Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18856 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18856 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24586 R.G. anno 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME , presso il quale è domiciliata;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1919/2021 depositata il 18 giugno 2021 della Corte di appello di Milano.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ RAGIONE_SOCIALE, successivamente posta in amministrazione straordinaria, ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Milano RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE chiedendo dichiararsi che le condotte attuate dalla convenuta e accertate nel provvedimento A 357 dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) costituivano abuso di posizione dominante e comunque condotte illecite anticoncorrenziali; ha inoltre domandato ordinarsi a RAGIONE_SOCIALE di astenersi dall’ulteriore compimento delle suddette condotte e condannarsi la stessa al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali. L’illecito contestato era emerso dalla comunicazione delle risultanze istruttorie di AGCM; per consentire ai propri clienti abbonati di telefonia fissa di comunicare telefonicamente con abbonati della rete mobile di Vodafone, Edisontel, poi Eutelia, aveva concluso nel 1999 un contratto di interconnessione con RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, in forza del quale la stessa si era obbligata a pagare un prezzo di terminazione commisurato ai minuti in cui i propri clienti di telefonia fissa si connettevano con abbonati di rete mobile Omnitel.
Nella resistenza della convenuta il Tribunale di Milano ha riconosciuto l’esistenza dell’illecito, osservando come l’AGCM avesse accertato la sussistenza di pratiche discriminatorie attuate da Vodafone in danno di Eutelia consistite nell’applicare alle proprie divisioni commerciali a un prezzo di terminazione, per le chiamate da telefono fisso a rete mobile di Vodafone, inferiore a quello stabilito nel contratto di interconnessione con Eutelia. Il Tribunale ha quantificato il risarcimento del danno avendo riguardo all’impossibilità per la vittima dell’abuso di vendere il servizio di interconnessione a prezzi minori, coincidenti con quelli applicati da Vodafone alle proprie divisioni commerciali. Secondo il Tribunale, poiché le condizioni di prezzo praticate da Vodafone alle proprie divisioni commerciali non erano state accertate, doveva attribuirsi rilievo al contratto concluso dalla stessa Vodafone con la società BT nel quadro dell’assunzione di impegni
prevista dall’art. 14 -ter l. n. 287/1990: sulla base di tale parametro di riferimento il danno sofferto da RAGIONE_SOCIALE è stato liquidato in euro 41.941.050,30.
In esito al giudizio di appello promosso da RAGIONE_SOCIALE, in cui si è costituita RAGIONE_SOCIALE, la Corte di Milano ha accertato che l’appellante aveva posto in essere una condotta di abuso di posizione dominante nei confronti dell’appellata per averle richiesto, fino al luglio 2006, per la fornitura del servizio di terminazione sulla propria rete mobile, un prezzo superiore alla tariffa da Vodafone proposta alla clientela per l’effettuazione di chiamata da rete fissa a rete mobile; ha inibito, quindi, la ripetizione della suddetta condotta; ha respinto, però, le altre domande proposte da RAGIONE_SOCIALE.
– Avverso detta sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, la quale fa valere sette motivi di impugnazione. Resiste con controricorso Vodafone Italia. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
─ Preliminarmente deve rilevarsi che non si è fatto luogo a fissazione di pubblica udienza, come richiesto da parte ricorrente, in quanto il ricorso non prospetta questione di particolare rilevanza ex art. 375 c.p.c.: e ciò tenuto conto dei profili di inammissibilità che affliggono l’impugnazione.
─ Il primo motivo denuncia la «violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c.c., dell’art. 14 l. n. 287/1990, dell’art. 102 TFUE», nonché «l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
Il secondo mezzo oppone la «violazione o falsa applicazione degli artt. 16 reg. (CE) 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 TCE (oggi 101 e 102 TFUE) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti».
Col terzo motivo si lamenta la «violazione dell’art. 345 c.p.c.» e la «violazione del principio del divieto di ius novorum in appello».
Il quarto motivo prospetta la «violazione dell’art. 345 c.p.c», la «violazione del principio del contraddittorio» e la «nullità della sentenza».
Col quinto motivo si deduce la «violazione dei principi generali della tutela dell’affidamento e di buona amministrazione «, la « violazione dell’art. 6 della CEDU, nonché dell’art. 47 della Carta di Nizza e della dir. 2014/104/UE», oltre che la «violazione del contraddittorio» e la «nullità della sentenza».
Il sesto mezzo denuncia «violazione e/o falsa applicazione, in punto di quantificazione dei danni, dell’art. 102 TFUE e per l’effetto dell’art. 16.1 reg. (CE) 1/2003» e inoltre la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 61, 62 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia» e imputa alla Corte di appello di «aver travisato il contenuto della prova ossia le conclusioni della c.t.u., nonché i quesiti c.t.u., risultanti entrambi difformi rispetto a quanto esposto in sentenza».
Col settimo motivo la sentenza impugnata è censurata per «violazione della dir. 2014/104/UE e dell’art. 8 d.lgs. n. 3/2017 » e «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
3 . -La Corte di appello , con riguardo all’illecito contestato e al danno lamentato, ha osservato, in sintesi, quanto segue.
Nella comunicazione delle risultanze istruttorie di AGCM non era individuato quale fosse il prezzo applicato da Vodafone alle proprie divisioni commerciali per il servizio di terminazione e anche il c.t.u., nella relazione espletata nel corso del giudizio di primo grado, aveva affermato che tale dato non esisteva, «anche perché gli operatori
telefonici, nel periodo analizzato, non erano neppure tenuti a contabilizzarlo»; d’altro canto, il dato in questione aveva natura virtuale e non reale, dal momento che «all’interno del medesimo soggetto (in questo caso Vodafone) non può esistere nella realtà alcun prezzo (nel significato giuridico-economico del termine) praticato da un reparto all’altro, per la predisposizione di un determinato servizio». Col termine in questione doveva quindi intendersi l’imputazione virtuale del costo effettivo che l’operatore telefonico ritiene debba essere attribuito al servizio costituito dall’interconnessione con un utente della propria rete mobile di una chiamata proveniente da una rete fissa.
Nel provvedimento n. 16871, con cui era stato chiuso il procedimento nei confronti di Vodafone, «la sussistenza della condotta abusiva da parte dell’operatore telefonico» era stata del resto «desunta non già accertando una differenza tra il prezzo richiesto da Vodafone agli operatori esterni per il servizio di terminazione e un inesistente prezzo praticato per il medesimo servizio da Vodafone alle proprie divisioni commerciali, bensì accertando che Vodafone aveva proposto alla clientela interessata alla telefonia fissa una tariffa per effettuare la chiamata alla rete mobile Vodafone inferiore al prezzo richiesto agli altri operatori esterni (tra cui Eutelia) per usufruire del medesimo servizio, cioè per consentire l’interconnessione con un utente della rete mobile Vodafone della chiamata proveniente da un utente della rete fissa dell’operatore esterno». Anche nella comunicazione delle risultanze istruttorie la condotta discriminatoria di Vodafone era stata identificata nel fatto che essa aveva proposto alla clientela aziendale tariffe per la direttrice fisso-mobile inferiori a quelle richieste agli operatori esterni concorrenti per l’analogo servizio.
Secondo la Corte di appello era poi risultato provato che fino a giugno 2006 l’appellante aveva formulato offerte alla propria clientela di telefonia fissa per il servizio di chiamata da fisso a mobile, «che, in molti piani tariffari, erano inferiori al prezzo dalla stessa Vodafone
richiesto ad RAGIONE_SOCIALE per usufruire del medesimo servizio, così impedendo, almeno potenzialmente, ad RAGIONE_SOCIALE di offrire alla medesima potenziale clientela tariffe analoghe a quelle offerte da Vodafone se non a costo di una significativa riduzione dei propri margini di profitto».
La Corte territoriale ha quindi ritenuto che il criterio dell’ overcharge , basato sulla differenza tra quanto pagato da Eutelia a Vodafone e quanto fatto pagare da Vodafone alle proprie divisioni commerciali – c riterio utilizzato dal Tribunale per la determinazione del danno -non fosse spendibile: anzitutto, il dato costituito dal prezzo applicato da Vodafone alle proprie divisioni commerciali non esisteva; tale criterio era inoltre per il Giudice di appello inutilizzabile in quanto il danno andava determinato «individuando quali sarebbero stati gli eventuali maggiori profitti che, presumibilmente ma ragionevolmente, il soggetto, operante nel mercato ‘ a valle ‘, avrebbe potuto conseguire nel caso in cui il soggetto dominante nel mercato ‘ a monte ‘ non avesse tenuto la condotta anticoncorrenziale accertata». La fattispecie che veniva in questione era rappresentata da una condotta concorrenziale «interno-esterno», in quanto il soggetto in posizione dominante nel mercato «a monte», anche presente nel mercato «a valle», aveva tenuto in quest’ultimo una condotta -a lui possibile proprio in quanto fornitore necessario di un determinato servizio per tutti i soggetti che operavano nel suddetto mercato -che aveva svantaggiato gli altri operatori presenti su di esso, impediti dal fornire alla loro clientela il medesimo servizio allo stesso prezzo offerto dal concorrente dominante nel mercato «a monte», se non a costo di significativa riduzione dei margini di profitto.
In tal modo, l’accertamento è stato incentrato sulla verifica dei maggiori guadagni che Eutelia avrebbe conseguito nello scenario controfattuale di non infrazione. E tale indagine ha portato ad evidenziare la sostanziale invarianza dei prezzi finali praticati da Vodafone alla propria clientela: i prezzi finali di Eutelia non si sarebbero
modificati (non avrebbero cioè subito incrementi favoriti dalla minore concorrenzialità dei prodotti Vodafone), né la stessa appellata avrebbe potuto beneficiare di una espansione della propria quota di mercato.
Va aggiunto che la Corte distrettuale ha comunque escluso potesse avere rilievo, ai fini della quantificazione del danno, il contratto concluso da Vodafone con British Telecom: contratto che l’appella ta aveva dedotto essere stato impiegato dal Tribunale allo scopo di individuare il costo di terminazione imputato da RAGIONE_SOCIALE alle proprie divisioni commerciali. Ha spiegato il Giudice del gravame che la sentenza di primo grado era viziata da ultrapetizione per aver posto a fondamento della propria decisione un fatto -il richiamato contratto -che non era stato tempestivamente allegato dall’attrice. Ha aggiunto che la stipulazione in questione, che risaliva al 6 aprile 2007, era comunque irrilevante per la decisione della controversia, collocandosi in un momento successivo a quello della comunicazione delle risultanze istruttorie e comunque non poteva dirsi indicativo del prezzo praticato da Vodafone alle sue divisioni commerciali.
4 . – Col primo motivo la ricorrente contesta l’a ffermazione secondo cui il prezzo praticato da Vodafone alle proprie divisioni commerciali sarebbe un dato inesistente e «figurativamente utilizzato da AGCM per spiegare il carattere abusivo della condotta tenuta da Vodafone». Lamenta che la Corte di appello abbia fatto riferimento alla tariffa fisso-mobile di Vodafone che non poteva equipararsi a un test di replicabilità dell’offerta, essendo stato previsto dalla delibera n. 537/13/CONS, non applicabile ratione temporis alla fattispecie per cui è causa.
Il motivo è inammissibile.
Trova riscontro quanto dedotto dalla controricorrente circa la formulazione della censura «in maniera ambigua, mescolando e sovrapponendo mezzi d’impugnazione eterogenei».
L’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza,
ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. 17 marzo 2017, n. 7009); in particolare, la deduzione nel motivo di plurime censure costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790).
E’ segnatamente inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. 6 febbraio 2024, n. 3397; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26874).
Ora, il mezzo di censura in esame cumula più denunce di vizi tra loro non compatibili, prospettando, al contempo, il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., quello motivazionale, oggi rientrante ne ll’art. 360, n. 4, c.p.c. (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile
2014, n. 8054; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598) -peraltro declinato nei termini, a loro volta intrinsecamente antinomici, dell ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione -e quello di omesso esame di fatto decisivo, rientrante nella previsione dell’all’art. 360, n. 5, c.p.c.: ciò senza isolare le singole doglianze e senza operarne una trattazione separata, tale da far emergere l’alternatività di proposizion i difensive altrimenti contraddittorie o comunque indeterminate nello specifico referente normativo.
E’ solo il caso di precisare che il richiamo alla delibera n. 537/13/CONS da parte della ricorrente si mostra privo di aderenza alla sentenza impugnata, visto che la Corte di appello non ha evocato tale provvedimento, onde, a prescindere da ogni ulteriore rilievo, è certamente escluso che alla stessa possa imputarsi di aver «applicato disposizioni non ancora emanate» (così il ricorso, a pag. 18).
5 . -Col secondo motivo la società istante deduce che il costo imputato da Vodafone alle proprie divisioni commerciali assume importanza fondamentale ai fini sia dell’accertamento dell’abuso, sia della quantificazione del danno e che la Corte di appello avrebbe dovuto valorizzare il contratto concluso tra Vodafone e British Telecom, «poiché disvelante l’esatto importo del costo imputato, e coincidente ovviamente con il costo del servizio».
Col terzo motivo la ricorrente assume che la Corte di merito non si sarebbe pronunciata sull’eccezione sollevata da RAGIONE_SOCIALE circa l’inammissibile modifica del quinto motivo di appello in tema di asserita erroneità del criterio di quantificazione del danno in violazione del divieto dei nova in appello. Si fa generico riferimento a una domanda introdotta da Vodafone nella comparsa conclusionale «in tema di asserita erroneità della tipologia di scenario controfattuale prescelta dalla sentenza in luogo di quella medio tempore emersa in un diverso giudizio (sentenza COGNOME)».
Il quarto motivo è incentrato sulla mancata produzione nel
giudizio di appello del contratto tra Vodafone e British Telecom nel giudizio di appello.
Anche tali mezzi sono inammissibili.
Il secondo difetta, al pari del primo, di una separata trattazione dei vizi lamentati.
Il motivo manca inoltre di confrontarsi con la decisione impugnata laddove evoca il contratto concluso tra Vodafone e British Telecom. E’ vero che il danno da compressione dei margini qui lamentato è comprensivo del mancato guadagno che si determina per effetto dell’assorbimento del maggior costo sostenuto, dal concorrente danneggiato, sul mercato a monte della terminazione, ai fine di procurarsi il servizio di connessione: onde il danno può essere in astratto liquidato in tale misura. Non vale però richiamare, sul punto, Cass. 26 aprile 2022, n. 13073, dal momento che nella fattispecie presa in esame dalla Corte in quella pronuncia il riconoscimento del danno commisurato al valore differenziale tra il prezzo praticato dall’impresa di telefonia all’operatore vittima dell’abuso e il prezzo applicato dalla stessa impresa alle proprie divisioni commerciali costituiva un valore noto: nella circostanza venne del resto proprio sottolineato che non poteva assimilarsi tale ipotesi a quella – oggetto di esame nella diversa causa definita in sede di legittimità da Cass. 3 aprile 2020, n. 7678 nella controversia promossa da RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE – in cui il valore in questione risultava invece sconosciuto. L’assenza di un positivo riscontro, attinto in sede di merito, quanto al prezzo praticato dall’impresa dominante alle proprie divisioni commerciali impedisce dunque, in questa sede di legittimità, di sostenere che il danno andasse liquidato in misura pari alla differenza tra il prezzo pagato per il servizio di terminazione e quel prezzo (in tema cfr. pure Cass. 30 luglio 2024, n. 21416, non massimata in CED ).
Nel presente giudizio la Corte di appello ha escluso, sulla scorta pure dell’esperita consulenza tecnica, che quel dato fosse conosciuto, e
quindi utilizzabile ai fini che interessano.
La possibilità di estrapolare un qualche elemento significativo, in proposito, dal contratto concluso da Vodafone con British Telecom era del resto preclusa dal rilievo per cui, secondo la Corte di appello, la sentenza di primo grado risultava viziata da ultrapetizione con riguardo al relativo accertamento. Il Giudice distrettuale ha infatti accolto il quinto motivo di appello di Vodafone con cui si era dedotto che RAGIONE_SOCIALE non aveva mai allegato che il danno subito doveva essere determinato dalla differenza dal prezzo di terminazione ad essa applicato e quello desumibile dal contratto in questione (cfr. pagg. 9 s. della sentenza impugnata), ritenendo che la stipula di tale contratto fosse stata oggetto di una allegazione tardiva.
Questa statuizione in rito della Corte di appello non è stata specificamente impugnata col mezzo di censura in esame e nessun rilievo possono conseguentemente assumere, nella presente sede, ulteriori argomenti spesi dalla stessa Corte con riguardo al valore probatorio da attribuire a quanto documentato nel contratto in questione. Infatti, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi , abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2007, n. 3840; cfr. pure di recente: Cass. 12 dicembre 2024, n. 32092; Cass. 19 settembre 2022, n. 27388; Cass. 16 giugno 2020, n. 11675).
La ravvisata impossibilità di prendere in esame il contratto in questione relega, del resto, sul piano della non concludenza la stessa
questione agitata col quarto motivo, relativa all’acquisizione dello scritto che documentava il negozio.
Quanto al terzo motivo, esso è carente di specificità. Va ricordato, in proposito, che la deduzione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): infatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. 6 settembre 2021, n. 24048; Cass. 29 settembre 2017, n. 22880); in tal senso, si impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. 30 luglio 2024, n. 21346).
Solo per completezza si osserva che la ricorrente fa questione della deduzione difensiva incentrata sul criterio di quantificazione del danno: deduzione che integra una mera difesa, e non un’eccezione in senso stretto. Ebbene, le mere difese non sono precluse, ancorché «nuove», in appello poiché esse non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c. che vieta espressamente la proposizione delle sole nuove eccezioni in senso proprio, ossia quelle non rilevabili d’ufficio, e non, indistintamente, tutte le difese comunque svolte dalle parti (Cass. 1 ottobre 2018, n. 23796; Cass. 12 settembre 2005, n.
18096).
6. -Anche il quinto motivo si rivela inammissibile.
Esso contiene plurime censure riconducibili alle distinte ipotesi di cui all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c. che non sono sviluppate in modo differenziato, così da consentirne la precisa individuazione. Va aggiunto che la violazione o falsa applicazione delle norme di rango costituzionale (come l’art. 6 CEDU e l’art. 47 della Carta di Nizza , citati nella rubrica) può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3 c.p.c. solo quando tali norme siano di immediata applicazione (Cass. Sez. U. 6 aprile 2022, n. 11167): e nel caso in esame tale condizione non ricorre. Quanto alla dir. 2014/104/UE, essa , in base all’art. 22, non è retroattiva, onde non potrebbe mai applicarsi alla fattispecie controversa.
Non si vede, del resto, per quale ragione la Corte di appello non potesse disporre una nuova consulenza tecnica, a fronte della ritenuta inapplicabilità del criterio di liquidazione adottato dalla Corte di merito. Come è ben noto, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice e l’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Cass. 24 gennaio 2019, n. 2103; Cass. 30 marzo 2010, n. 7622): profilo, questo della motivazione, che non è stato nemmeno investito da apposita censura.
7 . -Il sesto motivo si profila inammissibile in ragione di come è redatto, come i primi due e il quinto.
Va detto che, oltretutto, le deduzioni della ricorrente, contenute nello svolgimento del mezzo, non si mostrano concludenti.
La Corte di appello ha disatteso il rilievo di RAGIONE_SOCIALE secondo cui il c.t.u. aveva errato nel non prendere in considerazione quanto previsto
nella Guida pratica per la quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione degli artt. 101 e 102 TFUE; in base a tale Guida, l’accertamento del danno poteva essere condotto utilizzando come termini di comparazione un’impresa operante nel mercato dell’infrazione «a condizione che i suoi risultati non siano stati influenzati in maniera significativa dal comportamento discriminatorio». La Corte di merito ha osservato che Vodafone non rientrava tra tali soggetti, essendo l’autrice dei comportamenti discriminatori, i quali non potevano non averne influenzato i risultati economici (evenienza, questa, che in sé escludeva la possibilità di assumere la detta società come termine di riferimento nella quantificazione del danno) e ha osservato che RAGIONE_SOCIALE aveva ripetutamente sostenuto nel giudizio d’appello di non aver mai lamentato di aver subito la tipologia di danno di cui la Corte di merito aveva ritenuto di accertare l’esistenza attraverso la consulenza di tecnica disposta in sede di gravame: «pertanto», ha concluso, «anche l’eventuale erroneità, certamente non sussistente, delle conclusioni a cui è giunto il c.t.u. sarebbe del tutto irrilevante, atteso che riguarderebbe un diritto comunque non richiesto dall’appellante secondo quanto da questa affermato ». L’odierna ricorrente ha continuato a perorare, col motivo in esame, la propria tesi quanto all’utilizzabilità di Vodafone come benchmark , o termine di riferimento nella quantificazione del danno, ma non si è misurata con la ratio decidendi basata sull’assenza di una sua domanda risarcitoria avente ad oggetto i danni che il consulente era stato chiamato ad accertare: e ciò rende di per sé inammissibile la censura (per tutte: Cass. Sez. U. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 18 giugno 2019, n. 16314; Cass. 4 marzo 2016, n. 4293).
Il rilievo che precede risulta decisivo anche con riguardo ad altra doglianza della ricorrente, vertente sul supposto travisamento della consulenza tecnica: ha sostenuto infatti NOME che la relazione peritale avrebbe rassegnato delle «non conclusioni» e che la Corte di merito
avrebbe travisato il senso dell’elaborato peritale. E ‘ pertanto superfluo osservare che quanto lamentato non è certo un travisamento del contenuto oggettivo della prova (il quale trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale: Cass. Sez. U. 5 marzo 2024, n. 5792). La ricorrente dibatte, piuttosto, del significato da attribuirsi a una locuzione contenuta nell’elaborato peritale : il che pone la questione su di un piano che sfugge al sindacato di legittimità.
8 . – Il settimo motivo investe la decisione su tema della prescrizione.
La Corte di merito ha osservato che quantomeno dal 25 luglio 2001 l’odierna parte ricorrente aveva avuto piena conoscenza della condotta asseritamente abusiva tenuta da Vodafone, della sua illiceità e del danno che tale condotta avrebbe potuto provocarle: in tale data, infatti, RAGIONE_SOCIALE aveva inviato una nota a RAGIONE_SOCIALE dalla quale emergeva che era perfettamente a conoscenza delle pratiche commerciali discriminatorie poste in atto dalla società destinataria della missiva e in cui era chiarito che la mittente aveva diritto a vedersi applicare quantomeno le medesime tariffe offerte da RAGIONE_SOCIALE alla sua clientela.
La ricorrente evoca l ‘art. 10 della dir. 2014/104/UE , secondo cui il termine di prescrizione non inizia a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata e prima che l’attore sia a conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza, della condotta, del fatto che tale condotta costituisce una violazione del diritto alla concorrenza, del fatto che la violazione del
diritto alla concorrenza gli ha causato in danno e dell’identità dell’autore della violazione.
Il motivo è inammissibile.
A nch’esso cumula, senza fornire spiegazioni al riguardo, le censure di violazione di legge e di omesso esame di fatto decisivo.
Quanto dedotto a proposito dell’art. 10 della direttiva non coglie peraltro nel segno. La dir. 2014/104/UE non è applicabile all’illecito di cui qui si controverte, ma la regola contenuta nell’art. 10 aveva trovato già espressione della giurisprudenza di questa Corte e di tale regola la sentenza impugnata ha fatto buon governo.
Secondo la giurisprudenza della S.C., in tema di risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale, il termine di prescrizione della relativa azione comincia a decorrere dal momento in cui il titolare sia stato adeguatamente informato o si possa pretendere ragionevolmente che lo sia stato, non solo dell’altrui violazione, ma anche dell’esistenza di un possibile danno ingiusto (Cass. 28 gennaio 2025, n. 1923). Ciò non significa che il termine prescrizionale del diritto al risarcimento per l’illecito antitrust posto in essere ai danni di un operatore economico attivo nel medesimo mercato in cui si colloca l’autore della condotta contra ius debba in ogni caso farsi decorrere dall’avvio, nei confronti di quest’ultimo, del procedimento avanti all’AGCM. Ai fini che interessano è sufficiente che il danneggiato abbia avuto precisa percezione del danno da lui sofferto in dipendenza dell’attività illecita del concorrente. In tal senso vanno esclusi rigidi automatismi: l’individuazione del dies a quo della prescrizione non può che dipendere dall’apprezzamento delle singole fattispecie che di volta in volta vengono in questione; come rilevato da questa Corte, nella presente materia l’accertamento quanto alla decorrenza della prescrizione va condotta caso per caso (Cass. 5 luglio 2019, n. 18176, cit., in motivazione; cfr. pure Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, in tema di intese restrittive, secondo cui l’accertamento circa il momento in cui il danneggiato ha compiuta percezione del danno
appartiene al potere del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e coerentemente motivato) (così la cit. Cass. 28 gennaio 2025, n. 1923, in motivazione).
9 . – Il ricorso è dichiarato inammissibile.
10 . -Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 30.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione