Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21125 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3389/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2600/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata in data 21/11/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
Il Tribunale rigettò la domanda con la quale NOME COGNOME aveva chiesto dichiararsi cessato o estinto il diritto d’abitazione di cui godeva la convenuta NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Firenze, accolta l’impugnazione dell’COGNOME, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò cessato il diritto d’abitazione.
2.1. La difformità d’epilogo consiglia di riprendere, sin d’ora, sia pure in sintesi, le ragioni salienti poste a fondamento della decisione di secondo grado:
-l’COGNOME, all’esito di una procedura esecutiva, si era aggiudicato la proprietà dell’immobile gravato dal diritto d’abitazione della COGNOME, madre dell’esecutato;
secondo il Tribunale non era rimasto provato che gli abusi edilizi riscontrati nell’immobile fossero imputabili alla convenuta, nel mentre la dichiarazione di regolarità urbanistica contenuta nell’atto di costituzione del diritto d’abitazione non ne poteva comportare la nullità, stante che un tal diritto oramai spettava alla COGNOME ‘ex lege’, quale erede del marito;
provata la sussistenza delle difformità edilizie, la Corte di Firenze addebitò queste alla COGNOME, nel periodo 2009/2011, giudicando decisiva la circostanza che l’atto pubblico del 2009, che aveva costituito il diritto (<>) aveva attestato che l’immobile a quella data era regolare;
-siccome per l’analogo caso dell’usufrutto, spetta all’usufruttuario provare l’eccezione, con la quale adduca la preesistenza di una delle ipotesi prevedute dall’art. 1015 cod. civ., bastando al nudo proprietario dimostrare l’esistenza di esse al momento della domanda, lo stesso doveva affermarsi per l’abuso del diritto d’abitazione;
-non poteva condividersi l’asserto del Tribunale (contrastante con il principio dell’onere della prova e <>) secondo la quale <>;
-la riportata affermazione -con la quale si intendeva parametrare le difformità alla tipologia dei lavori autorizzati con la licenza edilizia del 1972 (modifiche interne e prospetto) e con le concessioni edilizie del 1986 (rifacimento manto di copertura, demolizione tettoia e costruzione portico scoperto) -provava troppo, essendosi il primo Giudice <> a riguardo dell’epoca di realizzazione delle opere a quanto affermato dalla COGNOME in sede di sopralluogo della Polizia municipale e, per contro, non doveva essere l’attore a dare la prova dell’epoca delle intervenute difformità;
pur vero che la COGNOME godeva per legge, dalla morte del marito, del diritto d’abitare la casa coniugale, tuttavia, viene ribadito, che l’atto del 2009 <>.
NOME COGNOME proponeva ricorso sulla base di tre motivi, avversati NOME COGNOME con controricorso.
Il Consigliere delegato della Sezione propose definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 5 giugno 2024. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1015, richiamato dall’art. 1026 cod. civ.
Al momento dell’aggiudicazione, con decreto del 22/11/2013, l’immobile, siccome constava dalla relazione del c.t.u., presentava plurime difformità urbanistiche ed edilizie. Inoltre, a dire dello stesso COGNOME (atto di citazione), nonostante nell’atto pubblico del 2009 fosse stata dichiarata la regolarità urbanistica, la perizia tecnica disposta in sede esecutiva nel 2011 aveva riscontrato numerose difformità e, quindi. l’COGNOME aveva comprato all’asta l’immobile nel 2013 già segnato dalle menzionate difformità.
<>.
L’COGNOME, non solo non aveva patito pregiudizio a cagione delle difformità edilizie, ma, anzi, aveva potuto beneficiare di un valore di stima e, quindi, di un prezzo ridotto. Quindi, non sussistendo il danno non poteva dirsi sussistere l’abuso. Da ciò derivava che trovava applicazione il principio secondo il quale il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a colui che di quel bene era proprietario al momento dell’evento dannoso (richiama, fra le altre S.U. n. 2951/2016).
10. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1015 e 1026 cod. civ.
Sostiene la ricorrente che ferma l’affermazione che spetta al nudo proprietario provare solo l’esistenza degli abusi e all’usufruttuario l’eccezione con la quale nega la sussistenza di tali abusi, <> (cita ancora una volta S.U. n. 2951/2016). La titolarità, elemento costitutivo della
domanda, doveva prima di ogni altra circostanza, essere provata dall’attore.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 81 cod. proc. civ., 1015 e 1026 cod. civ., insistendo nell’evidenziare che allorquando l’COGNOME si aggiudicò il bene (22/11/2013), il c.t.u., incaricato dal Giudice dell’esecuzione, aveva accertato le difformità, valutandole non di grave pregiudizio.
Preliminarmente deve stigmatizzarsi il contenuto largamente improprio dell’istanza con la quale la ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso. Con essa, infatti, la COGNOME non si è limitato, come avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ., a chiedere la decisione, ma si è spesa in apprezzamenti giuridici, come si trattasse d’una integrazione del ricorso o, comunque, d’una memoria atipica, che precede la fissazione della trattazione della causa, invece che seguirla, con deposito nel termine perentorio di cui all’art. 380 bis 1 cpc. Di un tale contenuto, pertanto, non deve tenersi conto (Sez. 2, n. 8303, 27/03/2024, Rv. 670576 -01).
Il complesso censorio, vagliato nel suo insieme, risulta fondato.
Fermo il riparto dell’onere probatorio, la Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto seguenti.
Solo con l’aggiudicazione l’COGNOME divenne proprietario dell’immobile e, pertanto, solo degli abusi eventualmente perpetrati dal titolare del diritto d’abitazione (la COGNOME) successivamente si sarebbe potuto dolere.
Pertinente risulta il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, secondo il quale il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso, e, configurandosi come un diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non segue quest’ultimo nell’ipotesi di alienazione, salvo che non sia pattuito il contrario (sent. n. 2951,
16/02/2016, Rv. 638374 – 01). Trattasi di un enunciato che trova fondamento nella regola secondo la quale, esclusa ambulatorietà, il pregiudizio arrecato alla cosa deve essere risarcito al proprietario di essa al tempo, stante che l’acquirente, che successivamente ne rilevi la titolarità, acquista il bene nello stato in cui si trova e in relazione a quello stato corrisponde il corrispettivo stimato congruo dalle parti del negozio di alienazione.
Le indicazioni di cui all’atto pubblico sono irrilevanti, al contrario di quel che assume la sentenza a pag. 6, per due autonome ragioni.
In primo luogo esso non gode certamente di fede privilegiata per le dichiarazioni rilasciate dalle parti (cfr., ex multis, Cass. nn. 22903/2017, 20214/2019).
In secondo luogo, l’atto risale al 2009, mentre l’aggiudicazione avvenne quattro anni dopo.
Comunque e in ogni caso, ammesso che gli abusi fossero stati perpetrati tra il 2009 e il 2011 (perizia in sede esecutiva) poco cambia poiché l’COGNOME acquistò successivamente, nel 2013.
Accolto il ricorso nel suo insieme, il Giudice del rinvio si adeguerà ai principi di diritto sopra richiamati e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa al sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 5 giugno 2024