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Accessione invertita: la prova rigorosa della buona fede

Un privato cittadino ha rivendicato la proprietà di un terreno demaniale su cui aveva parzialmente costruito, invocando l’istituto dell’accessione invertita. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: nell’accessione invertita, la buona fede del costruttore non si presume mai, ma deve essere provata in modo rigoroso. La mancanza di tale prova rende la domanda infondata, a prescindere da altre questioni come la prescrizione del diritto.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Accessione Invertita: la Cassazione Sottolinea l’Onere della Prova della Buona Fede

L’istituto dell’accessione invertita, regolato dall’articolo 938 del Codice Civile, rappresenta un’eccezione al principio generale secondo cui tutto ciò che viene costruito su un suolo appartiene al proprietario del suolo stesso. Questa norma consente a chi costruisce in buona fede una parte del proprio edificio sul terreno del vicino di acquisire la proprietà del suolo occupato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale di questa disciplina: la prova della buona fede, che non è mai presunta e deve essere fornita in modo rigoroso dal costruttore.

I Fatti del Caso: Costruzione su Suolo Demaniale

Un privato cittadino aveva citato in giudizio l’Agenzia del Demanio e il Ministero dell’Economia, chiedendo di essere dichiarato proprietario, tramite accessione invertita, di un’area di proprietà demaniale sulla quale aveva sconfinato con la sua costruzione. Le amministrazioni statali si erano opposte, chiedendo a loro volta, con domanda riconvenzionale, l’accertamento della proprietà pubblica sia del suolo che dell’edificio sovrastante.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano respinto la domanda del costruttore. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto insussistente il requisito fondamentale della buona fede, evidenziando diversi elementi: la domanda era stata proposta oltre trent’anni dopo lo sconfinamento, il terreno in questione era parte del demanio marittimo (e quindi non soggetto a sdemanializzazione tacita) e la sdemanializzazione formale era avvenuta solo nel 2010. La Corte aveva anche sollevato dubbi sulla diligenza del costruttore, considerando la notevole estensione dell’area occupata (220 mq) e la sua vicinanza al mare.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Accessione Invertita

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del cittadino, confermando la decisione dei giudici di merito. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi cardine in materia di accessione invertita, concentrandosi in particolare sulla natura e sulla prova della buona fede.

Le Motivazioni della Sentenza: la Buona Fede non si Presume

Il punto centrale delle motivazioni della Corte è la distinzione netta tra la buona fede richiesta per l’accessione invertita (art. 938 c.c.) e quella in materia di possesso (art. 1147 c.c.). Mentre nel secondo caso la buona fede è presunta, nel caso dell’accessione invertita essa non lo è. Al contrario, l’onere della prova grava interamente sul costruttore che intende avvalersi di questa norma eccezionale.

La Corte ha specificato che la buona fede consiste nel “ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione”. Questa convinzione deve essere provata in modo rigoroso, tenendo conto della diligenza dell’uomo medio. Elementi come la concessione edilizia o un successivo condono non sono sufficienti a dimostrare la buona fede, poiché tali atti sono rilasciati “salvi i diritti dei terzi” e possono derivare da un errore dell’amministrazione stessa.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano adeguatamente motivato l’assenza di buona fede basandosi su una serie di indizi concreti, e la Cassazione ha ritenuto tale valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità.

Il Principio delle Pluralità di Ragioni

Un altro aspetto giuridico rilevante è l’applicazione del principio delle “rationes decidendi” multiple e autonome. La decisione della Corte d’Appello si fondava su due pilastri: l’assenza di buona fede e la prescrizione del diritto. La Cassazione, dopo aver confermato la correttezza della motivazione sull’assenza di buona fede, ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo alla prescrizione per difetto di interesse. Poiché la mancanza di buona fede era già da sola sufficiente a determinare il rigetto della domanda, l’esame dell’altra motivazione diventava superfluo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di accessione invertita. Le conclusioni che se ne possono trarre sono chiare:

1. Onere della Prova: Chi costruisce sconfinando sul terreno altrui e intende avvalersi dell’art. 938 c.c. deve essere pronto a dimostrare, con prove concrete e convincenti, la propria buona fede iniziale.
2. La Buona Fede non è Presunta: Non basta affermare di aver agito in buona fede; è necessario provare di aver usato la diligenza richiesta dalle circostanze per accertare i confini della propria proprietà.
3. Irrilevanza dei Titoli Amministrativi: Permessi di costruire e sanatorie edilizie non costituiscono prova automatica della buona fede ai fini civilistici dell’acquisto della proprietà altrui.

Nell’accessione invertita, la buona fede del costruttore è presunta?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che, a differenza di quanto previsto in materia di possesso (art. 1147 c.c.), nell’accessione invertita (art. 938 c.c.) la buona fede non è presunta ma deve essere rigorosamente provata dal costruttore.

Cosa deve dimostrare il costruttore per provare la sua buona fede?
Il costruttore deve dimostrare di avere avuto il ragionevole convincimento di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione. Questa prova deve basarsi su elementi concreti e sulla diligenza che ci si aspetta dall’uomo medio, e deve persistere fino al completamento della costruzione.

La decisione di un tribunale può basarsi su più motivazioni autonome?
Sì. Se una decisione è sorretta da più ragioni (rationes decidendi), ciascuna di per sé sufficiente a giustificarla, la conferma in Cassazione di anche una sola di queste ragioni rende definitiva la decisione del giudice e inammissibili le censure rivolte alle altre motivazioni per sopravvenuto difetto di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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