisato (Cass. 12905/2025 tra le stesse parti e su identico motivo di ricorso della Banca) che ‘il quadro non risulta modificato dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 7299 del 19.3.2025, nelle more sopravvenuta, chiamata a deliberare sulle diverse conseguenze riconducibili all’illegittimo frazionamento del credito (inammissibilità o improponibilità della domanda; conseguenze sul piano delle spese processuali e della responsabilità ex art. 96 c.p.c.), che ha ribadito che ‘le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, e che tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 6591/ 2019; Cass. n.17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017)’. Ne deriva che, poiché nel caso in esame, il Tribunale di Milano ha accertato l’esistenza di distinti crediti professionali rispetto a quelli separatamente azionati dall’avvocato NOME COGNOME ancorché basati su una medesima convenzione tariffaria dei compensi con la B.C.C., non riconducibili ad un rapporto obbligatorio unico e non inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, né fondati sul medesimo fatto costitutivo, il provvedimento impugnato non era tenuto a motivare in ordine alla sussistenza in
capo al creditore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, ben potendo il professionista legittimamente agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca;
17. con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n.3. c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 1326 c.c. e 115 c.p.c. per aver il Tribunale affermato che l’accordo stipulato nel 2013 era divenuto vincolante solo con la sottoscrizione dell’accordo del 29.4.2015 e solo nella parte in cui conteneva la regolazione tariffaria, laddove invece avrebbe dovuto affermarsi che l’accordo del 2013 era stato validamente concluso ed era efficace in toto come risultava dal fatto che l’avvocato COGNOME aveva emesso alcune fatture conformi a quanto previsto dall’accordo stesso in relazione a prestazioni anche ‘anteriori al 29 aprile 2015’.
18. con il terzo motivo di ricorso incidentale si lamenta nullità della ordinanza in relazione agli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost. Si deduce che il Tribunale si sarebbe contraddetto con l’affermare, da un lato, che le fatture emesse dall’avvocato COGNOME documentavano l’esecuzione dell’accordo e, dall’altro lato, che il contratto del 2013 non era stato concluso.
I due motivi sono strettamente connessi e sono inammissibili in quanto l’emissione delle dedotte fatture non incide sull’accertamento del Tribunale -basato sulla documentazione richiamata nell’ordinanza e segnatamente sulle lettere del ricorrente del 13 e del 12 giugno 2013 e sulla comunicazione della Banca dell’ 8 luglio 2013 -per cui la controproposta dell’avvocato COGNOME alla proposta di convenzione del 2013 inviata dalla Banca non era stata da questa accettata con la conseguenza che l’accordo non si era concluso;
19. con il quarto motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., e dell’art. 4 del d.lgs. 231 del 2002, per aver il Tribunale fatto decorrere gli interessi dalla domanda monitoria e non dalla pronuncia, pur essendo il credito ancora illiquido alla data del deposito del ricorso monitorio. Il motivo è infondato.
La Corte ha statuito (con la già citata sentenza, tra le odierne parti, n. Cass. 12905 del 2025 cit.), che nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora (Cass. ord. 10.10.2022 n. 29351; Cass. 19.8.2022 n. 24973; Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611). Ancorché poi non possa trovare applicazione la disposizione del D.M. n. 238/1992, che prevedeva la spettanza degli interessi ex D. Lgs. n. 231/2002 e della rivalutazione monetaria dalla scadenza del termine di tre mesi dall’invio della parcella da parte del professionista, trattandosi di norma regolamentare non abilitata a modificare la disciplina codicistica dell’art. 1224 cod. civ.’, nel caso in esame -come anche quello che occupa- in cui il decreto ingiuntivo opposto è stato notificato dopo la data di entrata in vigore del d.l.132/2014, doveva trovare applicazione l’art. 1224 comma 4° cod. civ., introdotto dallo stesso d.l. n.132/2014, convertito nella L.n.162/2014, che dispone che, in assenza di
predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali (ossia dal D. Lgs. n. 231/2002), manifestando in tal modo il chiaro intento di contrastare, anche con la maggiorazione degli interessi di mora, pratiche dilatorie ovvero ostruzionistiche del debitore, e volendo in ogni caso assicurare che la durata del processo non possa andare a danno del creditore, principio questo già ritenuto applicabile anche ai compensi degli avvocati (Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611)’. Ne deriva che l’ordinanza impugnata, che ha riconosciuto gli interessi ex d.lgs. n. 231/2002, a decorrere dalla data della domanda giudiziale, si sottrae alla censura;
20. in conclusione, il quattordicesimo motivo del ricorso principale deve essere accolto, ogni altro motivo, sia del ricorso principale sia del ricorso incidentale, deve essere rigettato, l’ordinanza impugnata deve essere cassata in riferimento al motivo accolto e, non essendovi necessità di accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito (art. 384 c.p.c.) con il riconoscimento al ricorrente principale del diritto al rimborso delle spese generali nella misura del 15% sui compensi liquidati;
21. le spese del giudizio di legittimità -ferme quelle di merito -sono compensate per intero, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., stante la marginalità del motivo accolto rispetto all’insieme delle questioni sollevate e la soccombenza reciproca sul resto;
PQM
la Corte accoglie il quattordicesimo motivo del ricorso principale, rigetta tutti i restanti motivi dello stesso ricorso, rigetta il ricorso incidentale, cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, riconosce al ricorrente principale il diritto al rimborso delle spese generali nella misura del 15% sui compensi liquidatigli con l’ordinanza impugnata;
compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.