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Abuso di posizione dominante: la Cassazione chiarisce

Un fornitore di servizi ha citato in giudizio un operatore di telecomunicazioni per i danni derivanti da un abuso di posizione dominante, precedentemente accertato dall’Autorità Garante della Concorrenza. Il tribunale di primo grado aveva respinto la domanda, ritenendo che l’attore non avesse specificato i singoli atti illeciti. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che il giudice non può modificare la base della domanda (causa petendi). L’illecito contestato era una pratica discriminatoria sistemica, non la somma di singoli rifiuti, e su tale base andava valutata la richiesta di risarcimento.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Abuso di posizione dominante: la Cassazione chiarisce i limiti del giudice civile

Nelle azioni di risarcimento danni che seguono una decisione dell’Autorità Antitrust (le cosiddette azioni follow-on), il giudice civile non può modificare la natura dell’illecito già accertato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato questo principio fondamentale, cassando la decisione di un tribunale che aveva respinto una domanda risarcitoria basata su un abuso di posizione dominante, imponendo all’attore un onere probatorio non pertinente. Analizziamo la vicenda per comprendere la portata di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Un operatore di servizi di comunicazione elettronica citava in giudizio l’operatore dominante del mercato nazionale, chiedendo un cospicuo risarcimento per i danni subiti a causa di condotte anticoncorrenziali. La richiesta si fondava su un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che aveva accertato l’esistenza di un illecito antitrust.

Secondo l’attore e l’AGCM, l’abuso consisteva in una pratica discriminatoria sistemica: l’operatore dominante aveva predisposto processi di attivazione dei servizi all’ingrosso per i concorrenti molto più complessi e inefficienti rispetto a quelli usati per le proprie divisioni commerciali. Questo sistema creava maggiori difficoltà di accesso all’infrastruttura per gli altri operatori, avvantaggiando indebitamente l’incumbent.

La Decisione dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda. Secondo il giudice, la società attrice non aveva adempiuto al proprio onere di allegazione, in quanto non aveva specificato quali singoli rifiuti di attivazione (i cosiddetti “KO”) fossero illegittimi o ingiustificati. In sostanza, il Tribunale aveva spostato il focus della controversia dall’abuso sistemico alla necessità di provare la colpa nei singoli episodi di mancata attivazione.

Successivamente, la Corte d’Appello dichiarava inammissibile il gravame, confermando di fatto la linea del primo giudice. La questione giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

Le motivazioni sull’abuso di posizione dominante

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza del Tribunale. Il ragionamento dei giudici di legittimità si è concentrato su un vizio procedurale cruciale: la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), che si traduce nel vizio di extra petita.

La Suprema Corte ha spiegato che, in un’azione follow-on, la causa petendi (cioè il fondamento della domanda) è l’illecito così come accertato e definito dall’Autorità Garante. Nel caso di specie, l’illecito non era la somma di singoli KO illegittimi, ma la condotta complessa e discriminatoria che consisteva nell’aver creato procedure di attivazione penalizzanti per i concorrenti.

Il Tribunale, pretendendo che l’attore provasse l’illegittimità dei singoli KO, ha di fatto sostituito la causa petendi dedotta dall’attore con una differente, fondata su fatti diversi. Ha trasformato un illecito di sistema in un illecito basato su singoli episodi. Questo, secondo la Cassazione, non è ammissibile. Il provvedimento dell’AGCM, confermato in sede amministrativa, costituisce una “prova privilegiata” dell’illecito, e il giudice civile deve attenersi a quella qualificazione.

L’errore del Tribunale è stato quello di non comprendere che i singoli rifiuti di attivazione non erano il fatto costitutivo dell’illecito, ma piuttosto il risultato, la conseguenza dannosa della condotta discriminatoria a monte. La domanda risarcitoria doveva quindi essere valutata verificando se quella condotta sistemica avesse generato un danno, non se ogni singolo rifiuto fosse ingiustificato.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza la tutela per le imprese danneggiate da pratiche anticoncorrenziali. La Corte di Cassazione ha stabilito con chiarezza che il giudice civile, in una causa follow-on, è vincolato alla definizione dell’illecito fornita dall’autorità antitrust. Non può imporre all’attore di provare elementi diversi o aggiuntivi rispetto a quelli che costituiscono il nucleo dell’illecito già accertato. Il focus deve rimanere sull’accertamento del nesso di causalità tra la condotta illecita (come definita dall’AGCM) e il danno lamentato. Questa decisione semplifica l’onere probatorio per le vittime di abuso di posizione dominante e garantisce maggiore coerenza tra l’accertamento amministrativo e la tutela risarcitoria in sede civile.

In un’azione di risarcimento danni per abuso di posizione dominante, il giudice può richiedere prove su fatti diversi da quelli accertati dall’Autorità Antitrust?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice civile non può modificare la base della domanda (causa petendi). Se l’Autorità ha accertato una pratica discriminatoria sistemica, il giudizio deve vertere sui danni derivanti da quel sistema, e non sulla prova di singoli episodi illeciti non posti a fondamento della domanda iniziale.

Quale valore ha la decisione dell’Autorità Antitrust in una causa civile per danni?
La decisione dell’Autorità, una volta divenuta definitiva, costituisce una prova privilegiata dell’esistenza della condotta illecita. Il giudice civile deve basarsi sulla violazione così come accertata e definita dall’Autorità, senza poterla riqualificare o modificarne la natura.

Cosa succede se un giudice decide la causa basandosi su un illecito diverso da quello denunciato dall’attore?
Il giudice commette un vizio procedurale di extra petita, violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ciò significa che si è pronunciato oltre i limiti della domanda, e la sua sentenza può essere annullata dalla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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