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Accessione invertita: la buona fede va provata

Un costruttore edifica parzialmente sul terreno del vicino, invocando l’acquisto della proprietà per accessione invertita. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9694/2024, ha respinto il ricorso, stabilendo che la buona fede del costruttore non può essere presunta, ma deve essere rigorosamente provata. In assenza di chiari segni di confine, è richiesto un onere di diligenza maggiore. La Corte ha inoltre confermato l’inammissibilità delle censure relative alla valutazione delle prove sull’usucapione e sulla servitù di passaggio.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accessione Invertita: La Buona Fede del Costruttore Deve Essere Provata

L’istituto dell’accessione invertita, disciplinato dall’articolo 938 del Codice Civile, rappresenta un’eccezione significativa nel diritto immobiliare, permettendo a chi occupa in buona fede una porzione del fondo altrui durante una costruzione di diventarne proprietario. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 9694/2024) ribadisce un principio fondamentale: la buona fede non si presume, ma deve essere dimostrata concretamente dal costruttore. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un’azione legale intentata da un proprietario terriero contro i suoi vicini, accusandoli di aver occupato illegittimamente una parte del suo terreno e di avervi realizzato dei manufatti. I vicini si difendevano sostenendo di aver acquisito la proprietà di quella porzione di terreno per usucapione o, in subordine, chiedevano che venisse loro attribuita tramite il meccanismo dell’accessione invertita.

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente le richieste di entrambe le parti: ordinava la restituzione dell’area occupata ma, al contempo, costituiva una servitù coattiva di passaggio a favore dei convenuti, liquidando un’indennità per il proprietario. La Corte d’Appello, in parziale riforma, modificava l’estensione dell’area da restituire e aumentava l’indennità per la servitù, rigettando però le domande di usucapione e di accessione invertita. Contro questa decisione, i costruttori proponevano ricorso in Cassazione.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno esaminato e respinto tutti gli otto motivi di ricorso, che vertevano principalmente sulla presunta errata valutazione delle prove e sull’errata applicazione delle norme in materia di usucapione e accessione invertita.

La Corte ha sottolineato che la valutazione delle prove testimoniali e documentali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non può essere oggetto di una nuova analisi in sede di Cassazione, a meno che la motivazione non sia meramente apparente o manifestamente illogica, circostanze non riscontrate nel caso di specie.

Le Motivazioni: La Prova della Buona Fede nell’Accessione Invertita

Il cuore della decisione risiede nell’analisi dei requisiti per l’accessione invertita. La Cassazione ha ribadito che la buona fede richiesta dall’art. 938 c.c. non è una mera ignoranza di ledere il diritto altrui, ma consiste nel “ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo”.

A differenza di quanto previsto in materia di possesso (art. 1147 c.c.), questa buona fede non è presunta, ma deve essere rigorosamente provata dal costruttore. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato che “proprio l’assenza di segni visibili del confine imponeva di osservare un particolare onere di diligenza preventiva, invece non assolto”. In altre parole, quando i confini non sono chiari, il costruttore ha il dovere di attivarsi per verificarli con precisione prima di iniziare i lavori. Non averlo fatto esclude la possibilità di invocare la buona fede.

Analogamente, la Corte ha respinto le censure relative all’usucapione della servitù di passaggio. Per l’acquisto di una servitù per usucapione è necessario il requisito dell'”apparenza”, ovvero la presenza di opere visibili e permanenti (un “quid pluris”) che dimostrino in modo inequivocabile l’esistenza di un peso sul fondo servente. La semplice esistenza di una stradina o di un percorso non è, di per sé, sufficiente a soddisfare tale requisito.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

L’ordinanza in commento offre importanti spunti pratici per chiunque si appresti a costruire in prossimità di un confine. La decisione rafforza il principio secondo cui la tutela della proprietà è la regola, e l’accessione invertita è una stretta eccezione. Le implicazioni sono chiare:

1. Onere di verifica: Prima di iniziare qualsiasi costruzione, è fondamentale verificare con esattezza i confini della propria proprietà, specialmente se non sono materialmente visibili. L’affidamento a mappe catastali o a convinzioni personali non è sufficiente.
2. La buona fede va provata: Il costruttore che intende avvalersi dell’accessione invertita deve essere in grado di dimostrare attivamente di aver agito con la ragionevole convinzione di essere nel proprio diritto, avendo adottato tutte le cautele del caso.
3. Cautela nelle servitù: Non si può fare affidamento sulla semplice tolleranza del vicino o sull’uso di un passaggio per acquisire un diritto di servitù. È necessaria la presenza di opere stabili e visibili che ne manifestino l’esercizio come vero e proprio diritto reale.

Cosa si intende per buona fede nell’accessione invertita?
Non è la semplice ignoranza di costruire su suolo altrui, ma il ragionevole e provato convincimento del costruttore di edificare sul proprio terreno. Secondo la Corte, questa buona fede non è presunta e deve essere dimostrata da chi la invoca.

Perché la mancanza di confini visibili è rilevante?
La Corte ha stabilito che l’assenza di segni visibili del confine impone al costruttore un dovere di diligenza preventiva maggiore. Se non si attiva per verificare con precisione i confini prima di costruire, non può successivamente sostenere di aver agito in buona fede.

La semplice esistenza di una strada è sufficiente per l’usucapione di una servitù di passaggio?
No. La Corte ha ribadito che per l’usucapione di una servitù è necessario il requisito dell'”apparenza”, che richiede opere visibili e permanenti (un “quid pluris”) specificamente destinate all’esercizio della servitù, che dimostrino in modo non equivoco il peso sul fondo vicino. Una semplice stradina non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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