Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34617 Anno 2019
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34617 Anno 2019
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2019
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24339/2012 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso studio dello stesso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– intimato – avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale, sezione di Milano, n. 1353/2012 depositata il 21 marzo 2012.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 novembre 2019 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito l’Avv. dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale.
FATTI DI CAUSA
1. L’esattore delle imposte dirette notificò ad NOME COGNOME una cartella esattoriale con l’iscrizione a ruolo delle imposte (IRPEF e ILOR) dovute in base alla dichiarazione integrativa presentata per i periodi d’imposta 1977, 1978 e 1979 ai sensi dell’art. 16 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516.
2. La cartella esattoriale fu impugnata davanti alla Commissione tributaria di primo grado che accolse il ricorso della contribuente.
3. Avverso tale pronuncia, l’Ufficio propose appello alla Commissione tributaria di secondo grado di Milano che lo accolse con la motivazione che «la sentenza della Corte Costituzionale n. 175 del 17.6.1986 – che aveva dichiarato la illegittimità degli avvisi d accertamento notificati nel periodo 14.7.1982 e 15.3.1983 – non può incidere sulla irrevocabilità, prevista dall’art. 32 della legg condono, della istanza di definizione automatica né sul divieto della definizione automatica portato dall’art. 19 nell’ipotesi in cui fosse stat notificato un avviso di accertamento» (così la sentenza impugnata).
4. Avverso tale decisione della Commissione tributaria di secondo grado di Milano, la contribuente propose ricorso alla Commissione tributaria centrale, sezione di Milano anche: «CTC»), (hinc «sostenendo la correttezza della decisione di primo grado che avendo rilevato la illegittimità degli accertamenti in dipendenza della sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 17.6.1986 , è ricors[a all’applicazione dell’istituto della conversione dell’atto nullo previs dall’art. 1424 c.c. per affermare che la dichiarazione integrativa con effetti automatici deve ritenersi valida e da liquidarsi in base al reddit dichiarato a norma dell’art. 19 della legge 516/82» (così la sentenza impugnata).
5. La Commissione tributaria centrale, sezione di Milano, rigettò il ricorso «per due ordini di motivi».
Il primo era che «la sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1986 non determina automaticamente l’annullamento di tutti gli avvisi di accertamento notificati successivamente al 14.7.1982, bensì soltanto l’invalidità degli stessi nei rapporti tributari (originati condono del 1982) e nei relativi giudizi ancora “pendenti” : vale a dire, quelli in cui il contribuente – cui sia stato notificato avvis accertamento in data posteriore al 14 luglio 1982 – abbia presentato dichiarazione integrativa ai sensi dell’art.16 del D.L. 10 luglio 1982, n 429 e ciononostante abbia tempestivamente impugnato
l’avviso stesso per il motivo di illegittimità della legge di condono, po riconosciuto fondato dalla Corte costituzionale; diversamente operando, come nel caso di specie, – in ragione, sia dell’ambito di efficacia proprio della dichiarazione di illegittimità costituzionale una sorta di invalidità “sopravvenuta” (alla pronuncia di invalidità), si perché la dichiarazione di illegittimità costituzionale non attiene all norme regolatrici della dichiarazione integrativa, sia perché non è neppure ipotizzabile un vizio della dichiarazione (nella specie errore essenziale, avendo il contribuente sostenuto che la sua manifestazione di volontà era stata viziata dall’erroneo presupposto dell’esistenza di un valido atto di accertamento ), determinatosi successivamente alla formazione dell’atto».
Il secondo ordine di motivi era che «alla dichiarazione integrativa presentata non può applicarsi l’istituto della conversione dell’atto nullo, previsto dall’art. 1424 del c.c. sia perché tale dichiarazione non è stata inficiata dalla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 16 del n. 429/82 sia perché essa è irrevocabile e quindi non convertibile».
6. Avverso tale decisione della Commissione tributaria centrale, sezione di Milano, depositata in segreteria il 21 marzo 2012 e non notificata, ricorre per cassazione NOME COGNOME che affida il propri ricorso, notificato il 24 ottobre 2012, a tre motivi.
7. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 27/28 novembre 2012.
8. NOME COGNOME ha depositato una memoria.
9. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 20 novembre 2019, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, poiché privo di legittimazione passiva in quanto il giudizio di legittimit è stato introdotto successivamente al 1° gennaio 2001, giorno in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, alla quale, per i giudizi introdotti dopo detta data, spetta in via esclusiva l legittimazione ad causam e ad processum (per tutte, Cass., Sez. U., 14/02/2006, n. 3118).
2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 111, sesto comma, della Costituzione, dell’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 36, comma 2, n. 4) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, perché la sentenza impugnata, in contrasto con tali disposizioni, «non contiene né lo svolgimento del processo né l’esposizione dei fatti rilevanti la causa, di guisa che le scarne fra integranti la motivazione risultano totalmente incomprensibili e tali da rendere impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo».
3. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., dell’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 36, comma 2, n. 4) del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTC, in contrasto con tali disposizioni, omesso di motivare la sentenza impugnata o per averla motivata «solo per relationem», avendo «rigettato il gravame sulla base di un generico rinvio all’operato svolto dai giudici di secondo grado di Milano di cui si è limitata affermare l’esattezza».
4. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della legge n. 516 del 1982 dell’art. 16 (recte: del d.l. n. n. 429 del 1982, convertito, con modificazioni, da tale legge) per avere la CTR, in contrasto con tale norma, quale risulta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1986 – che ne dichiarò l’illegittimità costituzionale «nella parte in cui consente la notifica accertamenti in rettifica o d’ufficio sino alla data di presentazione dell dichiarazione integrativa , anziché sino alla data di entrata in vigore de decreto legge n. 429 del 1982» – negato sia l’invalidità degli avvisi di accertamento notificati alla stessa ricorrente il 22 ottobre 1982, ancorché non impugnati, sia le conseguenti nullità della dichiarazione integrativa presentata ai sensi dell’art. 16 del d.l. n. 429 del 1982 sull base di tali accertamenti e delle iscrizioni a ruolo delle imposte dovute in base alla stessa dichiarazione, sia, infine, la conversione di quest’ultima dichiarazione in dichiarazione ai sensi dell’art. 19 del d.l. n. 429 del 1982.
5. I primi due motivi di ricorso – che, concernendo la violazione delle medesime norme di legge, ancorché sotto due diversi profili, possono essere esaminati congiuntamente – non sono fondati.
L’art. 36, comma 2, n. 2) e n. 4) del d.lgs. n. 546 del 1992 – la cui formulazione è quasi identica a quella dell’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – stabilisce che la sentenza della commissione tributaria deve contenere, tra l’altro, «la concisa esposizione dello svolgimento del processo» (n. 2) e «la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto» (n. 4). L’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. – appli al processo tributario in forza del generale rinvio alle norme del codice di procedura civile e, quindi, anche alle sue norme di attuazione, per quanto «non disposto» da quelle del d.lgs. n. 546 del 1992 e se «compatibili» con esse, operato dall’art. 1, comma 2, dello stesso
decreto (Cass., 12/03/2002, n. 3547) – statuisce, tra l’altro, che «utti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».
Tanto premesso, la sentenza impegnata non presenta i denunciati vizi motivazionali.
Va altresì rammentato che, secondo il costante orientamento di questa Corte – condiviso dal collegio -, in forza di quanto stabilito dall disposizioni appena richiamate, la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendono impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (Cass., n. 3547 del 2002, 15/01/2016, n. 574, 18/04/2017, n. 9745). Questa Corte ha inoltre specificamente precisato che il dovere di motivazione è adempiuto dal giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata, di cui condivida le argomentazioni logico-giuridiche, purché egli dia conto di avere valutato criticamente sia il provvedimento impugnato sia le censure proposte (Cass., Sez. U., 08/06/1998, n. 5612, Cass., n. 3547 del 2002, 11/06/2014, n. 13148, n. 574 del 2016). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sotto il primo profilo – oggetto, fondamentalmente, del primo motivo di ricorso – va rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, essa contiene sia la concisa esposizione dello svolgimento del processo (dando conto, in particolare: del ricorso introduttivo della contribuente e del suo oggetto; della decisione della Commissione tributaria di primo grado su tale ricorso; della decisione della Commissione tributaria di secondo grado sull’appello dell’ufficio e
Sotto il secondo profilo – oggetto, fondamentalmente, del secondo motivo di ricorso – è sufficiente rilevare che, come risulta dallo stesso punto 5 dei Fatti di causa, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la sentenza impugnata non è affatto motivata mediante rinvio ai motivi della decisione della Commissione tributaria di secondo grado ma costituisce espressione di un processo deliberativo del tutto autonomo.
delle ragioni della stessa; dei motivi del ricorso della contribuente alla commissione tributaria centrale) sia la succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa (indicando, in particolare: che la contribuente aveva presentato la dichiarazione integrativa per i periodi d’imposta 1977, 1978 e 1979 ai sensi dell’art. 16 del d.l. n. 429 del 1982; che l’esattore delle imposte dirette le aveva notificato una cartella esattoriale con l’iscrizione a ruolo delle imposte dovute in base a tale dichiarazione; sia pure implicitamente, che alla contribuente erano stati notificati degli avvisi di accertamento nel periodo compreso tra il 15 luglio 1982 e il 15 marzo 1983 e che la stessa non li aveva impugnati). In ogni caso, risultano agevolmente intellegibili sia il thema decidendum (gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1986 sulle dichiarazioni integrative presentate ai sensi dell’art. 16 del d.l. n. 429 del 1982 sulla base di accertamenti notificati nel periodo compreso tra il 15 luglio 1982 e il 15 marzo 1983 e sulle iscrizioni a ruolo delle imposte dovute in base a tali dichiarazioni) sia le ragioni che stanno a fondamento del dispositivo di rigetto del ricorso della contribuente (l’incontestabilità del rapporto tributario di condono per i motivi che sono stati testualmente e integralmente riportati al punto 5 dei Fatti di causa). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.
Questa Corte ha infatti più volte ribadito – affermando un principio che è ormai consolidato e che è condiviso da questo collegio – che «a sentenza della Corte Costituzionale n. 175 del 1986 – con cui è stata
dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 d Cost., dell’art. 16 del D.L. 10 luglio 1982 n. 429 , nella parte in consente la notifica di accertamenti in rettifica o d’ufficio sino alla da di presentazione della dichiarazione integrativa, anziché fino alla data di entrata in vigore del D.L. n. 429 del 1982 (14 luglio 1982) – non determina automaticamente, insieme all’annullamento della norma dichiarata incostituzionale, anche quello di tutti gli avvisi accertamento notificati successivamente al 14 luglio 1982, bensì soltanto l’invalidità degli stessi nei rapporti tributari (originat condono del 1982) e nei relativi giudizi ancora “pendenti” nel giorno successivo alla data della pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità: vale a dire, quelli in cui il contribuente – cui sia s notificato avviso di accertamento in data posteriore al 14 luglio 1982 abbia presentato dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 16 del decreto legge del 1982 e, ciononostante, abbia tempestivamente impugnato l’avviso stesso per il motivo di illegittimità della legge di condono, poi riconosciuto fondato dalla Corte costituzionale; altrimenti operando – in ragione, sia dell’ambito di efficacia proprio della dichiarazione dì illegittimità costituzionale (che ha ad oggetto norma di legge o di atto avente forza di legge, e non già provvedimenti o atti amministrativi), sia della natura irrevocabile della dichiarazione integrativa – l’incontestabilità del rapporto tributario di condono, d considerarsi “definito” sulla base del congiunto effetto di “definitivit dell’accertamento, conseguente alla sua omessa impugnazione, e di “irrevocabilità” della dichiarazione stessa sancita dalla legge (art. 32, comma primo, D.L. n. 429/82). Né può predicarsi, relativamente a questa manifestazione di volontà “definitiva” (salve le ipotesi previste dalla legge di condono), una sorta di invalidità “sopravvenuta” (alla pronuncia di incostituzionalità), sia perché la dichiarazione di illegittimità costituzionale non attiene alle norme regolatrici dell dichiarazione integrativa, sia perché non è neppure ipotizzabile un vizio Corte di Cassazione – copia non ufficiale
della dichiarazione (nella specie errore essenziale, avendo il contribuente sostenuto che la sua manifestazione di volontà era stata viziata dall’erroneo presupposto dell’esistenza di un valido atto di accertamento, di cui occorreva limitare con la presentazione della dichiarazione integrativa gli effetti pregiudizievoli) determinatosi successivamente alla formazione dell’atto» (ex plurimis, Cass., 02/06/2000, n. 7339, 28/10/2005, n. 21054, 04/11/2005, n. 21443, 16/04/2008, n. 9955, 22/01/2014, n. 1273).
Nella fattispecie concreta, poiché è pacifico che la contribuente non impugnò gli avvisi di accertamento e presentò la dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 16 del d.l. n. 429 del 1982 sulla base degli stessi, correttamente, in virtù del principio ora esposto, la CTC ha reputato l’incontestabilità del rapporto tributario di condono sorto dalla predetta, valida, dichiarazione, e la conseguente legittimità dell’iscrizione a ruolo delle imposte dovute in base alla stessa. Così come correttamente ha ritenuto che la validità della medesima dichiarazione escludesse, in radice, la stessa ipotizzabilità di una sua conversione.
7. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91, primo comma, cod. proc. civ., e sono liquidate come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 7.300,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 20/11/2019.
-gliére astensore