Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22460 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22460 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30908/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da se stesso e dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec dei difensori;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso l’ordinanza della TRIBUNALE di MILANO (RG 9966/2018), depositata il 21/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
L’avv. NOME COGNOME adì il Tribunale di Milano domandando di ingiungere alla Banca di Credito Cooperativo di Milano soc. coop. il pagamento del compenso professionale per le attività giudiziali e stragiudiziali prestate, per un importo complessivo di euro 225.506,62, comprensivo di spese generali, IVA 22% e CPA 4%.
1.1. Il Tribunale adito, applicato il rito di cui all’art. 14, d. lgs. n. 150/2011, in data 29/12/2017, emise decreto ingiuntivo n. 29603/2017 per il predetto importo.
1.2. La Banca propose opposizione.
Il Tribunale di Milano accolse parzialmente l’opposizione e, per l’effetto, revocò il decreto ingiuntivo, condannando l’opponente al pagamento della somma di euro 13.991,00, oltre accessori di legge e interessi commerciali.
2.1. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti dell’ordinanza, per qual che qui possa rilevare.
2.1.1. In data 11/4/2015 le parti avevano stipulato un accordo tariffario che regolava tutti gli incarichi assegnati al professionista ancora in corso di svolgimento; accordo che aveva sostituito ogni precedente convenzione e, in particolare, quella del 16/12/1996. Con successiva scrittura del 29/4/2015 era stato regolato il pagamento del residuo dei compensi fino al 30/6/2014 con la riduzione del 25% (versamento effettivamente effettuato).
Per contro, il Giudice nega che le parti avessero stipulato un vincolante negozio giuridico il giorno 11/4/2013, stante che il RAGIONE_SOCIALE non aveva accettato le modifiche richieste dalla Banca e, pertanto, la sua adesione, subordinata a tale non accettazione, costituiva una nuova proposta. <>.
<>.
2.1.2. L’eccezione di giudicato implicito proposta dal professionista non poteva essere accolta.
Nega, in particolare, il Tribunale che il giudicato nascente dal decreto ingiuntivo n. 1395/2018, R.G. 13134/2017 del Tribunale di Monza, divenuto irrevocabile per mancata tempestiva opposizione, potesse avere influenze sulla vicenda in esame. Esso, infatti, spiega il Giudice, <>.
2.1.3. Il Tribunale rigetta l’eccezione di frazionamento indebito del credito proposta dalla Banca, sul presupposto che l’abusivo frazionamento può rilevarsi solo in presenza di <>.
2.1.4. Calcola il compenso professionale sulla base della convenzione del 29/4/2015, giudicando contraria a buona fede l’interpretazione del COGNOME, secondo il quale quella pattuizione sarebbe valsa solo per le pratiche di cui all’elenco allegato alla scrittura.
Giunge a tale epilogo osservando che <>.
2.1.5. Esaminate, infine, le singole posizioni, accolta parzialmente l’opposizione, riduce a € 13.991,00 la som ma dovuta dall’ingiunta.
L’avv. NOME COGNOME propone ricorso straordinario sulla base di quattordici motivi. La Banca di Credito Cooperativo di Milano soc. coop. resiste con controricorso, proponendo, a sua volta ricorso incidentale, con quattro motivi, contrastato da avverso controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., anche in relazione agli artt. 132 cod. proc. civ., 118 disp. attuaz. cod. proc. civ. e 111 Cost.
Il ricorrente sostiene che attraverso motivazione irriducibilmente contraddittoria il Tribunale aveva stravolto la portata della decisione di legittimità n. 19113/2018, la quale aveva affermato l’esistenza del giudicato sostanziale promanante dal decreto ingiuntivo non opposto, tale da coprire l’esistenza del titolo, del rapporto e l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi.
Dal decreto divenuto irrevocabile discendeva l’accertamento definitivo della circostanza che i rapporti tra le parti erano regolati esclusivamente dalla convenzione fra le stesse stipulata nei primi anni Novanta del secolo scorso.
4.1. Il motivo è infondato.
Va richiamata la condivisa motivazione con la quale questa Corte con la sentenza n. 12905 del 14/5/2025 ha disatteso analoga doglianza mossa a riguardo della medesima vicenda.
<>.
Con il secondo motivo viene denunciata nullità della ordinanza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere il Tribunale reputato <>.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ., 132 cod. proc. civ,
118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost., assumendosi che il Tribunale aveva erroneamente esteso la disciplina delle 96 pratiche allegate all’accordo del 2015 a tutte le altre 291.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ. e 115 cod. proc. civ., sostenendosi la fallacia degli indici probatori evidenziati dal Tribunale per affermare l’applicabilità dell’accordo del 29/4/2015 a tutte le pratiche. In particolare, la missiva inviata per e-mail dalla controparte in data 12/6/2013, la quale chiariva che la convenzione non aveva effetto retroattivo, nonché la missiva inviata per e-mail, sempre dalla Banca, il giorno successivo, con la quale era stata esclusa la deroga al punto 5.2. di cui alla comunicazione precedente, <>.
Il Tribunale, quindi, non solo aveva male interpretato il contratto, in violazione dell’art. 1362 cod. civ., ma, ancor prima, deciso in ultrapetizione.
Conclude il ricorrente: <>.
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ.
Sempre restando sull’argomento affrontato dal secondo, terzo e quarto motivo si addebita alla decisione impugnata di non avere tenuto conto della missiva del 12 giugno, né delle affermazioni della controparte in sede di memoria (la Banca si sarebbe dichiarata <>), né a quelle confessorie rese in udienza, né del fatto che il ricorrente avesse continuato a fatturare come da tariffario, anche dopo la <> e <>.
I motivi dal secondo al quinto, tra loro osmotici, sono infondati.
9.1. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo il Tribunale reso motivazione ben comprensibile, articolata e puntuale.
9.2. La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
9.3. Costituisce principio consolidato l’affermazione secondo la quale per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01). Ipotesi, questa, che qui non ricorre affatto.
9.4. La vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <> (ex pluribus, Cass. nn. 15381/2004, 13839/2004, 13579/2004, 5359/2004, 753/2004, 18587/2012; si veda inoltre, per la ricchezza di richiami, Cass. n. 2988/2013; da ultimo, Cass. n. 2050/2024).
Nonostante gli sforzi profusi dal ricorrente, il richiamo alle norme regolanti l’interpretazione del negozio risulta privo di specifica critica della decisione nel senso sopra enunciato. Manca, in definitiva, un’apprezzabile, in quanto puntuale e specificamente connessa alla norma asseritamente disattesa, critica del ragionamento del Tribunale.
9.5. Nel dettaglio, le conclusioni cui giunge l’ordinanza, frutto di plausibile e ragionevole ricostruzione del fatto, risultano, quindi vanamente avversati.
Le fatture vennero emesse non a titolo di acconto e sul punto la spiegazione del ricorrente – il quale crede di trarre dal contenuto
dell’art. 2234 cod. civ. argomento per affermare che trattavasi di acconti non assume valenza tale da meritare d’imporsi sulla motivazione del Tribunale, la quale non è in questa sede censurabile.
Significativamente la decisione impugnata evidenzia la piena consapevolezza dello stipulante odierno ricorrente, dotato di competenze specifiche in quanto avvocato, emblematico uso della carta intestata dello studio del COGNOME per redigere il contratto.
Quelle che vengono indicate come affermazioni confessorie potrebbero, al più, costituire indizi d’ammission e, privi di rilievo decisivo.
La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio (sez. 2, n. 299, 12/01/2016, Rv. 638451 -01; conf. Cass. n. 34831/2024) e la circostanza che il ricorrente trae opposta conclusione sulla base dei documenti richiamati, dai quali sarebbe dato ricavare la volontà di considerare i pagamenti come meri acconti, costituisce valutazione contrapposta che non incide sul complessivo vaglio di merito.
9.6. In conclusione, il complesso censorio risulta diretto a un complessivo e improprio riesame di una pluralità di apprezzamenti di merito.
In assenza di elementi probatori, aventi valenza decisiva, pretermessi o, al contrario, reputati sussistenti a dispetto del vero, la pretesa del ricorrente, il quale perora un’alternativa ricostruzione, è inammissibile. Per vero, il giudice è libero di
valorizzare un apporto probatorio piuttosto che un altro, purché renda motivazione.
Sul punto questa Corte ha condivisibilmente affermato che, in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Sez. 3, n. 37382, 21/12/2022, Rv. 666679 -05).
10. Con il sesto e settimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ., 112 cod. proc. civ., del d.m. n. 55/14, del d.m. n. 127/04 e all’art. 13 bis della legge professionale forense, come introdotto dal d.l. n. 16.10.17 n. 148 (cd. decreto Fiscale 2018 istitutivo del cd. ‘equo compenso’), nonché degli artt. 24, 35 e 36 Cost.
Il ricorrente sostiene che la subordinata domanda basata sull’art. 2233, co. 2, cod. civ. era stata disattesa quale conseguenza del rigetto di quella d’ ‘equo compenso’. Così statuendo, prosegue il COGNOME, il Giudice aveva disatteso il principio secondo il quale <>. Laddove pagamenti si erano avuti, avevano costituito acconti e, quindi, il rapporto non poteva dirsi esaurito.
Infine, l’avvocato COGNOME lamenta essere stati riconosciuti compensi <>, in contrasto con il secondo comma dell’art. 2233 cod. civ.
10.1. Il motivo è infondato.
Anche in questo caso conviene richiamare, in quanto condivisa, la sentenza di questa Corte n. 12905/2025.
<>.
Va, inoltre, soggiunto che la denuncia di violazione del decoro professionale è inammissibile per difetto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, poiché ignoti gli elementi concreti sulla base dei quali, se del caso, misurare la dedotta violazione.
11. Con l’ottavo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 112 cod. proc. civ., 2233 cod. civ., nonché omessa motivazione, anche in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., assumendosi l’apparenza della motivazione, <>.
In particolare, si sostiene che il Tribunale aveva negato il diritto al compenso in relazione alle posizioni indicate in ricorso e, per altre aveva reputato pagamento integrale il mero acconto, illegittimamente esonerando dall’assolvimento dell’onere probatorio la debitrice.
11.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, attraverso un improprio assertivo riepilogo della propria prospettazione, invoca un complessivo riesame di merito, a fronte di specifica motivazione del Tribunale, il quale, in forza dell’accordo del 2015, nega diritto a compenso per attività professionale anteriore al 30/6/2014 e per le successive, dettagliatamente prese in rassegna, liquida i compensi (pagg. 14/18).
12. Con il nono motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 segg., 1372 e 2233 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., in quanto che <>.
In particolare, il COGNOME asserisce che il Tribunale non abbia tenuto conto:
-dell’accordo del 2015, siccome integrato dalla convenzione del 2013, laddove veniva previsto che qualora il corrispettivo calcolato negli allegati fosse risultato inferiore al quantum liquidato dal giudice, al legale sarebbe dovuto spettare il compenso nella misura determinata in sede giudiziaria e a tale criterio contrattuale il Tribunale non si era attenuto per le competenze afferenti ai decreti ingiuntivi nn. 2392/2012 e n. 2393/2012 e relative opposizioni, nonché alla procedura esecutiva n. 95/2013;
per la pratica RAGIONE_SOCIALE, non si era tenuto conto della circostanza che la Banca avrebbe interamente recuperato il credito e, quindi, al legale sarebbe spettato il compenso secondo la lettera del 12/6/2013, che prevedeva liquidarsi secondo le tariffe forensi; il ricorrente soggiunge che il recupero del credito, tramite transazione o cessione del credito, poteva dedursi dal fatto che la Banca aveva rinunciato a tutte le procedure esecutive, nonostante fosse creditrice ipotecaria.
12.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente non attinge la ratio decidendi: poiché il Tribunale ha escluso diritto a compenso per le attività professionali svolte in data antecedente il 30/6/2014, perché assorbiti dal ‘quantum’ complessivamente determinato con l’accordo del 2015, il ricorrente avrebbe dovuto allegare trattarsi di attività successive a tale data.
Con il decimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2233, 2234, 1364, 1372, 1374 e 2697 cod. civ., 24, 35 e 36 Cost., 112 e 115 cod. proc. civ.
Il COGNOME deduce che per le pratiche indicate in seno alla censura il Tribunale gli aveva negato ogni compenso, avvalendosi di un apparato motivazionale apparente, in quanto, <>, e, inoltre, sostenendo che nulla fosse dovuto se non previsto dalla convenzione anzidetta e applicando clausole della convenzione, che aveva asserito valere solo per i parametri numerici. Di poi, prosegue il ricorrente, il contratto non può che disciplinare solo quanto concordato dalle parti, rimesso alla legge quant’altro. E ancora, lamenta che il Tribunale aveva negato compenso per le attività non previste, ma, tuttavia, non escluse.
Il ricorrente prosegue affermando che: (a) il Tribunale aveva errato a non liquidare compenso per un’azione di ripetizione d’indebito perché si sarebbe trattato d’attività, successiva all’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ., rimasta non provata, nonostante la previsione <>; (b) per una pratica di mediazione era stato negato compenso, perché, secondo il Giudice, <>; (c) per l’intervento in una procedura esecutiva seguita all’ingiunzione, avendo, anche in questo caso, applicato una clausola della convenzione non costituente contratto, era stato liquidato compenso in misura inferiore a quanto previsto.
13.1. Il motivo è inammissibile.
La censura non si confronta puntualmente con la ratio decidendi: il Tribunale spiega che la convenzione del 2013, pur non
avendo valore di contratto, in quanto richiamata dal contratto del 2015 aveva piena valenza fra le parti in ordine alla determinazione dei compensi.
Nel resto, il ricorrente si limita a contrastare le determinazioni del Tribunale senza puntualmente contrapporre specifici argomenti contrari.
Con l’undicesimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2233, 2234 e 1372 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché del d.m. 55/14.
Secondo la tesi impugnatoria il Tribunale, <>, secondo la comune esperienza.
Indi, il ricorrente individua talune pratiche che, avendo travalicato per il loro esaurimento l’anzidetta data, avrebbero dovuto essere liquidate per il periodo successivo in base alla tariffa vigente.
14.1. Il motivo è inammissibile.
È evidente l’improprio scopo perseguito con la doglianza: pretendere di riesaminare il vaglio di merito operato dal Tribunale sulla base dell’esame dei documenti.
Con il dodicesimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 24, 35, e 36 Cost. e 112 e 115 cod. proc. civ., si sostiene che sarebbero state liquidati importi simbolici e non consone al decoro della professione, ancor più nei casi in cui nulla era stato liquidato.
15.1. Il motivo è inammissibile a cagione della sua somma genericità e, ancora una volta, esso è proteso a rivendicare ulteriori compensi per attività remunerate con la pattuizione omnicomprensiva.
16. Con il tredicesimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2233, 2234, 1364, 1372, 1374 e 2697 cod. civ., 24 l. 794/1942, 24, 35 e 36 Cost., 112 e 115 cod. proc. civ. e del d.l. n. 1/2012; nonché, omessa e insufficiente motivazione, anche in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
L’ordinanza impugnata, precisa il ricorrente, merita censura poiché, in relazione ai punti 1, 2 e 6 del ricorso per ingiunzione, <>.
16.1. Il motivo è inammissibile.
Ancora una volta, il ricorrente mostra di non confrontarsi con l’accordo omnicomprensivo, con il quale si stabilì complessivo compenso professionale per tutte le attività da esso contemplate.
In disparte, anche a voler seguire la tesi del COGNOME, non è dato sapere dove e come la liquidazione si ponga al di sotto del minimo di tabella.
17. Con il quattordicesimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 2 d.m. 55/2014, 112 cod. proc. civ., poiché <> e, quindi, era dovuto il rimborso forfettario nella misura del 15% del compenso.
17.1. Il motivo è in parte inammissibile e, per altra parte, infondato.
Per l’onorario liquidato (€ 13.991,00) il Tribunale ha espressamente previsto la maggiorazione degli accessori.
Quanto alla previsione globale di cui al contratto del 2015 appare evidente che essa sia stata reputata dalle parti omnicomprensiva.
18. Con il primo motivo del ricorso incidentale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. all’art. 111 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., per avere la decisione rigettato l’eccezione <>.
18.1. Il motivo è infondato.
Sul punto, ancora una volta, vanno richiamati gli argomenti di cui alla sentenza n. 12905/2025, pienamente condivisi da questo Collegio.
<>.
Il Tribunale, come anticipato, ha accertato l’esistenza di distinti incarichi professionali che si sono susseguiti nel tempo e, pertanto, <> .
19. Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 cod. civ. e 115 cod. proc. civ.
La ricorrente incidentale sostiene che la convenzione del 2013 avrebbe acquisito valenza di contratto fra le parti, quindi, che avrebbe autonoma forza di autoregolamentazione, a prescindere dall’essere stata richiamata dal contratto del 2015. Ricava un tale convincimento dal fatto che le parti anche in epoca anteriore al 29/4/2015 si fossero assoggettate alle statuizioni di un tale accordo.
Reputa, infine, che una tale interpretazione trovi conforto nella giurisprudenza di legittimità, stante che il contratto avrebbe dovuto considerarsi definitivamente formato, restando ininfluenti i punti da definire.
19.1. Il motivo è infondato.
La decisione impugnata ha puntualmente spiegato le ragioni per le quali sulla convenzione del 2013 non si era formato il vincolo contrattuale (pagg. 9 e 10) -alla proposta della Banca era seguita una controproposta dell’avvocato COGNOME non accettata dalla proponente -. La ricorrente, nella sostanza, invoca un’inammissibile rivalutazione delle emergenze di causa.
20. Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e segg. cod. civ., per avere il Tribunale riconosciuto al professionista il compenso di € 991,00, quale attività svolta in epoca successiva al 30/6/2014, per l’annotazione <>. Compenso che non sarebbe spettato a tenore del contratto, il quale lo prevedeva solo per l’iscrizione d’ipoteca giudiziale.
21. Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt.134 cod. proc. civ. e 111 Cost.
Gli argomenti esposti nel motivo che precede troverebbero, secondo la ricorrente, ulteriore conferma per essere il Tribunale caduto in insanabile contraddizione, in quanto, dopo avere
affermato che nessun compenso spettava all’avvocato per attività di mediazione, non prevista dall’accordo, aveva riconosciuto, in questo caso la spettanza, nonostante, anche in questo caso, l’attività non fosse stata prevista dal contratto.
22. Il terzo e quarto motivo, tra loro correlati, sono inammissibili.
Trattasi di apprezzamento di merito in questa sede non censurabile e la Banca, invece che contestare in concreto la violazione del canone ermeneutico, si duole del risultato interpretativo non condiviso (cfr. quanto chiarito al § 9.4.).
Rigettati, nel loro complesso, entrambi i ricorsi, in ragione della reciproca soccombenza le spese del presente giudizio possono compensarsi per intero fra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quella incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa fra le parti le spese legali del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quella incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale e per quello incidentale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 maggio