Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4219 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 4219 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
Oggetto: Scioglimento comunione ereditaria – Accessione – Rimborsi.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11837/2019 R.G. proposto da NOME e NOME, rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma presso la Cancelleria civile della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma presso la Cancelleria civile della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrente e ricorrente incidentale –NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME in qualità di erede di COGNOME NOME e Serra NOMECOGNOME E COGNOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME;
-intimati –
avverso la sentenza n. 176/2018 emessa dalla Corte d’Appello di Cagliari, pubblicata il 28/2/2018 e non notificata.
Udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa NOME COGNOME nella pubblica udienza del 9/1/2025;
lette le conclusioni scritte della Procura generale, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso.
Sentite le parti presenti.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 27/08/1979, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Oristano, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME onde ottenere l’accertamento del proprio diritto di proprietà, per la quota di 1/3 o di 1/4, del cortile sito in Comune di Ortueri, INDIRIZZO in catasto al foglio 9, mappale 776, in quanto acquisito per successione ereditaria dal padre COGNOME NOME, a sua volta erede, con i fratelli COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, del genitore COGNOME NOME, assumendo che il padre lo aveva posseduto ininterrottamente, assieme agli zii COGNOME NOME e COGNOME NOME, e che questi, nel gennaio 1977, avevano iniziato arbitrariamente la costruzione di un muro per dividerlo in due parti.
Costituitisi in giudizio, NOMECOGNOME NOME e NOME si difesero affermando che il cortile era stato oggetto di una divisione amichevole che aveva attribuito il bene a NOME e NOME e che si era consolidata per intervenuta usucapione, tant’è che NOME, genitore degli attori, lo aveva utilizzato soltanto in ragione dei buoni rapporti esistenti tra essi.
Il Tribunale di Oristano accertò, con sentenza non definitiva n. 201/1998 del 7/8/1998, che il cortile era di proprietà di COGNOME NOME in Fadda, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali successori di COGNOME NOME NOME, per la quota di un terzo, e dei convenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME per le restanti quote, mentre non lo era di COGNOME NOME, e dichiarò, con sentenza definitiva n. 457 del 7/8/2011, l’inammissibilità delle domande di rendimento del conto e di pagamento delle migliorie e addizioni avanzate dai convenuti, condannando i predetti a corrispondere agli attori, per la quota di un terzo, i frutti percepiti in ragione del godimento esclusivo del bene, per il valore di euro 58.710,00, oltre a disporre lo scioglimento della comunione sugli immobili, attraverso la formazione di tre quote, due contenenti porzioni immobiliari e obblighi di conguaglio, e la terza contenente solo conguagli, che attribuì, quanto alle prime due, agli eredi rispettivamente di COGNOME NOME (ossia NOME COGNOME) e di COGNOME NOME (ossia NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) e la terza agli attori.
Il giudizio di gravame, interposto da NOME COGNOME avverso entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Salvatore, COGNOME NOME e COGNOME COGNOME, nonché di COGNOME NOME e COGNOME NOME, e nella contumacia di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME, con la sentenza n. 176/18 del 23/2/2018, con la quale la Corte d’Appello di Cagliari confermò la sentenza non definitiva n. 202 del 23/11/1998 e riformò parzialmente quella definitiva n. 457/2001, dichiarando che nulla era dovuto tra le parti a titolo di risarcimento e di conguaglio per l’assegnazione delle singole quote e compensando le spese del giudizio.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME e COGNOME Giuseppe hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sette motivi, illustrati anche con memoria; si è difeso con controricorso COGNOME Giovanni, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, in qualità di erede di COGNOME NOME e COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME sono rimasti, invece, intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., e violazione e falsa applicazione degli artt. 161 e 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118, disp. att., cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito reso una motivazione affetta da insanabili contraddittorietà anche rispetto al dispositivo, in quanto avevano, per un verso, riconosciuto la comproprietà dei beni dividenti in capo agli attori per la quota di un terzo e, per altro verso, escluso l’obbligo delle controparti di pagare somme a titolo di conguaglio, senza avvedersi che, nella formazione delle quote in sede di divisione, quella pertoccata agli attori era costituita esclusivamente da somme a conguaglio, così creando un cortocircuito innescato dalla coesistenza, nel corpo del provvedimento, di due affermazioni di segno contrario e opposto, idonee a elidersi a vicenda.
Col secondo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e il vizio di ultrapetizione, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito negato il diritto degli attori al conguaglio, che costituiva l’intera quota di divisione ad essi assegnata, in assenza di corrispondente domanda di parte appellante, che si era
limitata a domandare la sola rideterminazione e/o riduzione del conguaglio, ma non la sua totale elisione.
Col terzo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Cost. e degli artt. 834, 840, 934 e 1102 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto inapplicabile l’accessione alle ipotesi di opera realizzata sul fondo comune da uno dei comproprietari e avere conseguentemente ritenuto ininfluente la valenza economica dei due fabbricati sulle quote ereditarie a far data dalla loro edificazione, senza tener conto dei principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui la costruzione eseguita sul fondo comune da uno dei comproprietari diviene per accessione ex art. 934 cod. civ. di proprietà comune agli altri comproprietari dell’immobile, salvo accordo contrario, avente forma scritta ad substantiam , che trasferisca la proprietà del terreno o costituisca un diritto reale su di essi. In ragione di ciò, i giudici avrebbero dovuto tener conto, nella stima, nella elaborazione del progetto di divisione e nella quantificazione dei frutti, del valore dei fabbricati edificati dai convenuti su suolo comune dividendo, in quanto acquisiti alla proprietà comune, mentre nessuna questione di indennizzo o di rimborso o di compensazione di spese avrebbe potuto formare oggetto di giudizio, stante l’inammissibilità della relativa domanda, siccome irritualmente e tardivamente proposta.
4.1 I primi tre motivi di ricorso principale, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, riguardando tutti, sotto differenti profili, il medesimo thema decidendum della disciplina applicabile ai casi in cui il comproprietario abbia edificato sul terreno comune, sono fondati.
4.2 Si legge nella parte della sentenza afferente allo ‘ svolgimento del processo ‘ che il Tribunale di Oristano aveva accertato e dichiarato, con la sentenza non definitiva del 1998, che COGNOME
NOME in COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali successori di COGNOME NOME NOME, erano divenuti proprietari, per la quota di un terzo, del cortile conteso, e disposto, con la sentenza definitiva del 2011, lo scioglimento della comunione sul terreno, assegnando: a NOME COGNOME la proprietà esclusiva del terreno di mq. 290 con sovrastante fabbricato, con conguaglio da pagare ai convenuti NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella misura di euro 5.907,33 e agli attori nella misura di euro 82.624,00; a NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in comunione pro indiviso , la parte di terreno di mq. 270 con sovrastante fabbricato, con conguaglio da ricevere da NOME COGNOME nella misura di euro 5.907,33 e da pagare in favore degli attori nella misura di euro 29.355,00; agli attori in solido il conguaglio in denaro da ricevere sia da COGNOME NOME nella misura di euro 81.624,33, sia da NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella misura di euro 29.355,00.
Nella parte motiva, invece, i giudici d’appello hanno, per un verso, ritenuto che il terreno fosse stato utilizzato congiuntamente da tutti i fratelli (NOME, NOME e NOME) in assenza di contestazioni e con animo possidendi per circa trent’anni finché i convenuti non avevano deciso di innalzarvi un muro per dividerlo in due parti e successivamente di edificarvi due unità immobiliari, e che questi ultimi non avessero dimostrato di averlo usucapito, essendo anzi emerso come questo fosse stato usato da tutti e tre i fratelli e loro famiglie per esigenze lavorative, custodisse al suo interno macchine agricole e un deposito di sughero e legname e fosse accessibile a tutti i predetti in assenza di autorizzazione quantomeno fino al decesso del comune dante causa, e come nessuna attribuzione esclusiva fosse stata operata per testamento, né fosse stato dimostrato il dedotto accordo orale di divisione amichevole, e, per altro verso, che, in caso di costruzione eseguita
dal comproprietario su bene comune, non potesse trovare applicazione l’art. 938 cod. civ. in tema di accessione invertita, come, invece, sostenuto dal giudice di prime cure, ma soltanto le norme in tema di comunione, con conseguente erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che i due fabbricati ricadessero nella comunione, ancorché edificati ad esclusive spese dei convenuti, e irrilevanza della c.t.u. e del suo elaborato contabile, volto a calcolare la loro valenza economica sulle quote ereditarie, sancendo, nel dispositivo, che nulla era dovuto a titolo di conguaglio.
Orbene, indipendentemente dall’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto inapplicabile alla specie l’istituto dell’accessione, di cui si parlerà più avanti, la decisione resta senz’altro insanabilmente contraddittoria nella parte in cui, per un verso, conferma, la contitolarità della proprietà del terreno tra le parti, e, per altro verso, esclude, in sede di divisione, l’obbligo dei condividenti assegnatari degli immobili di corrispondere il conguaglio ai non assegnatari di beni in natura.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio stabilito dall’art. 727 cod. civ., in virtù del quale, nello scioglimento della comunione, il giudice deve formare lotti comprensivi di eguali quantità di beni mobili, immobili e crediti, non ha natura assoluta e vincolante, ma costituisce un mero criterio di massima, giacché il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie di beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei coeredi e dei condividenti in genere di ottenere in sede di divisione una
porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere (Cass., Sez. 6-2, 27/8/2020, n. 17862; Cass., Sez. 2, 16/4/2018, n. 9282; Cass., Sez. 2, 12/12/2017, n. 29733; Cass., Sez. 2, 12/3/2010, n. 6134; Cass., Sez. 2, 6/2/2009, n. 3029; Cass., Sez. 2, 16/6/2008, n. 16219; Cass., Sez. 2, 22/11/2000, n. 15105).
Resta peraltro in facoltà del giudice della divisione formare i lotti anche in maniera diversa, ad esempio attribuendo ad alcuni condividenti un intero immobile, piuttosto che una frazione di esso (Cass., Sez. 2, 16/6/2008, n. 16219; Cass., Sez. 2, 22/11/2000, n. 15105), e agli altri il conguaglio in denaro, così da attuare il progetto divisionale che appartiene, per l’appunto, alla sua competenza (Cass., Sez. 6-2, 3/7/2014, n. 15288), purché, però, nella formazione dei lotti, assicuri ai condividenti porzioni di valore corrispondente alle rispettive quote (Cass., Sez. 2, 12/12/2017, n. 29733, cit.), costituendo esse la proiezione in natura della quota ideale pro indiviso , che viene, in tal modo, a concretizzarsi in un determinato bene materiale (quota pro diviso ), anche quando si sostanzi nel solo conguaglio.
E’ allora evidente come i giudici di merito, nel riconoscere, da un lato, la comproprietà del bene conteso, disponendone lo scioglimento, e nell’escludere, dall’altro, la quota spettante ad alcuni dei condividenti, abbiano non soltanto espropriato, nella sostanza, questi ultimi del loro diritto di proprietà sulla quota pro diviso , ma abbiano anche reso una motivazione affetta da manifesta e irriducibile contraddittorietà, in violazione del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., che si converte in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dando luogo a nullità della sentenza, secondo i principi affermati da questa Corte dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22
giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez . 3, 12/10/2017, n. 23940).
4.3 La sentenza è peraltro errata -e anche in ciò si sostanzia la violazione di legge – nella parte in cui esclude il diritto dei ricorrenti al conguaglio in ragione dell’asserita inapplicabilità, ai due fabbricati edificati dagli altri condividenti, dell’istituto dell’accessione e, dunque, la stessa comproprietà dei medesimi beni.
Tale osservazione, oltre ad affasciare in un’unica sorte la riconosciuta comunione del terreno e la proprietà esclusiva dei fabbricati, come detto, incorrendo nel vizio di contraddittorietà, si pone, inoltre, in contrasto coi principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte, le quali hanno affermato che l’istituto dell’accessione ex art. 934 cod. civ. detta una regola generale immediatamente applicabile e destinata a regolare tutte quelle fattispecie in cui l’incorporazione di piantagioni o materiali al suolo non trovi specifica disciplina in diverse disposizioni di legge, senza presupporre affatto l’alterità soggettiva tra proprietario del suolo e costruttore, sicché esso regola anche il caso in cui uno o alcuni soltanto dei comproprietari del suolo vi costruiscano a loro spese un edificio, dando luogo all’acquisto, da parte di tutti i comproprietari (costruttori o non costruttori), della proprietà della costruzione, in rapporto alle rispettive quote, per il semplice fatto di essere comproprietari del suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del terreno o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam (Cass., Sez. U, 16/2/2018, n. 3873; anche Cass., Sez. 2, 11/11/1997, n. 11120; Cass., Se. 2, 10/11/1980, n. 6034).
Ciò significa che i giudici di merito hanno errato allorché hanno ritenuto che i due fabbricati non fossero divenuti di comune proprietà per il solo fatto dell’incorporazione al suolo comune, sostenendo nella specie l’inapplicabilità dell’istituto dell’accessione.
Peraltro, posto che una siffatta costruzione costituisce innovazione ed è soggetta, appunto, al principio dell’accessione (in questi termini, vedi Cass., Sez. U, 16/2/2018, n. 3873 cit.), di essa deve tenersi conto ai fini della stima del bene medesimo, nonché della determinazione delle quote e della liquidazione dei conguagli, come, peraltro, sostenuto da questa Corte con riguardo alle migliorie apportate al bene comune da uno dei condividenti, essendo anch’esse soggette al principio dell’accessione (Cass., Sez. 2, 28/2/2020, n. 5527; Cass., Sez. 2, 18/11/1991, n. 12345; Cass., Sez. 2, 11/4/1987, n. 3617).
Sotto questo profilo, dunque, hanno errato i giudici di merito allorché hanno ritenuto ‘ l’assoluta irrilevanza della c.t.u. e del suo elaborato contabile volto a calcolare la valenza economica dei due fabbricati sulle quote ereditarie a far data dalla loro edificazione ‘.
Alla stregua di quanto detto, deve dichiararsi la fondatezza delle censure.
5.1 Col quarto motivo di ricorso principale, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perché, anche in caso di correttezza dell’affermazione, contenuta in sentenza, circa l’inapplicabilità dell’acquisto a titolo originario di una costruzione realizzata su bene comune ai sensi dell’art. 934 cod. civ., i giudici avevano comunque errato, in quanto non avevano considerato che, come risultante dalla c.t.u., la costruzione insistente sul lotto B e risalente agli anni 1977-1987, in virtù di concessioni edilizie n. 11/77 del 1/4/1977, del 21/8/1978 (quanto alla sopraelevazione) e del 11/2/1987 (quanto alla
tettoia), era stata realizzata da COGNOME NOME quando ancora era terzo estraneo alla comunione, avendo acquisito i diritti dominicali su un terzo del terreno solo in seguito al decesso del suo dante causa, COGNOME NOME, avvenuto nel 1989.
5.2 L’accoglimento dei primi tre motivi comporta l’assorbimento del quarto, siccome presupponente l’accertamento della qualità di terzo del costruttore al momento della edificazione dei manufatti nel terreno di cui ancora non era all’epoca divenuto comproprietario.
6. Col quinto motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1226, 832 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito escluso il diritto dei ricorrenti ad ottenere il risarcimento del danno da mancato godimento del bene per tutto il periodo di occupazione illegittima dell’immobile, ritenendo assente l’allegazione e prova del danno patito, senza considerare che questo deve considerarsi in re ipsa in quanto correlato alla perdita di disponibilità del bene e che i precedenti che richiedono la deduzione sul punto si riferiscono a occupazioni momentanee e non a situazioni illecite durate per oltre quarant’anni, come nella specie.
7. Col sesto motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost. e la violazione e falsa applicazione degli artt. 161 e 132, cod. proc. civ., e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici reso una motivazione affetta da irrisolvibile contrasto e contraddittorietà tra affermazioni, allorché avevano, per un verso, confermato la sentenza di primo grado (riportata in quella oggi impugnata), che aveva riconosciuto la pacifica sussistenza di un godimento comune del bene, concretizzatosi nel deposito del legname e del sughero e nell’esistenza in loco di una macchina per la ferratura dei buoi, e, per altro verso, ritenuto che non fosse stato dedotto e provato il danno, senza avvedersi che proprio il positivo
accertamento di quell’utilizzo costituisse allegazione e prova del godimento (produttivo, agricolo e artigianale) effettivo e in atto fino all’esclusione subita dagli attori.
8. Col settimo motivo di ricorso principale, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perché, con riguardo alla domanda risarcitoria, i giudici di merito non avevano considerato il godimento del bene di carattere produttivo, concreto ed effettivo e in atto dei ricorrenti, fino al momento della loro esclusione, che sarebbe certamente proseguito ove non interrotto dall’abusiva e illegittima iniziativa usurpativa dei comproprietari.
9. Il quinto, il sesto e il settimo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, siccome tutti vertenti sul medesimo thema decidendum della reiezione della domanda di risarcimento dei danni derivante dall’illecito utilizzo esclusivo del bene comune, sono infondati.
Come già chiarito da questa Corte, nel sistema della comunione del diritto di proprietà per quote ideali ciascun partecipante gode del bene comune in maniera diretta e promiscua, cioè come può, purché, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., non ne alteri la destinazione e non impedisca l’esercizio delle pari facoltà di godimento che spettano agli altri comproprietari, con la conseguenza che, quando, per la natura del bene o per qualunque altra circostanza, non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, i comproprietari possono deliberarne – a maggioranza o all’unanimità, secondo il tipo di uso deliberato ex artt. 1105 e 1108 cod. civ. – l’uso indiretto (Cass., Sez. 2, 18/4/2023, n. 10264) o turnario, il quale costituisce corretto esercizio del potere di regolamentazione dell’uso della cosa comune da parte della maggioranza, in quanto non ne impedisce il
godimento individuale, ed evita, piuttosto, che, attraverso un uso più intenso da parte di singoli comunisti, venga meno, per i restanti, la possibilità di godere pienamente e liberamente della cosa durante i rispettivi turni, senza subire alcuna interferenza esterna (cfr. Cass. n. 7881 del 2011; Cass. n. 20394 del 2013; Cass. n. 29747 del 2019; Cass. n. 35210 del 2021).
In sede di scioglimento della comunione, poi, il condividente che non tragga diretto godimento dal bene in comunione può chiedere la propria quota parte dei frutti del bene al condividente che invece ne abbia il concreto godimento (Cass., Sez. 2, 18/11/2021, n. 35210), valendo il principio secondo cui i frutti civili, che si identificano nel corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri (Cass., Sez. 2, 30/7/2021, n. 21906), sono soggetti alla regola della divisione ipso iure (Cass., Sez. 2, 8/6/2022, n. 18548 cit.), a differenza di quelli naturali già separati al momento della divisione, i quali entrano a far parte della comunione e quindi si ripartiscono tra i partecipanti pro quota in conformità del disposto degli artt. 820, 821 cod. civ. (Cass., Sez. 2, 6/3/2024, n. 5978; Cass., Sez. 2, 8/6/2022, n. 18548 cit.; Cass., Sez. 2, 12/3/2019, n. 7019).
In sostanza, l’utilizzazione esclusiva del bene comune da parte di uno dei comproprietari, ove mantenuta nei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., oppure, quando strabordante, stabilita per accordo anche tacito tra i comunisti, non è di per sé idonea a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano, per l’appunto, acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l’occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli sia stato concesso, e sempre che risulti provato che il comproprietario, il
quale abbia avuto l’uso esclusivo del bene, ne abbia tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass., Sez. 2, 8/6/2022, n. 18548; Cass., Sez. 2, 30/7/2021, n. 21906; Cass. Sez. 2, 09/02/2015, n. 2423; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24647; Cass. Sez. 2, 04/12/1991, n. 13036).
Diversamente, quando risulti dimostrata una sottrazione o un impedimento assoluto, da parte di un comproprietario, delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene comune spettanti agli altri contitolari, ovvero una violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 cod. civ. per l’occupazione dell’intero immobile ad opera del comunista e la sua destinazione ad utilizzazione personale esclusiva, con privazione pro quota della disponibilità dei residui partecipanti, si ha un abuso della cosa comune, che legittima ciascuno dei partecipanti ad esercitare lo ius prohibendi per ottenere la cessazione della condotta illegittima e, per quanto qui interessa, a promuovere un’azione di risarcimento del danno, inteso come effetto della diminuzione della quota o della perdita materiale del bene oggetto della comproprietà (Cass., Sez. 2, 8/6/2022, n. 18548; Cass., Sez. 2, 12/3/2019, n. 7019; Cass. Sez. 2, 12/09/2003, n. 13424; Cass. Sez. 2, 10/01/1981, n. 243; Cass. Sez. 2, 12/09/1970, n. 1388), il quale può estendersi, sotto l’aspetto del lucro cessante, non solo al lucro interrotto, ma anche a quello impedito nel suo potenziale esplicarsi, dovendosi il danno quantificare in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene (Cass., Sez. 2, 8/6/2022, n. 18548 cit.; Cass., Sez. 2, 12/3/2019, n. 7019).
Non è dunque sufficiente, ai fini del risarcimento del danno, che il comproprietario abbia occupato l’intero bene, quando la sua condotta non si connoti di illiceità per superamento dei limiti ex art. 1102 cod. civ. (dal che genera un “danno”), in quanto tale occupazione trova comunque titolo giustificativo nella comproprietà
che investe tutta la cosa comune, e la sorte dei frutti naturali e civili tratti dal bene goduto individualmente ha attuazione in sede di divisione e di resa del conto, insieme alle spese necessarie od utili per la conservazione o il miglioramento del bene comune anticipate (Cass., Sez. 2, 8/6/2022, n. 18548 cit.; Cass., Sez. 2, 12/3/2019, n. 7019), mentre, in caso di abuso da parte di un coerede, il giudice di merito non può limitarsi ad accertare la violazione di uno dei limiti posti allo uso della cosa comune dalla disposizione dell’art. 1102 cod. civ., il quale detta soltanto le condizioni perché l’uso della cosa comune sia lecito, ma deve fare riferimento anche alla concorrenza o non delle condizioni poste da altre norme al fine di stabilire la sussistenza della buona o mala fede del coerede (artt. 535 e 1147 cod. civ.), l’esistenza o meno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, la ricorrenza delle condizioni, poste dall’art. 2043 cod. civ., per il risarcimento dei danni, ovverossia il fatto illecito, la diminuzione patrimoniale e il nesso di causalità (Cass., Sez. 2, 12/9/1970, n. 1388).
Alla stregua di tali principi, sarebbe allora spettato agli istanti dedurre e dimostrare, oltre al vantaggio patrimoniale tratto dal comproprietario che aveva la disponibilità esclusiva del bene comune, di averne chiesto l’utilizzo diretto e di non averlo ottenuto, deduzione questa che, però, non risulta sia stata esplicitata nei gradi di merito, non essendovene menzione nella sentenza, né risulta alcunché sul punto neppure nelle censure in esame.
Ciò comporta che i giudici hanno correttamente deciso di rigettare la domanda risarcitoria proposta, sebbene con una motivazione non collimante con i principi sopra esposti, avendo sostenuto che ‘ alla mancanza di disponibilità dell’area ‘, era stata affiancata ‘ l’assenza di qualsiasi allegazione su un diverso e reddituale utilizzo -godimento diretto o indiretto -del sito ovvero un’indicazione di
come dallo stesso avrebbe potuto essere tratto un diverso vantaggio ‘.
10.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2730, 2734 e 1350, n. 5, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché il Tribunale di Oristano aveva errato nell’affermare, nella sentenza non definitiva del 7/4/1998, che gli attori erano proprietari nei limiti della quota di un terzo del cortile sito in Ortueri, in quanto avevano inesattamente valutato le dichiarazioni rese dalla convenuta COGNOME in sede di interrogatorio formale, ritenendo che potesse dirsi maturata in danno di questa e in favore dei fratelli l’usucapione della quota ad essa spettante sull’area. Il ricorrente incidentale ha, sul punto, obiettato come quest’ultima si fosse limitata a dire di non avere mai posseduto l’immobile in contestazione, siccome assegnato ai fratelli NOME e NOME, senza mai dichiarare di avere rinunciato alla sua quota e senza mai riconoscere il possesso ad usucapionem di COGNOME NOME NOME, con la conseguenza che le sue dichiarazioni non avevano valenza confessoria. Inoltre, dall’affermazione della stessa secondo cui il bene era stato attribuito ai fratelli, i giudici avrebbero potuto ritenere al più provato soltanto l’esercizio del possesso da parte di NOME e NOME, ma non della medesima NOME o di NOME, né avrebbero potuto affermare che vi fosse stata rinuncia, da parte sua, dei suoi diritti successori sul bene o che si fosse formata a suo danno l’usucapione, la quale non era stata domandata da alcuno e tanto meno della confitente.
10.2 Il primo motivo di ricorso incidentale è per plurime ragioni inammissibile.
La censura fa, infatti, riferimento alla sentenza di primo grado e non a quella d’appello, in contrasto col principio secondo cui con il ricorso per cassazione non possono essere proposte, e vanno,
quindi, dichiarate inammissibili, le censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado (cfr. Cass., Sez. 2, 14/6/2022, n. 19017; Cass., Sez. L, 21/03/2014, n. 6733, Rv. 630084; Cass., Sez. 1, 17/07/2007, n. 15952, Rv. 598504; Cass., Sez. L, 15/03/2006, n. 5637, Rv. 587584).
Essa proviene inoltre da soggetto privo di legittimazione, in quando volta a far valere l’esclusione dalla divisione di un soggetto diverso, l’unico ad avere titolo, invece, per rivendicare la propria quota di comproprietà disconosciuta dai giudici.
Infine, il ricorrente non considera che l’interpretazione data dal giudice del merito in ordine alle dichiarazioni rese da una parte in sede di interrogatorio formale, al fine di stabilire se le medesime costituiscano o no confessione, ai sensi dell’art. 2730 cod. civ., risolvendosi in un apprezzamento di fatto, diretto alla valutazione di un mezzo di prova, non è soggetta al sindacato di legittimità, se immune da errori logici e giuridici (Cass., Sez. 2, 3/4/2001, n. 4865; Cass., Sez. 3, 10/5/1976, n. 1646; Cass., Sez. 3, 24/3/1972, n. 916), errori che, nella specie, non sono ravvisabili, né sono stati perspicuamente rappresentati nella censura.
11.1 Col secondo motivo di ricorso incidentale, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 934 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché il Tribunale di Oristano, con la sentenza definitiva n. 457/2011 del 7/8/2011, aveva ritenuto inammissibili le domande con cui i convenuti (tra cui il controricorrente) avevano chiesto l’indennizzo o, in subordine, il rimborso delle spese per l’edificazione sopra il terreno conteso delle abitazioni ivi insistenti, pacificamente costituenti migliorie e addizioni del fondo, e aveva, di conseguenza, calcolato i conguagli tenendo conto delle sovrastanti costruzioni, senza considerare che le stesse erano state realizzate a spese esclusive degli originari convenuti e avevano determinato un consistente aumento di valore
dei fondi, che le domande di rimborso non potevano considerarsi nuove, in quanto comprese nel concetto stesso di divisione, e che il valore dei conguagli e dei frutti non avrebbe dovuto tener conto delle costruzioni.
11.2 Il secondo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
L’inammissibilità deriva dal fatto che, come per il motivo che precede, il ricorrente fa riferimento alla sentenza di primo grado e non a quella impugnata, che non viene affatto attinta dalle considerazioni in essa sviluppate.
Al riguardo, occorre preliminarmente richiamare i principi esposti nell’esame dei primi tre motivi di ricorso principale, secondo i quali la costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene, per accessione, ai sensi dell’art. 934 cod. civ., di proprietà comune agli altri comproprietari dell’immobile, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del terreno o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam (Cass., Sez. U, 16/2/2018, n. 3873).
Una volta stabilito che – in virtù dell’operare dell’accessione – la costruzione su suolo comune appartiene a tutti i comproprietari del medesimo in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in assenza di specifiche disposizioni nel disposto di cui all’art. 934 cod. civ., la disciplina giuridica che deve regolare i rapporti tra comproprietario costruttore e comproprietario non costruttore non possa rinvenirsi nell’art. 936 cod. civ., essendo questa una disposizione relativa alle «Opere fatte da un terzo» e non potendo il comproprietario essere qualificato “terzo” rispetto agli altri comproprietari del suolo (cfr. ex plurimis , Cass., Sez. 2, 14/01/2009, n. 743; Cass., Sez. 2, 14/12/1994, n. 10699), ma vada ricavata dalle norme che regolano la comunione, sia quelle che impongono, per le innovazioni – tale essendo la costruzione – la previa delibera ai sensi degli artt. 1120
e 1121 cod. civ., sempre col limite di non pregiudicare il godimento della cosa comune da parte di alcuno dei partecipanti, sia quelle che, in assenza di delibera, consentono ai comproprietari non costruttori di esercitare -nei confronti del comproprietario costruttore – le ordinarie azioni possessorie (cfr., in tema di azione di manutenzione, Cass., Sez. 2, 17/10/2006, n. 22227), l’azione di rivendicazione (Cass., Sez. 2, 28/08/1990, n. 8884) e lo ius tollendi , pretendendo la demolizione dell’opera lesiva del suo diritto attraverso il ricorso alla tutela in forma specifica ex art. 2933 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 2, 13/11/1997, n. 11227), salvo il limite dell’affidamento e della buona fede. (in ordine a tali principi, ex plurimis , v. Cass., Sez. U, 27/04/2017, n. 10413; Cass., Sez. U, 15/11/2007, n. 23726).
Qualora lo ius tollendi non venga (o non possa essere) esercitato, sorge, in favore del comproprietario costruttore, un diritto di credito nei confronti degli altri comunisti, divenuti per accessione comproprietari dell’opera, nasce cioè un rapporto obbligatorio in forza del quale i comproprietari non costruttori sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le spese sopportate per l’edificazione dell’opera, secondo le norme che regolano la comunione e gli altri istituti di volta in volta applicabili (mandato, negotiorum gestio , arricchimento senza causa, etc.), purché, però, il comproprietario costruttore eserciti, ovviamente, la relativa azione.
Non può infatti sostenersi, come affermato nella censura, che la domanda di accertamento di un tale credito sia implicita in quella di scioglimento della comunione, siccome inerente alla definizione dei rapporti di dare-avere tra i condividenti, atteso che, nella divisione ereditaria, così come in quella ordinaria, il giudice non può procedere al regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dal rapporto di comunione senza che, in aggiunta alla domanda
principale, sia stata anche proposta istanza di rendiconto, essendo questa autonoma e distinta rispetto a quella di scioglimento della comunione, da proporre, in caso sia avanzata in via riconvenzionale, nei termini di cui all’art. 167 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 4/6/2019, n. 15182), sicché soltanto quando sia assolto tale presupposto il giudice può autonomamente provvedere alla liquidazione di tale regolamento col sistema dei prelevamenti ovvero con l’incremento della quota, costituendo questa autonoma attività giudiziale (Cass., Sez. 2, 6/10/2021, n. 27086; Cass., Sez. 2, 4/6/2019, n. 15182; Cass., Sez. 2, 23/5/1991, n. 5861; Cass., Sez. 2, 13/11/1984, n. 5720).
Non è dunque la domanda di scioglimento della comunione a includere quella di condanna al pagamento delle somme che risultano dovute, ma l’istanza di rendimento del conto, in quanto il rendiconto, ai sensi degli artt. 263, secondo comma, e 264, terzo comma, cod. proc. civ., è finalizzato proprio all’emissione di titoli di pagamento (Cass., Sez. 6-2, 5/5/2022, n. 14324).
La Corte d’Appello non si è affatto pronunciata, però, sul motivo di gravame afferente alla richiesta di rendiconto respinta dal giudice di prime cure in quanto tardivamente proposta, come ricordato nella sentenza impugnata, con la conseguenza che la censura non può dirsi riferibile alla decisione stessa.
12.1 Col terzo motivo di ricorso incidentale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 336 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché, nonostante l’appellante avesse chiesto la riforma della sentenza di primo grado in punto di spese, la Corte d’Appello aveva compensato quelle del grado, ma non aveva rivisto quelle del giudizio di prime cure, nonostante la sentenza fosse stata radicalmente modificata.
12.2 Il terzo motivo di ricorso incidentale, riguardando il regime delle spese, resta assorbito dall’accoglimento del ricorso principale. 13. In conclusione, dichiarata la fondatezza dei primi tre motivi di ricorso principale, l’assorbimento del quarto e l’infondatezza del quinto, sesto e settimo, nonché l’inammissibilità del primo e secondo motivo di ricorso incidentale e l’assorbimento del terzo, deve accogliersi il ricorso principale e rigettarsi quello incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 9/1/2025.