Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13772 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13772 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8288-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei commissari straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma al INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME,
Oggetto
Accordi di prossimità
R.G.N.8288/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/04/2024
CC
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, con domicilio digitale presso il difensore, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO COGNOME ;
– controricorrenti –
avverso il decreto n. 1229/2022, del Tribunale di MILANO, depositato il 14/2/2022, R.G. 13600/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Milano, in accoglimento dell’opposizione allo stato passivo proposta dai lavoratori, attuali controricorrenti in epigrafe indicati, ammetteva al passivo dell’amministrazione straordinaria della RAGIONE_SOCIALE i crediti per ognuno di essi indicati, dovuti a titolo di premio di collaborazione, in via privilegiata ex art. 2751 bis n. 1 c.c., oltre rivalutazione secondo gli indici Istat dalle singole scadenze fino all’esecutività dello stato passivo in cui le somme erano state richieste e oltre interessi legali sulle somme rivalutate fino al riparto anche parziale con lo stesso privilegio ex art. 54 e 55 L. fall.
Per quanto qui interessa, il Tribunale, richiamando propri precedenti nel medesimo senso, confermava che il diritto di credito in questione aveva carattere retributivo e doveva essere considerato quale elemento accessorio e fisso della
retribuzione, erogato in modo continuativo e determinato; diritto che trovava la sua fonte nel contratto individuale di lavoro, e la cui elargizione era denominata ‘premio di collaborazione’.
2.1. Così qualificato il diritto di credito dei lavoratori opponenti, riteneva che esso non era stato comunque modificato dall’accordo tra società e RAGIONE_SOCIALE, datato 12 luglio 2013 e ratificato il 12 giugno 2018, il quale si limitava a condizionare l’erogazione della somma al raggiungimento di obiettivi aziendali; e che gli accordi collettivi aziendali non erano idonei a modificare i diritti attribuiti al lavoratore nel contratto individuale di lavoro. Tali trattamenti favorevoli potevano essere oggetto di disposizione da parte del singolo lavoratore secondo le precipue modalità della disciplina lavoristica, e nel caso di specie il trattamento previsto dai contratti individuali di lavoro era più favorevole al lavoratore rispetto a quello previsto dall’accordo aziendale: infatti, l’erogazione del ‘premio di collaborazione’ è priva di condizioni in base ai contratti individuali; mentre , l’accordo aziendale fa dipendere tale premio dal raggiungimento di specifici obiettivi aziendali.
2.2. Inoltre, rispetto alla tesi dell’opposta, che riconduceva l’accordo aziendale del 2013 nel modello degli accordi di prossimità ex art. 8 d.l. n. 138/2011, i quali sono dotati di efficacia erga omnes per le materie indicate espressamente dalla legge, secondo il Tribunale il profilo della retribuzione e/o delle attribuzioni patrimoniali non rientrava nelle materie di operatività della norma e, pertanto, mancando detto requisito oggettivo, l’art. 8 d.l. n. 138/2011 non era nella specie applicabile.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Hanno resistito i lavoratori intimati con unico controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito con modificazioni nella Legge 14 settembre 2011, n. 148), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.’. Secondo la ricorrente il decreto gravato ha semplicisticamente ritenuto che ‘il profilo della retribuzione e/o delle attribuzioni patrimoniali non rientra nelle materie di operatività della norma’ di cui all’art. 8 cit., perché il comma 2 di tale articolo definisce l e materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione che possono formare oggetto di specifiche intese, tra le quali sono annoverate (alla lett. e), le ‘modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro’.
Con il secondo motivo denuncia ‘Omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p .c., comma 1, n. 5), nonché violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.’. Per la ricorrente, la decisione impugnata è censurabile in quanto il giudice del merito ha trascurato di valorizzare la perdurante condotta di adesione dei
lavoratori alla trasformazione del ‘premio particolare di collaborazione’, intervenuta con gli accordi collettivi aziendali del 12 luglio 2013 e del 12 giugno 2018, che si può evincere dal rilevante lasso temporale trascorso dalla prima annualità in cui non hanno percepito tale posta economica, ovvero il 2013, ed il momento in cui hanno inteso rivendicare tale emolumento, ovvero con le domande per l’ammissione al passivo del luglio 2019.
Il primo motivo è infondato.
Erroneamente, la ricorrente, nello sviluppo di tale censura, a suffragio della tesi sostenuta richiama Cass., sez. lav., 10.11.2021, n. 33131.
Detta ordinanza, infatti, in relazione a fattispecie concreta diversa da quella qui in esame, aveva enunciato il seguente principio di diritto: ‘E’ illegittima, per violazione dell’art. 8 D.L. 138/2011 conv. con mod. in L. n. 148 del 2011, la riduzione di retribuzione stabilita, in misura del 15%, dal punto 2 dell’accordo aziendale 6 settembre 2013, nonostante l’espressa delega contenuta nell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, in quanto non definibile quale intervento di disciplina del rapporto di lavoro, per la mancata contestualità della suddetta riduzione immediata e della riorganizzazione complessiva del lavoro, da realizzare con un futuro accordo con le organizzazioni sindacali’.
Parimenti non pertinente è il richiamo da parte della ricorrente a Cass., sez. lav., 22.7.2019, n. 19660, la quale non ha affermato, in termini generali, che i contratti di prossimità
possono derogare alla retribuzione contrattuale, come sembra si voglia sostenere (cfr. pag. 16 del ricorso).
Detta sentenza, infatti, nell’occuparsi di fattispecie concreta altrettanto diversa da quella in esame, in sintesi ha piuttosto ritenuto che, in tema di contratto di lavoro, gli accordi di prossimità possono anche escludere, in caso di licenziamento per cr isi, l’erogazione dell’indennità di sostitutiva del preavviso, e tanto , tra l’altro, sul rilievo che ai sensi del l’art. 8, comma 2, d.l. n. 138/2011, conv. con mod. in L. 148 del 2011, le specifiche intese ivi disciplinate possano intervenire anche sulle ‘ conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio’ (cfr. in extenso §§ 12 e segg. della motivazione di tale decisione).
Tanto precisato, l’affermazione della Corte territoriale che il profilo della retribuzione e/o delle attribuzioni patrimoniali non rientra, come tale, nelle materie di operatività della norma di cui all’art. 8 d.l. cit. è giuridicamente corretta.
Invero, soltanto da un contestuale intervento della fonte collettiva di prossimità in una delle materie di cui al comma 2 dell’art. 8, da intendere come tassative e pertanto rigorosamente tipizzate nella loro individuazione (cfr. Cass. n. 33131/2021 cit.) , riguardanti l’organizzazione del lavoro e della produzione, co n riferimento, tra l’altro, alle ‘modalità di assunzione e di disciplina del rapporto di lavoro’, poteva derivare una diversa configurazione del ‘premio di collaborazione’.
Secondo la ricorrente, con gli accordi collettivi aziendali del 12 luglio 2013 e del 12 giugno 2018, NOME aveva realizzato esattamente un intervento di risanamento e riorganizzazione
aziendale inerente la ‘disciplina del rapporto di lavoro’: la società e le rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative hanno concordato di avviare, in luogo di un processo di licenziamento collettivo, un programma di risanamento mediante riorganizzazione dei rapporti di lavoro all’interno dell’azienda.
7.1. Tale assunto, tuttavia, si fonda su una determinata lettura del contenuto dei suddetti accordi aziendali (cfr. pagg. 12-14 del ricorso); laddove il giudice di merito dell’opposizione ha affermato che l’accordo del 2013, poi ratificato da quello del 2018, si limitava a condizionare l’erogazione del premio di collaborazione al raggiungimento di obiettivi aziendali, senza tuttavia poter incidere sul diritto dei lavoratori a tale emolumento, che trovava fondamento nel solo contratto individuale di lavoro di ognuno di essi , in cui l’erogazione non era invece condizionata al raggiungimento di detti obiettivi.
7.2. A prescindere dalle conclusioni così tratte dal Tribunale sul piano giuridico, l’accertamento fattuale su cui si fondano tali conclusioni doveva essere diversamente censurato in questa sede di legittimità.
Parimenti infondato è il secondo motivo.
Come già premesso in narrativa, il Tribunale in sede d’opposizione allo stato passivo ha concluso che nella specie il ‘premio di collaborazione’, entrato a far parte della retribuzione dei lavoratori, era direttamente previsto nel contratto individuale di lavoro, e non in base a qualche fonte collettiva, quale condizione di miglior favore, in quanto non legato a nessun ‘risultato’, come invece previsto solo dal successivo accordo sindacale aziendale del 2013, e non essendo perciò
derogabile detta previsione individuale da quest’ultimo, giusta l’art. 2077 c.c.
Di conseguenza, come deciso in altri casi relativi a ricorsi per cassazione analoghi a quello ora in esame (cfr. in particolare Cass. n. 31690/2023; n. 774/2024), non si può configurare l’omesso esame denunciato dalla ricorrente, siccome non riguardant e un ‘fatto storico’, né primario né secondario (cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053); è piuttosto fatta valere dalla ricorrente la mancata valutazione degli effetti di un comportamento di prospettata adesione dei lavoratori come singoli ad un accordo sindacale del 12 luglio 2013, attributivo di un ‘premio di collaborazione’, ma solo al raggiungimento del valore ‘risultato ordinario’ indicato nel bilancio di esercizio.
Inoltre, la ricorrente neppure deduce come e quando l’asserita perdurante condotta di adesione dei lavoratori alla variazione dei presupposti contrattuali inerenti al premio in questione sarebbe stata discussa tra le parti nel corso delle fasi di merito (cfr. ancora Sez. un. n. 8053/2014). Invero, stando al testo dell’impugnato decreto era stata piuttosto motivatamente disattesa dal Tribunale la differente tesi che l’accordo del 2013 dovesse ‘essere interpretato quale mutuo consenso alla variazione del contratto individuale di lavoro da parte del singolo lavoratore’ (cfr. pag. 5 del provvedimento).
Neppure, quindi, può assumere rilievo la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli elementi fattuali, asseritamente incontestati, che, a loro volta, a detta della ricorrente, sarebbero stati espressivi nel loro complesso, e per fatti concludenti, della ‘perdurante condotta di adesione
dei lavoratori’ alla sopravvenuta variazione dei presupposti contrattuali del premio di collaborazione.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore dei controricorrenti, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 8.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, e distrae in favore del difensore dei controricorrenti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 17.4.2024.