Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1330 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1330 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
Oggetto: successioni
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18860/2018 R.G. proposto da COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME.
-RICORRENTE –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME.
-CONTRORICORRENTI – avverso la sentenza n. 16/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 09/01/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 14.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di respingere il ricorso. Udito gli avv. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha notificato precetto di pagamento delle spese processuali relativa ad una precedente controversia, che l’attuale ricorrente aveva versato all’avv. NOME COGNOME in esecuzione di una sentenza di primo grado con cui era stata accolta la domanda di accertamento negativo della responsabilità professionale proposta dal difensore, ponendo le spese a carico della RAGIONE_SOCIALE La decisione era stata impugnata dalla società ed il processo, interrotto a causa del decesso dell’attore , era stato poi riassunto nei confronti degli attuali ricorrenti, rimasti contumaci, con notifica dell’atto di riassunzione impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del defunto.
All’ esito la Corte distrettuale, con sentenza n. 1344/2013, aveva riformato integralmente la prima decisione, respingendo tutte le domande e compensando le spese processuali di entrambi i gradi di causa.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto opposizione al precetto, deducendo di non aver ricevuto la notifica dell’atto di riassunzione della causa pendente in appello e di aver rinunciato all’eredità.
Il T ribunale ha accolto l’opposizione, negando che gli opponenti dovessero rispondere dei debiti del de cuius, avendo rinunciato all’eredità.
La decisione è stata confermata con diversa motivazione dalla Corte distrettuale di Genova, affermando che gli opponenti non potevano contestare la loro qualità di eredi, non essendosi costituiti in giudizio pur avendo ricevuto la notifica dell’atto di riassunzione,
avendo compiuto un atto che costituiva accettazione tacita dell’eredità, qualità che non poteva essere rimessa in discussione per effetto di un atto successivamente intervenuto e dipendente da una libera scelta degli interessati, quale la rinuncia all’eredità.
Ha, tuttavia, confermato la decisione appellata sul rilievo che la pronuncia di compensazione delle spese non era titolo esecutivo spendibile dalla RAGIONE_SOCIALE per ottenere il rimborso delle spese versate in esecuzione della sentenza di primo grado ottenuta nel precedente giudizio.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso affidato a due motivi di censura.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La causa, avviata alla trattazione camerale dinanzi alla Sesta sezione civile, è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 25006/2020.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale , depositato telematicamente dalla RAGIONE_SOCIALE in data 4.9.2023, atto che non risulta notificato alla controparte, non potendosi considerare sufficiente il mero deposito perché l’atto possa svolgere la sua funzione di strumento di attivazione del contraddittorio rispetto alla parte ricorrente (Cass. 22928/2008; Cass. 17668/2010; Cass. 25735/2014; Cass. 10813/2019; Cass. 17030/2021).
Sono fatti salvi la partecipazione all’udienza pubblica e il deposito delle memorie in virtù dell’originario controricorso, ritualmente notificato e depositato dalla società.
Il primo motivo censura la violazione degli artt. 476 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che la notifica dell’atto di riassunzione effettuato personalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del defunto, onerasse i chiamati alla successione di costituirsi in riassunzione e di far valere la mancata accettazione di eredità, e che, essendo essi rimasti contumaci, non potessero più negare il possesso della qualità di eredi, avendo tacitamente accettato l’eredità .
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 476 e 2697 c.c., per aver la sentenza affermato che il semplice perfezionamento della notifica agli eredi, effettuata collettivamente ed impersonalmente presso l’ultimo domicilio del defunto , aveva determinato l’accettazione tacita dell’eredità .
I due motivi, suscettibili di esame congiunto, sono fondati.
Il giudice distrettuale, oltre ad aver accolto l’opposizione per carenza del titolo esecutivo, ha esplicitamente riconosciuto ai ricorrenti la qualità di eredi di NOME COGNOME per effetto della notifica dell’atto di riassunzione del giudizio di appello, sul rilievo che l’assunzione in giudizio della qualità di erede varrebbe quale accettazione tacita che non può essere rimessa in discussione allegando una successiva rinuncia all’eredità.
E’ perciò evidente che con l’impugnazione in cassazione, i ricorrenti non mirano ad ottenere una mera modifica della motivazione, di per sé inammissibile, ma intendono impedire che passi in giudicato la parte della sentenza con cui il giudice ha definito la questione di merito attinente al possesso della qualità di eredi, statuizione di cui la RAGIONE_SOCIALE potrebbe avvalersi per ottenere la restituzione delle spese processuali del giudizio di cognizione in un autonomo processo, discutendosi di un debito dell’eredità dell’avv. NOME COGNOME (cfr., in tal senso, Cass. 26921/2008; Cass.
5656/2012; Cass. 17193/2012 secondo cui la soccombenza, che determina l’interesse all’impugnazione, si configura anche con riguardo alle enunciazioni contenute nella motivazione della sentenza, qualora esse siano suscettibili di passare in giudicato, in quanto presupposti necessari della decisione).
2.1. Nel merito occorre premettere che, a seguito del decesso dell’avv. COGNOME nel corso del giudizio di appello, la citazione in riassunzione era stata notificata personalmente e collettivamente agli eredi presso l’ultimo domicilio del defunto e che, nonostante la regolarità della notifica ai sensi dell’art. 303, comma secondo, c.c. , i ricorrenti non si erano costituiti nella fase di riassunzione.
Occorre allora distinguere i principi e le regole che presiedono alla valida riattivazione del processo interrotto a causa del decesso della parte originaria da quelli che riguardano l’accertamento e l’acquisto, sul piano sostanziale, della qualità di erede e la titolarità del rapporto di debito per le passività ereditarie.
Sotto il primo profilo, in caso di successione a titolo universale in seguito al decesso di una parte processuale, è prioritaria l’esigenza di garantire la celere e regolare e rituale riattivazione del processo interrotto nei confronti dei successori a titolo universale, destinati subentrare nella posizione processuale del de cuius.
Diverso è invece il problema dell’accertamento dell’effettivo possesso della qualità di erede, che investe il rapporto sostanziale di debito e che è disciplinato dalle regole generali in tema di riparto dell’onere della prova e dalle norme sostanziali che contemplano le forme di accettazione dell’eredità.
Si è giustamente affermato che ‘i due profili non possono essere confusi, nel senso che le esigenze di verifica del fatto successorio, desunte dalle norme della disciplina processuale come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, sono funzionali esclusivamente a
consentire la ripresa del processo interrotto e non possono essere trasposte sul diverso piano dell’accertamento del rapporto giuridico controverso, non potendo istituirsi alcuna corrispondenza tra la verifica dell’osservanza della regola processuale e l’accertamento del diritto sostanziale oggetto della pretesa’ (cfr. Cass. 25885/2020).
Quanto alla prova richiesta per la riassunzione della causa, le norme sull’interruzione delineano un regime di favore per la parte di l’ultimo domicilio del defunto, senza dimostrare che i destinatari siano gli della parte deceduta anche dal punto di vista sostanziale. Lo stesso criterio di prova vale in caso di notifica diretta ai soggetti che, in virtù del rapporto di parentela con il defunto, appaiano legittimati a subentrare nel processo come eredi.
che intenda coltivare il processo, potendo notificare l’atto riassunzione personalmente e collettivamente presso eredi effettivi Tale attenuazione si ricollega all’esigenza di evitare i possibili effetti negativi della previsione di un breve termine per riattivare il processo a pena di estinzione, spesso incompatibile con i mezzi dati alla parte per sollecitare il chiamato a prendere posizione (ad es. tramite l’ actio interrogatoria ex art. 481 c.c.) o con la necessità di svolgere ricerche per acquisire la prova dell’accettazione .
Per tali motivi l’art. 303, comma secondo , c.p.c. solleva la parte dal compito di individuare singolarmente i potenziali eredi, destinatari della notifica dell’atto di riassunzione (Cass. 23783/2007) e di svolgere verifiche che, in assenza di specifici riscontri documentali, eccedano dal controllo allo stato degli atti, della sussistenza di uno stato di fatto legittimante la successione , qualora non sia conosciuta -o conoscibile con l’ordinaria diligenza alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto
a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza; Cass. 22870/2015; Cass. 21287/2011).
In tal caso, effettuata la notifica, il processo prosegue non nei riguardi del gruppo degli eredi globalmente inteso, ma individualmente e personalmente nei confronti di ciascuno di essi, noto o ignoto, costituito o contumace (Cass. 12783/1998: Cass. 22797/2017).
Con riferimento alle necessità di riattivazione del processo si profila, allora, un problema di legittimazione processuale e non di titolarità del rapporto sostanziale di debito, che va risolto secondo le coordinate interpretative elaborate dalle S.U., per cui, ferma la descritta agevolazione probatoria discendente dalle previsioni dell’art. 303, comma secondo, c .p.c., la prova della titolarità del rapporto sostanziale di debito compete al creditore, essendo pertinente ad un fatto costitutivo del diritto azionato (Cass. 25885/2020; Cass. s.u. 2951/2016; Cass. Cass. 5247/2018; Cass. 21436/2018).
2.2. A tal proposito, giova considerare che la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, occorrendo da parte del chiamato, l’accettazione mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c. (Cass. 6479/2002; Cass. 3696/2003; Cass. 10525/2010; Cass. 5247/2018; Cass. 21436/2018).
La semplice ricezione della notifica dell’atto di riassunzione non costituisce un atto di accettazione tacita (in tal senso, Cass. 34666/2020, secondo cui l’accettazione tacita ricorre solo se l’erede esperisca una domanda che sarebbe spettata al ante causa, o compia un atto che implichi necessariamente l’esercizio di un
diritto già di pertinenza di quest’ultimo, ma non può essere utilmente configurata dal semplice fatto che egli non rifiuti la notificazione di un atto di riassunzione del giudizio, conseguente al decesso del proprio dante causa, poiché tale comportamento non integra una condotta dispositiva di un diritto, o di una facoltà, già spettante al “de cuius”; conf. 35466/2020; ma anche Cass. 12987/2020; Cass. 21287/2011 Cass. 4843/2019, favorevoli a gravare il chiamato dell’onere di costituirsi in riassunzione e di dar prova di non essere erede), né consente di pronunciare sentenza di condanna al pagamento di un debito del “de cuius” senza procedere all’individuazione nominativa dei destinatari della pronuncia, atteso che i debiti ereditari non sono solidali, essendo gli eredi tenuti verso i creditori in proporzione alle rispettive quote, e che perciò la condanna non può essere vaga o ambulatoria, ma deve essere specifica nei confronti dei debitori, individuati dall’istante e vagliati dal giudice nel rispetto degli oneri probatori previsti (Cass. 15995/2022).
L’accettazione può desumersi in via presuntiva anche dalla condotta o extraprocessuale (o a fortiori, ove l’interessato che non abbia svolto in proposito alcuna contestazione); nel caso che tali contestazioni siano state sollevate mediante una mera difesa, l’onere della prova rivive in capo all’attore al pari dell’ipotesi in cui il successore sia rimasto contumace.
L ‘art. 115 c.p.c. impone, difatti, al giudice di porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati “dalla parte costituita”. La contumacia esprime, pertanto, un silenzio non soggetto a valutazione, non vale a rendere non contestati i fatti allegati dall’altra parte, non altera la ripartizione degli oneri probatori tra le parti, né esclude che l’attore debba fornire la prova
dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (cfr., testualmente, Cass. s.u. 2951/2016; Cass. 30545/2017; Cass. 3765/2021).
L ‘aver ricevuto la notifica dell’atto di riassunzione e il fatto di non essersi costituiti nel giudizio instaurato da NOME COGNOME non aveva comportato la successione nei debiti ereditari, considerato che nessuna condanna era stata direttamente adottata nei loro confronti, né il giudice della cognizione aveva accertato l ‘acquisito di tale qualità in capo ai chiamati con statuizione passata in giudicato e perciò insuscettibile di esser nuovamente posta in discussione.
2.2. Un diverso orientamento ha ritenuto che il chiamato alla successione, ricevuta la notifica dell’atto di riassunzione, debba necessariamente costituirsi in giudizio ed allegare e provare di non essere erede in ossequio al principio di vicinanza della prova, inteso quale ‘ parametro della relatività, in riferimento ai principi costituzionali e sovranazionali, dell’automatismo insito nell’articolo 2697 c.c.: non, quindi, un mezzo per eluderlo, bensì un presidio sistemico per impedirne l’abuso, id est la trasformazione del dispositivo processuale in un’inaccettabile ostacolo alla tutela dei diritti sostanziali (Cass. 13851/2020; Cass. 17445/2019; Cass. 21287/2011).
In effetti, detto principio è anzitutto impiegato come criterio selettivo per la distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni ed è destinato ad integrarsi con (piuttosto che a sostituire) il più generale criterio formale dell’art. 2697 c.c., nel senso che l’onere della prova viene ripartito tenuto conto , in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione (Cass. s.u. 13533/2011)
In altri precedenti, come evidenziato da Cass. s.u. 11749/2019, è invece inteso come un temperamento della partizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, modificativi od impeditivi del diritto, idoneo a spostare l’onere della prova su una parte diversa da quella che ne sarebbe altrimenti gravata.
In accordo con parte della dottrina, di esso si è però raccomandato un impiego residuale, allorquando le disposizioni attributive delle situazioni attive non offrano indicazioni univoche per distinguere le due categorie di fatti (Cass. 12910/2022), quando sia necessario dirimere un’eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto l’onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l’altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte, fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte (cfr. Cass. 17108/2016 e Cass. 7830/2018). Nessuna attenuazione o deroga al criterio formale dell’art. 2697 c.c. è comunque ammissibile ove il fatto possa essere dimostrato tramite l’accesso ad una fonte di prova rispetto alla quale le parti si trovino in posizione di equidistanza o non sussista la possibilità di una solo di esse di offrire la relativa dimostrazione (Cass. 20707/2023; Cass. 7023/2020; Cass. 18769/2016), né quando l’interessato abbia la possibilità, ad es. secondo le regole di cui al diritto di accesso agli atti della P.A. o eventualmente sulla base degli strumenti processuali predisposti dall’ordinamento, di acquisire la documentazione necessaria a suffragare le proprie ragioni (Cass. 12490/2020),
In definitiva, pur non potendo darsi incondizionata prevalenza -ai fini del riparto della prova – alla distinzione astratta tra fatti ed eccezioni in base alla descrizione legislativa della fattispecie sostanziale controversa, resta ferma la valenza di principio cardine
dell’art. 2697 c.c. , che assicura la prevedibilità dei compiti processuali affidati a ciascuna delle parti, non rimettendo al giudice, di volta in volta, stabilire chi debba provare le circostanze rilevanti in causa.
D’altronde , se la vicinanza alle fonti di prova opera come limite all’abuso degli strumenti processuali o come rimedio destinato a superare la disparità tra le parti, in modo da non ostacolare il conseguimento del merito (Cass. 13851/2020), non appare ragionevolmente predicabile, né una fisiologica situazione di debolezza, né l’impossibilità , in assoluto, in capo a ll’attore di dar prova dell’accettazione dell’eredità (prova somministrabile in una pluralità di casi senza sforzi non esigibili o eccessivamente gravosi come, a titolo esemplificativo, mediante la consultazione dei registri delle trascrizioni in caso di lasciti immobiliari, dei registri delle successioni ove sono annotate le accettazioni o le rinunce o tramite il ricorso all’ actio interrogatoria esperibile anche in corso di causa e rispetto al contumace ai sensi degli artt. 481 c.c. e 749 c.p.c., strumento che può risultare inconciliabile con i ristretti termini entro cui deve essere riassunto il giudizio interrotto, ma non necessariamente con i tempi dell’istruttoria e della trattazione).
In conclusione, sono accolti entrambi i motivi di ricorso, la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i due motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda