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Abuso permessi sindacali: licenziamento legittimo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20979/2024, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un rappresentante sindacale. Il lavoratore aveva utilizzato i permessi retribuiti per finalità diverse da quelle istituzionali, configurando un grave abuso dei permessi sindacali. La Corte ha stabilito che tale condotta non è una semplice assenza ingiustificata, ma una violazione più grave che lede il rapporto di fiducia, giustificando la sanzione espulsiva. Il ricorso del lavoratore è stato respinto, consolidando l’orientamento secondo cui il datore di lavoro può verificare la corretta fruizione dei permessi.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Abuso Permessi Sindacali: Quando Diventa Giusta Causa di Licenziamento

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 20979/2024 affronta un tema delicato nel diritto del lavoro: l’abuso permessi sindacali. Questa pronuncia chiarisce che l’utilizzo di tali permessi per scopi personali, estranei all’attività sindacale, non costituisce una semplice assenza ingiustificata, ma una grave violazione del rapporto fiduciario che può legittimare il licenziamento per giusta causa. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I fatti di causa: l’indagine e la contestazione

Un lavoratore, rappresentante sindacale, veniva licenziato da una società tessile dopo che quest’ultima aveva accertato, tramite un’agenzia investigativa, l’uso improprio dei permessi sindacali in due giornate specifiche. Invece di svolgere attività sindacale, il lavoratore si era dedicato a faccende personali.

La società avviava quindi un procedimento disciplinare che si concludeva con il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore impugnava il provvedimento, ma sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello confermavano la legittimità del recesso datoriale. La questione giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la decisione dei giudici di merito. I motivi del ricorso si concentravano su tre punti principali: l’errata inversione dell’onere della prova, la violazione delle norme sulla contestazione disciplinare (mancata indicazione delle norme violate e tardività) e la sproporzione della sanzione.

La Cassazione ha smontato ogni censura, ritenendo il primo motivo inammissibile in quanto l’accertamento sull’uso effettivo dei permessi è una valutazione di fatto (quaestio facti), non sindacabile in sede di legittimità. Ha inoltre chiarito che, una volta provato dal datore di lavoro un quadro indiziario solido sull’abuso, spetta al lavoratore fornire elementi per smentirlo.

Analisi sull’abuso permessi sindacali e la proporzionalità della sanzione

La Corte ha affrontato in modo approfondito il tema della gravità della condotta. Ha specificato che l’abuso permessi sindacali non è assimilabile a una mera assenza ingiustificata, che secondo il contratto collettivo di riferimento avrebbe comportato una sanzione conservativa.

La condotta del lavoratore è stata qualificata come un vero e proprio abuso del diritto, connotato da un quid pluris di gravità. Questo ‘qualcosa in più’ risiede proprio nella strumentalizzazione di una tutela (il permesso sindacale) concessa per finalità collettive e istituzionali, per perseguire invece interessi personali. Tale comportamento lede profondamente l’affidamento che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente, specialmente quando questi ricopre un ruolo di rappresentanza.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati. In primo luogo, viene ribadito che la contestazione disciplinare non richiede l’indicazione specifica delle norme di legge o contrattuali violate, essendo sufficiente una descrizione dettagliata dei fatti addebitati per consentire al lavoratore un’adeguata difesa.

In secondo luogo, la valutazione sulla tempestività della contestazione è un giudizio di merito che, se motivato adeguatamente come nel caso di specie, non è censurabile in Cassazione. La Corte d’Appello aveva infatti evidenziato la quasi immediatezza tra la ricezione dei risultati dell’indagine e l’avvio del procedimento.

Infine, e questo è il cuore della decisione, la Corte ha sottolineato che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito. L’abuso permessi sindacali rappresenta una condotta che va oltre la semplice violazione dell’obbligo di presenza. Esso implica un inganno e una violazione della fiducia aggravata dal ruolo sindacale ricoperto. La Corte ha ritenuto coerente la qualificazione della condotta come abuso del diritto, escludendo la sua riconducibilità alle ipotesi meno gravi sanzionate dal contratto collettivo con misure conservative.

Le conclusioni

L’ordinanza 20979/2024 rafforza un importante principio: i diritti sindacali, pur essendo tutelati, non possono essere esercitati in modo distorto. L’abuso permessi sindacali è una condotta disciplinarmente rilevante che può integrare la giusta causa di licenziamento, poiché mina alla base il vincolo fiduciario. Per le aziende, questa sentenza conferma la possibilità di effettuare controlli, anche tramite agenzie investigative, per verificare la corretta fruizione dei permessi, purché tali controlli non riguardino l’adempimento della prestazione lavorativa in sé. Per i lavoratori e i rappresentanti sindacali, emerge un chiaro monito sull’importanza di utilizzare questi strumenti in modo corretto e trasparente, nel rispetto delle finalità per cui sono stati istituiti.

È legittimo licenziare un lavoratore per abuso dei permessi sindacali?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, l’utilizzo di permessi sindacali per finalità personali e non istituzionali costituisce una condotta grave che lede il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e può giustificare il licenziamento per giusta causa.

Il datore di lavoro deve indicare le norme di legge violate nella lettera di contestazione disciplinare?
No. La giurisprudenza costante, confermata in questa ordinanza, stabilisce che per la validità della contestazione disciplinare è sufficiente una descrizione specifica e dettagliata dei fatti addebitati, tale da consentire al lavoratore un’adeguata difesa, senza che sia necessario indicare le specifiche norme legali o contrattuali violate.

L’abuso di un permesso sindacale è considerato una semplice assenza ingiustificata?
No, la Corte ha chiarito che non si tratta di una semplice assenza ingiustificata. La condotta è connotata da una maggiore gravità (un ‘quid pluris’) perché rappresenta un abuso del diritto e una strumentalizzazione di una tutela prevista per scopi collettivi. Questo la differenzia dalle comuni assenze e giustifica una sanzione più severa, come il licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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