Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5239 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5239 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti iscritti al n° 8845 del ruolo generale dell’anno 2021 e al n. 11376 del ruolo generale dell’anno 2024 rispettivamente
proposti da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , cod. fisc. 03067620231, con sede in Verona, INDIRIZZO, in persona del co-liquidatore e legale rappresentante pro tempore geom. NOME COGNOME rappresentato e difeso anche disgiuntamente giusta procura speciale che forma parte integrante del presente atto – dagli Avv.ti Prof. NOME COGNOME del Foro di Milano (c.f. CODICE_FISCALE – EMAIL), NOME COGNOME del Foro di Verona (c.f. CODICE_FISCALEEMAIL pec.sicon.it) e NOME COGNOME del foro di Roma (C.F. CODICE_FISCALE – pec: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente Controricorrente
Comune di Verona (c.f. P_IVA), con sede in Verona, INDIRIZZO, in persona del Sindaco pro-tempore avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE – pec EMAIL) e NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE -avvgiovannimichelon EMAIL) dell’Avvocatura Civica (telefax NUMERO_TELEFONO), con domicilio in Verona, INDIRIZZO per procura speciale a margine del controricorso.
Controricorrente
Ricorrente incidentale
nonché da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , cod. fisc. 03067620231, con sede in Verona, INDIRIZZO, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore geom. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. NOME COGNOMEC.F. TDL CODICE_FISCALE -PEC EMAIL; telefax 02.36.51.24.66) ed elettivamente domiciliata presso il suo Studio in (20122) Milano, INDIRIZZO, giusta procura speciale in calce al ricorso.
Ricorrente
contro
Comune di Verona (c. f. 00215150236), con sede in Verona, INDIRIZZO in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE pec: EMAIL) e NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE –EMAIL) dell’Avvocatura Civica (telefax NUMERO_TELEFONO) con domicilio in Verona, INDIRIZZO per procura speciale a margine del controricorso.
Controricorrente
avverso le sentenze della Corte d’appello di Venezia n° 2657 depositata il 21 settembre 2020 e n° 2233 depositata il 14 novembre 2023.
Udite le relazioni svolte nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- RAGIONE_SOCIALE -premesso di aver condiviso col Comune di Verona l’indennità di esproprio offerta per alcuni suoli siti nell’area P.E.E.P. n° 72 in località San INDIRIZZO e premesso altresì che, nonostante l’accettazione dell’indennizzo offerto, il Comune non lo aveva pagato -otteneva dal tribunale di Verona un decreto ingiuntivo contro l’Ente territoriale per la somma di euro 5.945.449,23, poi ridotta in corso di causa ad euro 2.180.724,00 in ragione della alienazione da parte della Legnaghese di alcuni fondi. L’ingiunto proponeva opposizione e il tribunale l’accoglieva integralmente, osservando che la società aveva tardivamente accettato l’offerta del Comune, avendola comunicata dopo i trenta giorni previsti dall’art. 20, quinto comma, del d.P.R. n° 327/2001.
2 .-L’impugnazione della RAGIONE_SOCIALE era respinta dalla Corte d’appello di Venezia con la sentenza n° 2657/2020 indicata in epigrafe.
Per quanto qui ancora rileva, osservava la Corte che il credito azionato in sede monitoria si riferiva solo ad una parte dei suoli, ossia a quelli ricadenti nelle Unità minime di intervento (U.M.I.) n° 3, 4 e 6.
In relazione alle unità n° 3 e 4, il Comune di Verona aveva concesso, a mezzo di Convenzione del 29 luglio 2009, alla società proprietaria il diritto di realizzare l’intervento costruttivo e ciò escludeva che in relazione a tali aree la Legnaghese avesse un titolo per chiedere l’indennizzo per l’esproprio, dato che il Comune aveva rinunciato a procedere all’ablazione e la società aveva conservato la proprietà dei fondi.
Osservava poi la Corte che l’accordo posto dalla Legnaghese a fondamento dell’azione monitoria non si era formato, sia perché la condivisione dell’indennità offerta era stata manifestata dalla società oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione, ai sensi dell’art. 20, quinto comma, del d.P.R. n° 327/2001, sia perché la somma richiesta era superiore a quella offerta dal Comune, includendo la maggiorazione del dieci per cento prevista dall’art. 37, secondo comma, del d.P.R. n° 327.
Il fatto che tale maggiorazione fosse dovuta ex lege al ricorrere di uno dei presupposti previsti dall’art. 37, secondo comma, del citato d.P.R., non comportava affatto che tale previsione normativa integrasse la proposta del Comune, ma solo che l’offerta incongrua potesse essere legittimamente rifiutata dal privato.
3 .- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Legnaghese (RG 8845/2021), mentre il Comune di Verona si è costituito concludendo per il rigetto e formulando un motivo di ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale, cui ha replicato la ricorrente con controricorso.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Solo la ricorrente ha depositato una memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
4 .- Avverso la stessa sentenza la Legnaghese proponeva anche domanda di revocazione ai sensi dell’art. 395 n° 4 cod. proc. civ. e la Corte d’appello di Venezia, nuovamente adita in tale sede, emetteva la sentenza n° 2233/2023, anch’essa indicata in intestazione.
Osservava la Corte che con l’unico motivo di revocazione la Legnaghese aveva dedotto l’esistenza di un errore percettivo nella sentenza d’appello n° 2448/2020, la quale al paragrafo 6.2 aveva erroneamente ritenuto che l’indennità azionata dalla società col ricorso monitorio fosse diversa da quella offerta dal Comune.
Per contro, l’indennità era sempre la medesima, ma determinata mediante parametri diversi.
Così riassunto il motivo di revocazione, la Corte lo dichiarava inammissibile, in quanto incentrato su una delle due rationes decidendi sulle quali era fondata la sentenza revocanda, la quale aveva rigettato la domanda della Legnaghese non solo perché quest’ultima aveva preteso un’indennità superiore a quella indicata dal Comune, ma anche perché l’offerta della società proprietaria era tardiva.
Quest’ultima ragione di rigetto della domanda della Legnaghese non era stata impugnata, con la conseguenza che, anche accedendo alla tesi dall’attrice in revocazione, nessuna conseguenza sarebbe, comunque, potuta derivare sulla stabilità della sentenza di secondo grado.
Peraltro, aggiungeva la Corte, il preteso errore non era caduto sulla supposizione di un fatto, ma su una questione controversa dibattuta tra le parti nei due gradi di giudizio.
5 .- Ricorre per cassazione la Legnaghese (RG 11376/2024) anche contro questa sentenza, affidando l’impugnazione ad un unico motivo.
Resiste il Comune, che conclude per la reiezione del ricorso.
Come il precedente ricorso, anche questo è stato assegnato per la trattazione in adunanza c amerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Solo la ricorrente ha depositato una memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6 .- I due ricorsi devono essere riuniti, in applicazione analogica dell’art. 335 cod. proc. civ. (sul che si veda, da ultimo, Cass., sez. II, 10 luglio 2024, n° 18966).
7 .- Il primo motivo del ricorso RG 8845/2021 è rubricato come segue: ‘ Ex art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione degli artt. 112, 115,
342, 343, 345 e 346 c.p.c., per aver escluso il diritto all’ indennità per le UMI 3 e 4 in mancanza di specifica contestazione e di specifica doglianza del Comune, il quale, nel proporre appello incidentale subordinato, aveva sostenuto che Legnaghese avesse realizzato gli interventi sulle UMI 3 e 4, rivendendo i singoli alloggi ai terzi assegnatari e incassando il relativo prezzo, mentre la Corte territoriale ha ritenuto extra vel ultra petita che l’indennità relativa alle UMI 3 e 4 non spettasse a Legnaghese per effetto della stipula di convenzione che concedeva alla stessa di realizzare l’intervento costruttivo ‘.
Assume la ricorrente che il tribunale aveva accolto l’opposizione sul solo rilievo della tardiva accettazione della proposta di cessione bonaria formulata dal Comune.
A fronte dell’appello proposto dalla Legnaghese, il Comune avrebbe formulato un motivo di impugnazione incidentale, deducendo un fatto del tutto nuovo, ossia che l’indennità di esproprio non fosse dovuta per le U.M.I. n° 3 e 4, giacché la Legnaghese aveva costruito gli alloggi su tali suoli e li aveva rivenduti a terzi.
Dal canto suo la Corte d’appello avrebbe rigettato la domanda di Legnaghese per ragioni ancora diverse da quelle prospettate ex novo dal Comune, ossia osservando che quest’ultimo aveva concluso una convenzione con la società proprietaria, concedendole il diritto di realizzare l’intervento e lasciandole la proprietà del fondo.
Dunque, la Corte aveva escluso il diritto di indennizzo relativo alle U.M.I. n° 3 e 4 in ragione della Concessione tra Comune e Legnaghese e non perché, come eccepito dal Comune, essa aveva realizzato gli interventi.
Da qui il vizio di ultrapetizione e la violazione delle norme indicate nella rubrica.
In chiusura di motivo la ricorrente fa, inoltre, osservare che non corrisponderebbe al vero che Legnaghese avrebbe realizzato gli al-
loggi sulle U.M.I. n° 3 e 4, in quanto tali suoli sarebbero ancora liberi da qualsivoglia manufatto.
8 .-Il motivo è inammissibile, non cogliendo l’intera ed esatta ratio decidendi della sentenza.
Anzitutto, è vero che la Corte nel paragrafo 6.1 della sentenza ha ritenuto che l’indennizzo relativo alle U.M.I. n° 3 e 4 non fosse dovuto in virtù della Convenzione tra Comune e Legnaghese.
Ma è anche vero che ai successivi paragrafi (6.2-6.4) la Corte ha aggiunto che l’accordo bonario non si era formato perché la società aveva preteso una somma diversa da quella quantificata dal Comune, a nulla rilevando il fatto che la maggiorazione del dieci per cento fosse dovuta per legge.
Questo secondo passaggio motivazionale non risulta limitato alla U.M.I. n° 6 ed è pertanto valido anche per le U.M.I. n° 3 e 4, in relazione alle quali, pertanto, la ragione del diniego di indennizzo è duplice: da un lato la conclusione di una Convenzione col Comune, dall’altro la mancata formazione dell’accordo bonario.
Quest’ultima motivazione (che, come si dirà, è stata inefficacemente contrastata solo col secondo motivo di ricorso sub RG 8845/2021) è idonea da sola a reggere la decisione finale sulla non debenza dell’indennizzo, rendendo così inammissibile il mezzo in esame.
Costituisce, infatti, ius receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum , per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutte le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione, posto che la mancata critica di una di queste, o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli, comporterebbero la definitività della
decisione sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata ( ex multis : Cass., sez. III, 14 marzo 2024, n° 6947).
Peraltro, la ricorrente pone una distinzione tra i fatti posti dal Comune a fondamento delle sue eccezioni e quelli rilevati dalla Corte che non sembra condivisibile.
Quando la Corte ha stabilito che il diritto all’indennizzo non spettava a causa della Convenzione col Comune, ha inteso dire, nella sostanza, che Legnaghese avrebbe recuperato il valore del terreno mediante la costruzione e la vendita degli alloggi a terzi, bastando anche la sola Convenzione a far venir meno qualunque pregiudizio indennizzabile.
Se questa è la ratio della decisione, non si comprende che rilievo abbia distinguere -come fa la ricorrente, per denunciare l’ultrapetizione tra eccezione di esistenza della Convenzione ed eccezione di realizzazione e vendita degli alloggi, posto che in entrambi i casi il patrimonio della Legnaghese non risulterebbe comunque inciso.
9 .-Conviene ora esaminare congiuntamente l’unico motivo del ricorso RG 11376/2024 (avverso la sentenza che ha respinto la revocazione) ed il secondo motivo del ricorso RG 8845/2021.
Con l’ unico motivo del ricorso RG 11376/2024 (‘ Ex art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: la Corte territoriale -sull’erroneo assunto che la Sentenza impugnata si basi su due autonome rationes decidendi, laddove così non è e, comunque, Legnaghese aveva impugnato la sentenza d’appello anche mediante ricorso per cassazione, impugnando la ratio decidendi ritenuta concorrente nella Sentenza impugnata -ha dichiarato inammissibile e rigettato la domanda di revocazione ordinaria, omettendo l’esame dell’errore -svista, di natura percettiva, in cui è incorsa la sentenza d’appello, là dove ha affermato in contrasto
con quanto pacifico tra le parti e risultante ex actis -che la pretesa creditoria monitoriamente azionata da RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata quantificata in misura difforme dalla proposta di cessione bonaria formulata dal Comune con lettera del 25.6.2008 ‘), la RAGIONE_SOCIALE assume che, anche in presenza di due ragioni di reiezione della domanda, di cui una impugnata con la revocazione e la seconda con il ricorso per cassazione, la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque decidere l’impugnazione per revocazione, seguendo l’orientamento di Cass. 5268/1980 e di Cass. 1999/1993.
Stando, infatti, a tali precedenti, qualora una sentenza di appello, fondata su due autonome ragioni del decidere, sia impugnata con riferimento soltanto ad una di esse per revocazione, e con riferimento all’altra con ricorso per cassazione, il giudice della revocazione non potrebbe dichiarare inammissibile l’impugnazione in quanto rivolta contro una soltanto delle ragioni della decisione, ma dovrebbe provvedere con sentenza dichiarativa dell’esistenza o meno del vizio revocatorio, sentenza che resta subordinata al definitivo esito del ricorso per cassazione in ordine all’autonoma ragione della decisione della sentenza di appello.
Il secondo motivo del ricorso RG 8845/2021 è così intestato: ‘ Ex art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ed ex art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa od omessa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.: la Corte territoriale incorre in travisamento degli atti di causa e dei documenti e in errore percettivo là dove, al punto 6.2 (pagg. 7 e 8) della sentenza impugnata, afferma del tutto erroneamente e immotivatamente che la pretesa creditoria azionata da RAGIONE_SOCIALE con il ricorso monitorio fosse stata quantificata in misura diversa rispetto alla proposta di cessione bonaria formulata dal Comune con lettera del 25.06.2008, alla quale Legnaghese aveva aderito ‘.
La ricorrente in sostanza deduce un travisamento dei documenti da parte della Corte territoriale, la quale avrebbe ritenuto che
l’indennità richiesta da Legnaghese fosse diversa da quella offerta, senza rendersi conto che il valore di esproprio era stato espresso negli atti comunali sia in euro al metro quadro, sia in euro al metro cubo, con la conseguenza che l’indennizzo al metro quadrato (euro 396,00, dato da euro 480,00 meno la riduzione del 25% = euro 360,00, oltre all’incremento del dieci per cento = euro 396,00) corrispondeva a quello al metro cubo di 239,64.
10 .-Il motivo svolto contro la sentenza d’appello che ha respinto la revocazione (RG 11376/2024) -pur cogliendo il segno nella parte in cui fa rilevare l’erronea dichiarazione di inammissibilità della domanda di revocazione sul rilievo della mancata impugnazione della seconda ratio decidendi della sentenza revocanda -non può essere accolto.
È vero, infatti, che, qualora una sentenza di appello, fondata su due autonome ragioni del decidere, sia impugnata con riferimento soltanto ad una di esse per revocazione e con riferimento all’altra con ricorso per cassazione, il giudice della revocazione non può dichiarare inammissibile l’impugnazione in quanto rivolta contro una soltanto delle ragioni della decisione, ma deve provvedere con sentenza a dichiarare l’esistenza o meno del vizio revocatorio, pronuncia che resta subordinata al definitivo esito del ricorso per cassazione in ordine all’autonoma ragione della decisione della sentenza di appello (così Cass., sez. II, 6 aprile 2018, n° 8526, con menzione di altro precedente).
Tuttavia, è anche vero che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n° 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto ‘ decisivo ‘ incontestabilmente escluso (Cass., sez. VI -1, 26 gennaio 2022, n° 2236, con menzione di altri precedenti).
Ora, il supposto errore di fatto enunciato nel mezzo in esame è stato dedotto dalla ricorrente al fine di predicare la sua adesione
all’offerta del Comune, ma tale fatto anche a concedere l’intera argomentazione della società -non è dirimente, poiché anche quando sia intervenuto l’atto di condivisione dell’indennizzo (art. 20, quinto comma), la Pubblica amministrazione non è obbligata ad addivenire alla cessione volontaria del fondo, sol che si consideri che la comunicazione dell’indennità provvisoria e la condivisione di essa non danno vita ad un contratto preliminare, né fanno sorgere un obbligo a contrarre in capo all’ente espropriante (Cass., sez. II, 8 maggio 2014, n° 9990).
Peraltro, era presente nella motivazione anche un altro snodo logico (sentenza pagina 10), col quale la Corte ha chiarito che il preteso errore era caduto su circostanza controversa, oggetto di dibattito tra le parti, sia davanti al Tribunale, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, che davanti alla Corte d’Appello, in sede di giudizio di gravame, come peraltro ammesso dalla stessa società ricorrente nel proprio ricorso di legittimità: passaggio che non risulta aggredito col mezzo in esame, donde la sua inammissibilità per le identiche ragioni già sopra esposte, quando si è esaminato il primo motivo di ricorso RG 8845/2021.
Quanto al secondo motivo del ricorso RG 8845/2021, il mezzo è inammissibile nella parte in cui denuncia un travisamento della prova, essendo ben noto (dopo Cass., sez. un., 5 marzo 2024, n° 5792) che la valutazione di essa non dà luogo a vizio denunciabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo della mancanza o dell’apparenza della motivazione (vizio denunciabile ex art. 360 n° 4 cod. proc. civ.), mentre il travisamento del materiale istruttorio può dar luogo alla revocazione della sentenza, in base all’art. 395 n° 4 cod. proc. civ.
Ora, la ricorrente ha posto tale travisamento a fondamento dell’unico motivo di ricorso sub RG 11376/2024, ma tale mezzo è stato sopra già trattato e respinto.
Ma il presente motivo è inammissibile anche nella parte in cui denuncia la violazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 2727, 2729 cod. civ.
Anzitutto, esso è privo di autosufficienza, non riportando la trascrizione o, almeno, l’illustrazione del contenuto rilevante degli atti e dei documenti essenziali ai fini del decidere (art. 366 n° 6 cod. proc. civ.).
A tacer d’altro, infatti, è stata completamente omessa la trascrizione della accettazione comunicata dalla Legnaghese: requisito essenziale in base al quale questa Corte avrebbe potuto verificare la (dedotta) coerenza dell’accettazione rispetto all’offerta del Comune. In secondo luogo, come già detto, la Corte ha ritenuto non conforme all’offerta del Comune l’accettazione espressa dalla società sul rilievo che quest’ultima contenesse un incremento del prezzo offerto pari al dieci per cento: differenza che, secondo il giudice d’appello, la rendeva non aderente all’offerta, nonostante la maggiorazione fosse dovuta per legge (sentenza n° 2657/2020, pagina 10).
Ne deriva che, anche concedendo l’intera argomentazione esposta nel motivo (secondo la quale l’accettazione espressa in base ai metri cubi corrispondeva all’offerta basata sui metri quadrati), è palese che lo snodo logico della non conformità a causa della maggiorazione non appare contrastato col mezzo in esame, donde -ancora una volta -la sua inammissibilità.
11 .- Il terzo mezzo del ricorso RG 8845/2021 è così intitolato: ‘ Ex art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa od omessa applicazione degli artt. 20, 37 e 45 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. ESPROPRI): il Comune di Verona, in applicazione dell’art. 20 T.U. ESPROPRI, ha determinato in via provvisoria la misura dell’indennità di esproprio, invitando l’esproprianda Legnaghese ad aderire a tale indicazione; Legnaghese, a seguito di interlocuzione con il Comune, ha esercitato il diritto alla cessione volontaria di cui all’art.
45, comma 1, T.U. ESPROPRI prima che fosse emesso ed eseguito il decreto di esproprio prospettato dal Comune in caso di mancata cessione bonaria, con l’aumento ex lege del dieci per cento previsto dall’art. 37, comma 2, richiamato dall’art. 45, comma 2, lett. a), T.U. cit., come prevede il combinato disposto di tali norme per l’ipotesi di cessione volontaria di un’area edificabile, dichiarata di pubblica utilità e da espropriare per interventi di riforma economico-sociale, anche quando l’accordo di cessione non sia stato formalizzato per fatto non imputabile all’espropriato. Ciò è tanto vero che lo stesso Comune di Verona non solo ha trasmesso la pratica ai propri uffici competenti per la formalizzazione definitiva della cessione, ma ha imposto l’assegnazione diretta di tre delle sei UMI (nn. 1, 2 e 5) alle Cooperative convenzionate per la realizzazione dell’intervento edilizio, con versamento del prezzo di cessione bonaria direttamente a Legnaghese e rimborso dei depositi cauzionali dal Comune alle Cooperative assegnatarie: ciò che il Comune non avrebbe certamente potuto fare, se la cessione volontaria ex art. 45 T.U. ESPROPRI non fosse intervenuta da parte di Legnaghese in relazione all’intero terreno facente parte del PEEP n. 72 San Michele, ivi incluse le UMI nn. 3, 4 e 6, per la cui indennità/prezzo di cessione bonaria Legnaghese è stata costretta ad agire in via monitoria ‘.
In sostanza, la ricorrente assume che sebbene l’art. 20, quinto comma, del d.P.R. n° 327/2001 preveda il termine di trenta giorni per l’accettazione dell’indennizzo offerto dall’espropriante, il successivo art. 45, primo comma, attribuisce al proprietario il diritto di stipulare col beneficiario l’atto di cessione del bene ‘ fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio ‘: dal che si desumerebbe la natura ‘ meramente dilatoria ‘ del termine previsto dall’art. 20.
12 .- Il mezzo è manifestamente infondato.
La ricorrente sembra non distinguere l’atto con cui il privato ‘ condivide la determinazione dell’indennità di espropriazione ‘, che deve
intervenire entro i trenta giorni successivi alla comunicazione dell’indennità provvisoria (art. 20, quinto comma, del d.P.R. n° 327/2001), con l’atto di cessione del bene, che può invece intervenire tra la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (termine iniziale) e sino alla data di esecuzione del decreto di esproprio (termine finale), momento in cui la proprietà passa in mano pubblica, rendendo inutile la cessione bonaria.
L’atto di condivisione dell’indennizzo deve essere necessariamente comunicato all’autorità espropriante entro trenta giorni, onde evitare che quest’ultima dia luogo ai successivi adempimenti del procedimento espropriativo.
Si tratta, dunque, di una perentorietà non espressamente sancita dalla legge, ma ricavabile dal sistema e, in particolare, da quelle norme che consentono alla PA, anche immediatamente dopo la scadenza del termine per la condivisione della determinazione dell’indennizzo, di invitare il proprietario interessato a comunicare se intende avvalersi del procedimento di determinazione dell’indennizzo a mezzo della terna di tecnici (art. 21) oppure, nel caso in cui il privato ‘ non abbia dato la tempestiva comunicazione ‘ (art. 21, quindicesimo comma), di adire la Commissione provinciale di cui all’art. 41.
Tale atto, ossia quello di condivisione della determinazione dell’indennità, è ben diverso dal successivo atto di cessione.
Infatti -anche quando sia intervenuto l’atto di condivisione dell’indennizzo (art. 20, quinto comma) la Pubblica amministrazione non è obbligata ad addivenire alla cessione volontaria del fondo, sol che si consideri che la comunicazione dell’indennità provvisoria e la condivisione di essa non danno vita ad un contratto preliminare, né fanno sorgere un obbligo a contrarre in capo all’ente espropriante (Cass., sez. II, 8 maggio 2014, n° 9990).
Ne discende che, mentre la condivisione dell’indennità offerta deve intervenire entro trenta giorni dalla sua comunicazione (art. 20,
quinto comma), la cessione può intervenire in ogni momento del procedimento di esproprio, purché prima dell’esecuzione del decreto di trasferimento, ai sensi dell’art. 45 (termine finale giustificato dal passaggio della proprietà dell’immobile in mano pubblica: evento che fa venir meno ogni ragione di un trasferimento volontario del cespite).
13 .-Si passa ora all’impugnazione del Comune.
Con l’ unico motivo di ricorso incidentale condizionato il Comune lamenta la violazione o la falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n° 327/2001.
Assume il Comune che elementi essenziali della cessione bonaria prevista dall’art. 20 citato sono il suo inserimento nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nel cui contesto la cessione assolve alla peculiare funzione della acquisizione del bene da parte dell’espropriante, quale strumento alternativo alla oblazione di autorità, la preesistenza nell’ambito del procedimento, non solo della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera realizzanda ma anche del subprocedimento di determinazione dell’indennità da parte dell’espropriante, che deve essere da quest’ultimo offerta e dall’espropriando accettata con la sequenza e con le modalità previste dalla legge, la correlazione del prezzo di cessione ai parametri di legge stabiliti per la determinazione dell’indennità di espropriazione.
Nella fattispecie tali elementi sarebbero del tutto assenti, in quanto la comunicazione del 25 giugno 2008 non costituiva atto di determinazione provvisoria dell’indennità, ma semplice invito a manifestare l’eventuale disponibilità alla cessione volontaria in favore delle Cooperative assegnatarie P.E.E.P., e nemmeno era mai stato attivato alcun procedimento espropriativo.
14 .-Il mezzo è stato condizionato all’accoglimento del ricorso principale e, data la reiezione di quest’ultimo, non occorre procedere al suo esame.
15 .- Alla soccombenza della ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese dei due giudizi in favore del Comune di Verona, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore della lite (euro 2,180 milioni) -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente sia nel giudizio RG 8845/2021 che in quello RG 11376/2024, ove dovuto.
p.q.m.
La Corte riunisce il ricorso RG n° 11376/2024 al ricorso RG n° 8845/2021.
Dichiara inammissibile il primo e respinge il secondo.
Condanna la ricorrente a rifondere al resistente le spese dei giudizi riuniti, che liquida complessivamente in euro 25.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta.
Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente sia nel giudizio RG 8845/2021 che in quello RG 11376/2024, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 19 febbraio 2025, nella camera di con-