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Accesso illecito dati: licenziamento proporzionato

Una dipendente di un’azienda ospedaliera è stata licenziata per aver effettuato un accesso illecito ai dati sanitari dei propri vicini di casa per ragioni personali. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo la condotta una violazione talmente grave del vincolo fiduciario da rendere proporzionata la massima sanzione disciplinare, anche in considerazione della natura sensibile delle informazioni consultate.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accesso illecito dati: quando la curiosità costa il posto di lavoro

L’era digitale ha amplificato le responsabilità dei lavoratori che gestiscono informazioni sensibili. Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio fondamentale: l’accesso illecito ai dati informatici aziendali per scopi personali costituisce una violazione gravissima, tale da giustificare il licenziamento per giusta causa. La sentenza analizza il caso di una dipendente di un’azienda sanitaria che ha utilizzato la sua posizione per consultare le cartelle cliniche dei propri vicini di casa, con i quali aveva dei dissapori personali.

I Fatti: L’Accesso Illecito ai Dati Sanitari

Una dipendente, impiegata presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico di un’azienda ospedaliera, ha effettuato, in un arco temporale di oltre tre anni, trenta accessi non autorizzati al Dossier Sanitario Elettronico. Le consultazioni illecite riguardavano i fascicoli sanitari dei suoi vicini di casa, con i quali la lavoratrice e suo marito avevano avuto screzi personali, sfociati anche in insulti e minacce per cui era stata condannata in sede penale.

L’azienda, venuta a conoscenza dei fatti, ha avviato un procedimento disciplinare che si è concluso con il licenziamento per giusta causa. La dipendente ha impugnato il provvedimento, sostenendo che la sanzione fosse sproporzionata e che gli accessi non fossero del tutto estranei alle sue mansioni. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno però confermato la legittimità del licenziamento, spingendo la lavoratrice a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sul Licenziamento

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della dipendente, confermando la piena legittimità del licenziamento. Gli Ermellini hanno ritenuto infondate tutte le doglianze della ricorrente, incentrate sulla presunta violazione dei principi di gradualità e proporzionalità della sanzione.

Il Principio di Proporzionalità nell’accesso illecito dati

Il cuore della difesa della lavoratrice si basava sull’idea che il licenziamento fosse una misura eccessiva. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito che la valutazione sulla proporzionalità della sanzione è un giudizio di merito, riservato ai giudici dei gradi inferiori e sindacabile in sede di legittimità solo in caso di motivazione assente o palesemente illogica. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ampiamente e logicamente motivato la gravità della condotta.

L’Irreparabile Lesione del Vincolo Fiduciario

La Corte ha sottolineato come l’accesso illecito ai dati sensibili di terzi per finalità personali rappresenti un comportamento che mina alle fondamenta il vincolo fiduciario. L’azienda non può più riporre fiducia in una dipendente che abusa della propria posizione e dei propri privilegi di accesso per ottenere informazioni riservate. Questo tipo di condotta, peraltro sanzionata anche penalmente, è di per sé sufficiente a integrare la giusta causa di licenziamento.

Le motivazioni della Sentenza

Nelle motivazioni, la Corte Suprema ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui l’accesso a un sistema informatico aziendale non può mai essere considerato di lieve entità quando è realizzato per finalità personali o comunque non riconducibili a esigenze di servizio. L’abuso degli strumenti di lavoro per soddisfare interessi privati, specialmente quando si tratta di dati sanitari protetti dalla massima riservatezza, costituisce una mancanza di una gravità tale da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. La Corte ha inoltre specificato che tale condotta rientra a pieno titolo nelle previsioni del codice disciplinare applicabile, che sanziona con il licenziamento “atti dolosi che, pur non costituendo illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione” del rapporto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un messaggio cruciale per tutti i lavoratori, in particolare nel settore pubblico e sanitario: gli strumenti informatici e le autorizzazioni di accesso sono concessi esclusivamente per lo svolgimento delle mansioni lavorative. Qualsiasi utilizzo per scopi personali, soprattutto se volto a ledere la privacy altrui, rappresenta un abuso grave. La decisione conferma che la protezione dei dati personali non è solo un obbligo normativo, ma un pilastro del rapporto di lavoro, la cui violazione può avere conseguenze risolutive immediate e definitive.

L’accesso a dati informatici aziendali per scopi personali può giustificare un licenziamento?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che l’accesso al sistema informatico aziendale per finalità personali, in particolare per acquisire dati sensibili di terzi, costituisce una condotta di gravità tale da giustificare il licenziamento per giusta causa, in quanto lede irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il datore di lavoro.

Come viene valutata la proporzionalità di un licenziamento disciplinare?
La valutazione della proporzionalità è un giudizio di merito affidato al giudice delle istanze inferiori, che deve considerare tutte le circostanze del caso concreto. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata è del tutto assente, manifestamente illogica o contraddittoria. In questo caso, la gravità dell’accesso a dati sanitari è stata ritenuta sufficiente a rendere la sanzione del licenziamento proporzionata.

Cosa si intende per rottura del “vincolo fiduciario” nel rapporto di lavoro?
Significa che il comportamento del dipendente ha distrutto la fiducia che il datore di lavoro riponeva nella sua correttezza e lealtà, a tal punto da rendere impossibile la continuazione del rapporto. Abusare della propria posizione per accedere illecitamente a dati sensibili è considerato un esempio emblematico di condotta che provoca tale rottura insanabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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