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Accantonamento crediti tributari: è sempre obbligatorio

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di accantonamento dei crediti tributari contestati in un concordato preventivo è inderogabile. La richiesta di una definizione agevolata da parte del debitore non implica una rinuncia al reclamo da parte dell’Amministrazione Finanziaria, né fa venir meno la necessità di mettere da parte le somme necessarie a garantire il pagamento di tali crediti. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva rigettato l’opposizione dell’ente fiscale, ritenendo erroneamente che la procedura di definizione agevolata avesse superato le censure mosse. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Accantonamento Crediti Tributari: Un Obbligo Inderogabile nel Concordato

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nelle procedure di concordato preventivo: l’obbligo di accantonamento dei crediti tributari contestati non può essere eluso, neanche quando l’impresa debitrice avvia una procedura di definizione agevolata per le liti fiscali pendenti. Questa decisione chiarisce il rapporto tra le procedure concorsuali e quelle tributarie, sottolineando la necessità di garantire sempre la posizione dell’Erario.

I Fatti di Causa

Una società in concordato preventivo si è vista opporre dall’Amministrazione Finanziaria la richiesta di omologa del piano. I motivi dell’opposizione erano solidi: l’omessa indicazione di alcuni crediti tributari derivanti da avvisi di accertamento, la mancata trasmissione della domanda di transazione fiscale e, soprattutto, l’assenza di un adeguato accantonamento per soddisfare i crediti fiscali ancora in contestazione.

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato l’opposizione. Successivamente, anche la Corte d’Appello respingeva il reclamo dell’ente fiscale. La corte territoriale riteneva che l’Amministrazione Finanziaria avesse sostanzialmente rinunciato al reclamo, poiché nel frattempo la società aveva presentato domanda di definizione agevolata per le pendenze tributarie. Secondo i giudici d’appello, questa mossa avrebbe reso superfluo l’accantonamento, ritenendo non più dovuto il fondo rischi previsto dalla legge fallimentare.

L’opposizione e l’obbligo di accantonamento crediti tributari

L’Amministrazione Finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali. In sintesi, ha lamentato:
1. Omessa pronuncia: La Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata sui motivi specifici del reclamo, mai rinunciati, ma si sarebbe limitata a dichiarare una sorta di cessazione della materia del contendere basata sulla definizione agevolata.
2. Violazione di legge: Errata applicazione delle norme sulla transazione fiscale nell’ambito della procedura concordataria.
3. Nullità per violazione di legge: Violazione delle norme che impongono l’accantonamento obbligatorio per i crediti contestati (art. 90, d.P.R. 602/1973) e l’errata ripartizione delle competenze tra giudice ordinario e giudice tributario.

L’ente fiscale ha sostenuto che la definizione agevolata non comporta automaticamente la cessazione del contendere nel giudizio di omologa, ma al massimo una ridefinizione dell’importo del credito. La cessazione vera e propria si avrebbe solo con l’effettivo inserimento del credito, come ricalcolato, nel piano concordatario e la predisposizione delle necessarie garanzie.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha accolto il primo e il terzo motivo del ricorso, assorbendo il secondo. I giudici supremi hanno chiarito che la Corte d’Appello ha commesso un errore fondamentale. La richiesta di definizione agevolata non equivale a una rinuncia al reclamo da parte dell’Amministrazione Finanziaria. La rinuncia avrebbe dovuto essere subordinata all’effettivo pagamento degli importi dovuti per la definizione delle liti o, quantomeno, a una modifica del piano concordatario che includesse tali somme.

La Cassazione ha ribadito che la cessazione della materia del contendere può verificarsi solo con il formale e definitivo inserimento del credito nel piano, in modo da garantirne il pieno soddisfacimento. Di conseguenza, la Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare nel merito i motivi del reclamo, valutando come la definizione delle liti fiscali incidesse sulla struttura del piano e sui crediti da accertare, senza considerare implicitamente rinunciata la censura.

Il punto centrale della decisione riguarda l’articolo 90 del d.P.R. 602/1973. Questa norma, in presenza di crediti tributari contestati, impone all’imprenditore in concordato di effettuare l’accantonamento. Al tribunale è rimesso solo il potere di determinarne le modalità, non di escluderlo. La Cassazione, richiamando una propria pronuncia a Sezioni Unite, ha definito questa norma un “punto di congiunzione regolativa delle due giurisdizioni” (ordinaria e tributaria), un meccanismo essenziale per evitare conflitti di giudicato e vuoti di tutela. L’accantonamento dei crediti in controversia è un obbligo, sia che la controversia sia già pendente, sia che insorga a seguito di atti impositivi. La sentenza impugnata non ha correttamente applicato questo principio fondamentale.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La Corte ha cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione. Quest’ultima dovrà riesaminare il reclamo seguendo i principi enunciati: l’accantonamento per i crediti tributari contestati è obbligatorio, e la proposizione di una definizione agevolata non esonera né il debitore dal prevederlo, né il giudice dal verificarlo. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: rafforza la tutela dei crediti erariali nelle procedure concorsuali e chiarisce che le procedure di definizione agevolata, pur essendo uno strumento utile, non possono essere usate per aggirare gli obblighi di garanzia previsti dalla legge fallimentare. Le imprese che accedono al concordato devono quindi pianificare attentamente la gestione dei debiti fiscali contestati, sapendo che l’accantonamento delle somme relative è un passaggio non negoziabile per l’omologa del piano.

La richiesta di definizione agevolata dei debiti fiscali elimina l’obbligo di accantonamento nel concordato preventivo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la proposizione di una domanda di definizione agevolata non fa venir meno l’obbligo per l’impresa di accantonare le somme necessarie a coprire i crediti tributari contestati, come imposto dall’art. 90 del d.P.R. n. 602/1973.

Chi decide le modalità di accantonamento per i crediti tributari contestati?
L’obbligo di effettuare l’accantonamento spetta all’imprenditore che presenta il piano di concordato. Al tribunale ordinario è rimesso esclusivamente il potere di determinare le relative modalità operative, ma non può escludere l’obbligo stesso.

La presentazione di una domanda di definizione agevolata equivale a una rinuncia al reclamo da parte dell’Amministrazione Finanziaria?
No. Secondo la Corte, la richiesta di definizione agevolata non comporta una rinuncia implicita al reclamo da parte dell’ente fiscale. La cessazione della materia del contendere si verifica solo quando il credito, eventualmente rideterminato, viene formalmente e definitivamente inserito nel piano concordatario con le relative garanzie di pagamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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