Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6918 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6918 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18434-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio de ll’ avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 742/2020 della CORTE DI APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/04/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 28.2.2013 NOME COGNOME evocava in giudizio l’Agenzia del Demanio e il Ministero dell’Economia e delle Finanze innanzi il Tribunale di Firenze, invocando l’acquisizione, ex art. 938 c.c., della proprietà di un’area di proprietà già demaniale, nonché la determinazione del corrispondente importo da versare ai convenuti. Le Amministrazioni resistevano alla domanda chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento della proprietà dello Stato sul suolo controverso, nonché su quanto su di esso edificato.
Con sentenza n. 2666/2015 il Tribunale rigettava la domanda principale ed accoglieva quella riconvenzionale accertando la proprietà dello Stato sul fabbricato insistente sul foglio 37, particella 820, sub 601 del C.F. del Comune di Portoferraio.
Con la sentenza, n. 742/2020, la Corte di Appello di Firenze rigettava tanto il gravame principale, proposto dal Cao, che quello incidentale condizionato proposto dagli enti convenuti (sulla legittimazione dell’avente causa del costruttore).
La Corte distrettuale riteneva, in particolare, insussistente il requisito della buona fede richiesto dall’art. 938 c.c., posto che la domanda di accessione invertita era stata proposta a distanza di oltre trent’anni dallo sconfinamento; che il bene rientrava nel demanio marittimo, con conseguente esclusione della possibilità di configurare una sua sdemanializzazione tacita; che la sdemanializzazione era intervenuta solo nel 2010, con provvedimento formale, con
conseguente impossibilità, per il Cao, di acquisire la proprietà del suolo oggetto di sconfinamento prima di tale momento; che tuttavia, ai fini della prescrizione della domanda di accessione invertita, dovesse farsi riferimento al momento in cui lo sconfinamento era stato realizzato, dal quale doveva essere calcolato il termine trimestrale previsto dalla norma per l’esercizio della pretesa.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME affidandosi a quattro motivi.
Resistono con controricorso l’Agenzia del Demanio ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, proponendo a loro volta ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo, contrastato da controricorso del ricorrente principale.
In prossimità dell’adunanza camerale, il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2935 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente fatto decorrere il termine per l’esercizio della domanda di accessione invertita, previsto dall’art. 938 c.c., dalla realizzazione dello sconfinamento, e non invece dal successivo momento in cui, per effetto della sdemanializzazione del suolo occupato, l’azione poteva, in concreto, essere esercitata.
1.2 Con il secondo motivo, il Cao si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la buona fede, richiesta per l’esercizio della domanda di accessione invertita, valorizzando elementi non idonei a fondare una valida presunzione.
1.3 Con il terzo motivo, il ricorrente principale denunzia la perplessità ed apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché il giudice di merito avrebbe escluso, sulla scorta di una motivazione sostanzialmente omessa, la sussistenza della buona fede dell’occupante richiesta dall’art. 938 c.c.
1.4 Con il quarto ed ultimo motivo, infine, si contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente governato le spese.
2 Per ragioni di priorità logica, meritano di essere scrutinati innanzitutto il secondo e terzo motivo del ricorso principale, suscettibili di esame congiunto, in quanto relativi entrambi al requisito della buona fede nell’accessione ex art. 938 cc.
Tali motivi sono infondati.
L’art. 938 c.c., diversamente a quanto previsto, in materia di possesso, dall’art. 1147 c.c., non introduce una presunzione di buona fede, ma – al contrario- richiede che sia offerta, da parte del costruttore, la prova della sua sussistenza. Va ribadito, in argomento, il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui la buona fede rilevante ai fini dell’accessione invertita di cui all’art. 938 c.c. consiste nel ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione. Essa, in assenza di una previsione analoga a quella dettata in materia di possesso dall’art. 1147 c.c., non è presunta, ma deve essere provata dal costruttore; ai fini probatori, è necessario avere riguardo alla ragionevolezza dell’uomo medio e al convincimento che questi poteva legittimamente formarsi circa l’esecuzione della costruzione sul proprio suolo, in base alle cognizioni possedute effettivamente o che egli avrebbe potuto acquisire con un comportamento diligente, sicché la
buona fede deve escludersi qualora, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, il costruttore avrebbe dovuto fin dall’inizio anche solo dubitare della legittimità dell’occupazione del suolo del vicino (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 345 del 10/01/2011, Rv. 615696; conf. Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 11845 del 06/05/2021, Rv. 661123; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11836 del 29/11/1993, Rv. 484545; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4366 del 12/05/1987, Rv. 453105; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1917 del 04/04/1981, Rv. 412603; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3303 del 21/03/2000, Rv. 534918; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4774 del 04/03/2005, Rv. 579758, secondo la quale il costruttore deve anche dimostrare la sussistenza della buona fede fino al completamento della costruzione, non operando la norma citata alcuna distinzione fra l’inizio e il termine delle opere).
Da ciò deriva che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente nei motivi in esame, il tema centrale non concerne la correttezza del ragionamento presuntivo utilizzato dal giudice di merito per escludere, nel caso di specie, la sussistenza del requisito della buona fede, e dunque la violazione delle norme che disciplinano il ricorso e l’utilizzazione dell’istituto della presunzione, bensì la valutazione circa la sussistenza, o l’assenza, della prova della buona fede, che il costruttore, per poter utilmente invocare la disposizione di cui all’art. 938 c.c., deve dimostrare in modo rigoroso, trattandosi di ‘… elemento della complessa fattispecie dell’accessione invertita che, in via eccezionale, deroga al principio quod inaedificatur solo cedit” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4427 del 07/07/1986, Rv. 447185).
Secondo il consolidato e risalente insegnamento di questa Corte, la buona fede richiesta dalla norma in esame ‘… consiste nell’ignoranza di edificare in parte sul suolo del vicino e nell’erronea convinzione di
edificare sul proprio suolo. L’ammettere o escludere l’esistenza di siffatta convinzione del costruttore, e quindi della sua buona fede, costituisce un compito riservato al giudice di merito ed è quindi insindacabile in Cassazione’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 685 del 21/03/1963, Rv. 260917; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1793 del 09/07/1962, Rv. 252845; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 891 del 06/04/1963, Rv. 261235; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3093 del 21/04/1988, Rv. 458603; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 33 del 12/01/1962, Rv. 250057, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 539 del 03/03/1971, Rv. 350227 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4631 del 08/08/1979, Rv. 401164, secondo le quali nella valutazione di fatto demandata al giudice di merito non è soltanto compreso l’accertamento della buona fede, ma anche l’apprezzamento dei contrapposti interessi del costruttore, da un lato, e del proprietario del suolo occupato, dall’altro lato).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto che ‘… debba escludersi una buona fede iniziale del costruttore …’ valorizzando a tal fine plurimi elementi, e precisamente (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata):
-il fatto che l’edificio, realizzato negli anni sessanta, fosse stato ampliato negli anni ottanta; ad avviso del giudice di seconde cure, da tale circostanza ‘… può già desumersi un elemento di sospetto, dal momento che non si comprende perché l’originario costruttore non avesse utilizzato sin dall’origine l’intera superficie a sua disposizione …’ ;
-il luogo ove lo sconfinamento è avvenuto, contraddistinto dalla vicinanza rispetto al mare;
-il fatto che l’unico elemento addotto dal Cao ai fini della prova della buona fede consistesse nel rilievo che il Comune aveva autorizzato
l’ampliamento, rilasciando un condono edilizio per lo stesso; tale circostanza, secondo la Corte distrettuale, ‘… non è affatto significativa, perché il rilascio del condono alla costruzione in ampliamento non prova affatto la buona fede del costruttore, ma esclusivamente l’errore dell’ente autorizzante … che ha rilasciato la sanatoria ignorando che la costruzione ricadesse su un bene demaniale ‘ ;
-ed infine, la notevole estensione dell’area oggetto di sconfinamento, pari a 220 metri quadrati.
Sulla base di tale articolata motivazione, la Corte distrettuale ha ritenuto non raggiunta la prova del requisito della buona fede ed ha quindi rigettato la domanda di accessione invertita.
Il ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, valorizzando in particolare la circostanza che l’edificio fosse stato realizzato in base a regolare concessione edilizia (cfr. pag. 19 del ricorso) e successivamente ampliato con intervento oggetto di sanatoria rilasciata dal Comune di Portoferraio.
Tale ultima circostanza, su cui il ricorrente pone particolarmente l’accento, non è tuttavia decisiva, posto che, come è noto, legittimato a presentare domanda di sanatoria di un abuso edilizio non è soltanto il proprietario del fondo sul quale l’edificio insiste e la concessione in sanatoria fa sempre ‘ salvi ed impregiudicati i diritti dei terzi ‘.
In ogni caso, il ricorrente non considera che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed
alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘ L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ‘ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812). Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
3 Per effetto del rigetto del secondo e terzo motivo del ricorso principale, la prima censura va dichiarata inammissibile per difetto di interesse all’impugnazione.
Secondo l’orientamento costante di questa Corte, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158; nonché Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018, Rv. 648023 e Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024, Rv. 670188).
Nel caso in esame, come si è visto, la statuizione di rigetto della domanda di accessione invertita adottata dalla Corte di Appello, si fonda su due autonome rationes decidendi , ciascuna in grado di sostenere la decisione, rappresentate, da un lato, dall’assenza della prova del requisito della buona fede del costruttore, e, dall’altro lato, dalla ravvisata prescrizione del diritto di cui all’art. 938 c.c.
Ed allora, se anche si volesse accedere alla tesi del ricorrente, secondo cui, essendo stata l’area sdemanializzata con provvedimento formale del 22.4.2010, il termine di prescrizione della domanda di accessione invertita, avrebbe dovuto essere calcolato a partire da tale momento (e non invece dalla precedente data in cui l’occupazione era stata posta in essere, poiché in quel tempo, stante l’incontroversa natura demaniale del suolo, l’azione non avrebbe potuto essere proposta), il rigetto del secondo e terzo motivo rende definitivo l’accertamento dell’assenza del requisito della buona fede, che, come
già detto, costituisce elemento costitutivo della fattispecie prevista dall’art. 938 c.c.
La stabilità di una delle due rationes sulle quali la decisione del giudice di merito è fondata implica quindi l’inammissibilità della censura con la quale si attinge la seconda ratio .
4 Il quarto ed ultimo motivo, con il quale il ricorrente principale attinge il governo delle spese operato dalla Corte territoriale, è infondato.
Quest’ultima, infatti, ha rigettato il gravame principale, confermando l’accoglimento della domanda delle Amministrazioni, mentre l’appello incidentale (pure rigettato) era solo condizionato. E quindi ha regolato le spese tenendo conto dell’esito globale della lite, che ha visto soccombere il Cao. La decisione è giuridicamente corretta, dunque.
5 In conclusione, il ricorso principale va rigettato, con logico assorbimento dell’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, (con il quale l’Agenzia del Demanio ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze si dolgono del rigetto dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva dell’avente causa del costruttore).
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 31 gennaio 2025.