Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4034 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1   Num. 4034  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 14853 del ruolo generale dell’anno 20 19, proposto
da
COGNOME  COGNOME  NOME, rappresentato  e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso lo studio del quale in Roma, alla INDIRIZZO, elettivamente si domicilia
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in  persona  del  legale  rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale su foglio separato congiunto al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, nello studio del quale in Roma, alla INDIRIZZO, elettivamente si domicilia
Oggetto: Società- Delibera di abolizione di clausola di prelazione  interna-  Abuso  di maggioranza.
-controricorrente-
per  la  cassazione  della  sentenza  della  Co rte  d’appello  di Roma, depositata in data 7 novembre 2018;
udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza dell ‘ 11 gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME;
lette  le  considerazioni  rese  per  iscritto  dal  AVV_NOTAIO  procuratore generale  NOME  COGNOME,  ribadite  nel  corso  dell’udienza,  e volte all’accoglimento del ricorso;
sentiti per il ricorrente l’AVV_NOTAIO e per la società l’AVV_NOTAIO, per delega dell’AVV_NOTAIO COGNOME.
.
Fatti di causa
Emerge dalla sentenza impugnata che RAGIONE_SOCIALE, la compagine della quale era composta, per un terzo ciascuno, dai soci RAGIONE_SOCIALE traders, NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME, deliberò in data 24 gennaio 2014 di distribuire ai soci le riserve e l’amministratore, in esecuzione della decisione, le ripartì esclusivamente tra i soci di maggioranza; a questa delibera fece seguito quella, approvata a maggioranza in data 28 marzo 2014, con la quale si modificò l’art. 9.2 dello statuto sociale e quindi si dispose l’abolizione della clausola di prelazione interna nel caso di trasferimento di quote tra i soci. Poco dopo, in data 15 aprile 2014, NOME COGNOME COGNOME trasferì parte della propria quota alla RAGIONE_SOCIALE, che così raggiunse il 58,3% del capitale sociale.
Per quanto ancora d’interesse, NOME COGNOME COGNOME reagì impugnando la delibera di abolizione della clausola di prelazione, che fu dichiarata invalida dal Tribunale di Roma, il quale la ritenne viziata da abuso del voto di maggioranza. Secondo l’attore, difatti, la prospettazione del quale è stata seguita dal tribunale, lo scopo dei soci di maggioranza consisteva nel l’emarginarlo, in quanto socio di minoranza, mediante il trasferimento delle quote a una società estera costituente mero schermo d’i nterposizione della
partecipazione  al  capitale  sociale  di  NOME  COGNOME  COGNOME , utilizzando  le  risorse  ottenute  da  RAGIONE_SOCIALE  per  mezzo  della distribuzione della rilevante somma corrispondente a utili accantonati, disposta dalla prima delle due delibere sopra indicate.
Il tribunale rigettò, invece, la domanda  di declaratoria dell’inefficacia  del  negozio  di  trasferimento  delle  quote  sociali  da NOME  COGNOME  COGNOME  a  RAGIONE_SOCIALE  perché  proposta  nei confronti della società, e non già dei soci, parti del contratto.
La C orte  d’appello  di  Roma  ha  accolto  l’appello  proposto  da RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
A sostegno della decisione, il giudice d’appello da un lato ha evidenziato che la delibera del 24 gennaio 2014 era stata approvata all’unanimità  col  voto  favorevole  anche  di  NOME  COGNOME  COGNOME, il quale non aveva in alcun modo evidenziato quale fosse il danno per la società derivante dall’impiego della provvista così resa disponibile da parte di RAGIONE_SOCIALE, né perché fosse pregiudizievole il fatto che la socia divenuta di maggioranza fosse una società estera.
Dall’altro, rigettata la censura d’invalidità della successiva delibera del 28 marzo 2014 per il preteso mancato rispetto del quorum deliberativo, la corte territoriale ha sottolineato che NOME COGNOME , già in minoranza, in questa condizione sarebbe rimasto anche se la clausola di prelazione non fosse stata abolita. D’altronde, ha aggiunto, non è stata raggiunta la prova della sussistenza dell’interesse personale di RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME COGNOME all’adozione della delibera, nonché che la delibera fosse dannosa per la società.
Contro questa sentenza NOME COGNOME COGNOME propone ricorso  per  ottenerne  la  cassazione,  che  affida  a  quattro motivi e illustra con memoria, cui la RAGIONE_SOCIALE replica con controricorso, pure corredato di memoria.
In  esito  a  trattazione  in  adunanza  camerale,  ritenuta  la questione coinvolta dal giudizio di particolare rilevanza, questa Corte ne ha disposto la trattazione in pubblica udienza, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
Ragioni della decisione
1.- Il primo motivo di ricorso , col quale il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posto che la società aveva calibrato il proprio appello sul solo difetto di prova dell’abuso di maggioranza per la soppressione della clausola di prelazione, mentre la co rte d’appello ha fondato la propria decisione sull’insussistenza di qualsivoglia peggioramento della situazione di socio dovuta a quella soppressione, è infondato.
Nel  ragionamento  svolto dalla corte territoriale non  v’è ultrapetizione.
Il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre difatti quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum e causa petendi ) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato), ovvero attribuisca o  neghi  un  bene  della  vita  diverso  da  quello  conteso  ( petitum mediato) (Cass. n. 9002/18; n. 8048/19).
1.1.Il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato riguarda dunque soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass. n. 1616/21): nessuna ultrapetizione si configura qualora il giudice qualifichi i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, com’è appunto avvenuto nel caso in esame, trattandosi dell’attività volta a garantire l’esatta applicazione della legge (tra varie, Cass. n. 5153/19; n. 13371/23).
Il motivo è rigettato.
2.- Inammissibile è poi il secondo motivo di ricorso, col quale il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., là dove la corte d’appello avrebbe trascurato che, ai fini della domanda proposta dal l’attore, poi appellato, sufficiente era la prova della perdita dei diritti conferitigli dallo statuto, dovuta alla soppressione  della  clausola  di  prelazione  interna,  e  palesata  dal consolidamento ormai definitivo della propria condizione di minoranza.
Non è difatti ravvisabile alcun ribaltamento dell’onere probatorio, in quanto la corte d’appello ha valutato i fatti, perdipiù pacifici quanto al loro accadimento.
3.- Del pari inammissibile è il terzo motivo di ricorso, col quale il  ricorrente  lamenta  la  violazione  o  falsa  applicazione  degli  artt. 2479, comma 2, n. 4, 2479ter ,  commi 3 e 4, 1175 e 1375 c.c., perché la corte d’appello non avrebbe riscontrato l’abuso dei diritti della maggioranza per abuso del diritto di voto o per violazione del principio di buona fede e correttezza.
Col  motivo  non  si  censura,  difatti,  il  significato  e  l’astratta portata  applicativa  delle  norme  che  vi  sono  richiamate,  bensì  la concreta applicazione che il giudice ne ha fatto nel valutare i fatti di causa.
4.- Col quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione, per omesso esame di fatti decisivi, rilevanti in base agli artt. 2479, comma 2, n. 4, 2479ter , 1175, 1375 e 2697 c.c., perché idonei a dimostrare l’intento di emarginare definitivamente dalla compagine sociale il socio di minoranza, senza consentirgli di aumentare la consistenza della propria partecipazione al capitale sociale con l’acquisto di una percentuale della quota della socia venditrice. In sostanza, col motivo il ricorrente evidenzia che la motivazione della corte d’appello è al di sotto del minimo costituzionale, perché la corte territoriale non mostra di aver
percepito le conseguenze scaturenti dalla delibera di abolizione della prelazione interna.
Il  motivo,  oltre  che  ammissibile,  in  quanto  basato  su  fatti pacifici nel loro accadimento della rilevanza dei quali si assume la pretermissione,  è  fondato,  alla  luce  dei  principi  fissati  da  questa Corte nel delineare la fisionomia dell’abuso di maggioranza, ancorati alla regola della buona fede oggettiva, quale canone di valutazione della  condotta  dei  soci  in  assemblea,  esecutiva  del  contratto  di società.
Secondo questa Corte sussiste abuso di maggioranza, che si riverbera sull’annullabilità della delibera con la quale esso si è espresso, qualora il voto non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società, perché volto a perseguire un interesse personale antitetico a quello sociale, oppure se sia il risultato di un’intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli (Cass. n. 27387/05; n. 15942/07; n. 15950/07; n. 23823/07; n. 20625/20; sez. un., n. 2767/23).
4.1.- Il ricorrente sostiene dunque che l’eliminazione della clausola  di  prelazione  interna  abbia  determinato  la  lesione  del proprio  corrispondente  diritto,  che  gli  era  stato  conferito  dallo statuto,  e  che  questa  lesione,  rilevante  di  per  sé,  non  sarebbe stato affatto valutata dal giudice d’appello .
È, invece, tramontata la prospettazione del perseguimento dell’interesse contrastante con quello sociale, posto che il ricorrente non ha aggredito le statuizioni contenute nella sentenza impugnata con le quali si è esclusa la fondatezza di questo profilo, in base, per un verso, all’approvazione unanime della delibera che ha  procurato  a  RAGIONE_SOCIALE  la  provvista  usata  per  acquistare parte della quota della socia NOME COGNOME COGNOME ,  e,  per
altro verso, all’i rrilevanza della qualità di società estera della socia divenuta di maggioranza.
5.- Questione decisiva sta nello stabilire se l’attore, sul quale grava il relativo onere, abbia fornito, o non, la prova dell’abuso; e giova sottolineare che di regola abuso ed eccesso di potere non sono suscettibili di prova diretta, ma di una valutazione di tipo indiziario, presuntivo, nel rispetto dei canoni di gravità, precisione e concordanza (cfr., al riguardo, Cass. n. 26387/05).
A questa domanda la corte d’appello ha dato risposta negativa, perché,  ha  considerato,  quel  socio  era  già  di  minoranza  e  tale sarebbe rimasto anche se la clausola non fosse stata soppressa.
Questa  statuizione  è  tautologica  e  inconferente,  in  quanto effettivamente non esamina la rilevanza del vulnus provocato dalla delibera  alle  prerogative  del  socio  all’interno  dell’organizzazione sociale.
5.1.- Si suole riconoscere alla clausola di prelazione rilevanza organizzativa, ossia funzione specificamente sociale, perché essa incide sul rapporto tra l’elemento capitalistico e quello personale della società, nel senso che accresce il peso del secondo elemento rispetto al primo nella misura che i soci ritengano di volta in volta più adatta alle esigenze dell’ente (Cass. n. 12370/14; n. 24559/15). È inevitabile, tuttavia, che la modifica delle regole organizzative alteri le posizioni organizzative dei soci o anche soltanto le posizioni dei soci nell’organizzazione; in particolare, la soppressione o la modifica di una clausola di prelazione inesorabilmente si riverbera sul deterioramento delle prerogative dei soci.
Il  che  è  ancora  più  evidente  nel  caso  in  cui  la  clausola  sia modificata nel senso di escluderne soltanto gli effetti all’interno della compagine societaria, ossia nel senso di escludere che uno dei soci possa valersene in relazione alle vendite delle quote degli altri soci: un tale ridimensionamento della portata della clausola  è idonea a intaccare l’equilibrio dei rapporti interni alla compagine sociale, in
quanto elide la parità di chances di ciascun socio, presidiata dalla clausola di prelazione interna, di acquistare la quota di un altro socio, o anche solo parte di essa, e, quindi, di rafforzare la propria posizione all’interno della società.
6.- Dunque, a fronte di un tale deterioramento, quel che rileva è verificare se, nel caso in esame, i soci di maggioranza, con l’adozione della delibera di abolizione della prelazione interna , abbiano agito in modo strumentale per recare un danno ingiustificato al socio di minoranza, eventualmente col proprio particolare e altrettanto ingiustificato vantaggio, in violazione del canone di buona fede oggettiva posto dall’art. 1375 c.c., per il quale ciascun socio ha l’obbligo di consentire che gli altri salvaguardino i propri interessi sociali, ossia le utilità protette dalle prerogative organizzative loro spettanti, se ciò non sia di apprezzabile detrimento per i propri interessi negoziali.
6.1.- Come si è persuasivamente sottolineato in dottrina, qualora si contrappongano, da parte dei soci di maggioranza e di quelli di minoranza, interessi entrambi negoziali, o anche entrambi non negoziali, si dovrà lasciar operare la regola della maggioranza, posto che l’adesione al contratto sociale prestata all’inizio da ciascun socio comporta la disponibilità ad assoggettarsi alle regole del funzionamento dell’assemblea per consentire alla società di assumere tutte le decisioni che l’assemblea reputi idonee al conseguimento del suo scopo.
Proprio  in  ragione  del  fatto  che  il  socio  deve  accettare  le limitazioni dei propri diritti in quanto collegate e funzionali, nello spirito stesso del principio di maggioranza, al miglior perseguimento dell’interesse comune  riassunto nell’interesse della società, solo quest’ obiettivo legittima in radice il sacrificio di quei  diritti;  di  modo  che,  al  cospetto  di  decisioni  limitative  o soppressive, tanto più rilevante diventa la verifica della
sussistenza di una corrispondenza della decisione di maggioranza al suo scopo «naturale» e proprio.
7.- Ma se a contrapporsi siano interessi negoziali e interessi non negoziali, perché volti a pregiudicare o ad escludere il singolo o una minoranza, il principio di maggioranza non riesce efficacemente  ad  operare.  In  tal  caso,  nel  collegamento  tra  il principio di maggioranza e il suo atto di esercizio, esce alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede.
7.1.Come conseguenza di tale eventuale abuso, l’ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti -e i diritti connessi- attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l’ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata (in termini, Cass. n. 26541/21).
8.- Nel caso in esame, come ha osservato la Procura generale, l’eliminazione  della  prelazione  interna  è  avvenuta  a  ridosso  della vendita di parte della quota di una delle socie all’altra socia, posto che la clausola di prelazione interna è stata soppressa con delibera dell’assemblea  straordinaria  del  28  marzo  2014  e  la  cessione  di quota  da  NOME  COGNOME  COGNOME  a  RAGIONE_SOCIALE  è  avvenuta appena diciotto giorni dopo, ossia il 15 aprile 2014.
Un conto è essere socio di minoranza insieme con altri soci, ciascuno di minoranza, il che impone ai soci il raggiungimento di un accordo;  altro  conto  è  restare  l’unico  socio  di  minoranza,  mentre altro socio diviene di maggioranza e quindi in grado di determinare le  sorti  della  società.  La  Corte  d’appello  è  dunque  chiamata  a valutare e a spiegare se la successione cronologica degli eventi sia
stata volta a impedire al ricorrente l’esercizio del diritto di prelazione e, in particolare, se sia stata volta a impedirgli d’interferire con la vendita delle quote all’altro socio.
8.1.-  La  censura  va  quindi  accolta,  con  cassazione  della sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Per questi motivi
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il secondo e il terzo, accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma l’11 gennaio 2024.