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Abuso di maggioranza: abolire la prelazione è illegittimo

La Corte di Cassazione ha stabilito che costituisce abuso di maggioranza la delibera con cui i soci di maggioranza aboliscono la clausola di prelazione interna, se tale atto è seguito a breve da una cessione di quote tra di loro, finalizzata a consolidare il proprio potere e a impedire al socio di minoranza di esercitare il proprio diritto di acquisto. Secondo la Corte, tale operazione non è giustificata dall’interesse sociale, ma mira a ledere i diritti del socio di minoranza, integrando un abuso sanzionabile con l’annullabilità della delibera.

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Abuso di maggioranza: abolire la prelazione è illegittimo

Il potere della maggioranza all’interno di una società non è assoluto. Quando una delibera viene adottata non per il bene comune dell’azienda, ma con il solo scopo di danneggiare i soci di minoranza, si configura un abuso di maggioranza. La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 4034/2024 offre un chiaro esempio di questa dinamica, stabilendo che l’abolizione della clausola di prelazione, seguita da una cessione di quote tra soci di maggioranza, costituisce un atto illegittimo se volto a emarginare il socio minoritario.

I Fatti di Causa: una strategia per emarginare il socio

Il caso riguarda una s.r.l. inizialmente composta da tre soci, ciascuno con una quota di un terzo del capitale. Due di questi soci, agendo di concerto, hanno posto in essere una sequenza di operazioni strategiche. In primo luogo, hanno deliberato la distribuzione di riserve, che sono state incassate solo da loro. Successivamente, hanno convocato un’assemblea per modificare lo statuto, abolendo la clausola che garantiva a tutti i soci un diritto di prelazione in caso di vendita di quote. Appena diciotto giorni dopo, uno dei due soci di maggioranza ha ceduto parte della sua quota all’altro, che ha così raggiunto il 58,3% del capitale sociale, consolidando una posizione di controllo assoluto.

Il terzo socio, rimasto in minoranza, ha impugnato la delibera di abolizione della prelazione, sostenendo che fosse viziata da un abuso del diritto di voto, in quanto finalizzata unicamente a impedirgli di acquistare le quote e a emarginarlo definitivamente dalla gestione societaria.

L’Iter Giudiziario e l’Abuso di Maggioranza

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione al socio di minoranza, riconoscendo l’abuso di maggioranza e annullando la delibera. La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione, ritenendo che il socio fosse già in minoranza e che la sua posizione non sarebbe cambiata. Inoltre, secondo i giudici d’appello, non era stata fornita la prova di un danno per la società o di un interesse personale dei soci di maggioranza.

La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso del socio di minoranza, cassando la sentenza d’appello e fornendo principi fondamentali sui limiti del potere della maggioranza.

La Funzione della Clausola di Prelazione

La Cassazione sottolinea che la clausola di prelazione ha una rilevanza organizzativa fondamentale. Essa incide sull’equilibrio tra l’elemento capitalistico e quello personale della società. La sua soppressione non è un atto neutro, ma deteriora inevitabilmente le prerogative degli altri soci, eliminando la ‘parità di chances’ di rafforzare la propria posizione all’interno della compagine sociale.

Il Principio di Buona Fede e Correttezza

L’esercizio del diritto di voto in assemblea, pur essendo espressione del principio di maggioranza, deve sempre avvenire nel rispetto dei canoni di buona fede e correttezza (art. 1375 c.c.). I soci di maggioranza non possono usare il loro potere in modo strumentale per recare un danno ingiustificato al socio di minoranza.

le motivazioni
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ragionamento della Corte d’Appello ‘tautologico e inconferente’. Affermare che il socio sarebbe comunque rimasto in minoranza non coglie il punto centrale della questione. Il vero danno, il ‘vulnus’, consiste nella lesione delle prerogative organizzative del socio: l’abolizione della prelazione gli ha sottratto la possibilità, garantita dallo statuto, di concorrere all’acquisto delle quote e di interferire con la strategia di consolidamento della maggioranza. La stretta successione cronologica degli eventi – prima l’abolizione della clausola, poi, a soli 18 giorni di distanza, la cessione della quota – è stata considerata un indizio grave, preciso e concordante dell’intento fraudolento dei soci di maggioranza. La delibera non era motivata da un interesse sociale, ma unicamente dal fine di escludere il minoritario dall’operazione, violando il principio di buona fede che deve governare l’esecuzione del contratto sociale.

le conclusioni
La sentenza stabilisce un principio di diritto cruciale: una delibera assembleare è annullabile per abuso di maggioranza quando il voto non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società ed è il risultato di un’attività intenzionale e fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a ledere i diritti di partecipazione dei soci di minoranza. L’eliminazione di una clausola di prelazione, funzionale a una successiva cessione di quote tra i soci di maggioranza, rientra pienamente in questa fattispecie. La decisione della Cassazione riafferma che la correttezza e la buona fede sono pilastri invalicabili anche nel diritto societario, proteggendo i soci di minoranza da manovre preordinate a danneggiarli.

È legittimo per la maggioranza dei soci abolire la clausola di prelazione interna?
Non sempre. Secondo la sentenza, l’abolizione della clausola di prelazione diventa illegittima e costituisce un abuso di maggioranza quando è un atto strumentale, non giustificato dall’interesse sociale, ma finalizzato a danneggiare il socio di minoranza impedendogli di esercitare il proprio diritto di acquisto in una successiva e preordinata cessione di quote.

Cosa si intende per ‘abuso di maggioranza’ in questo contesto?
Per abuso di maggioranza si intende una delibera il cui voto, pur formalmente valido, non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società, ma è volto a perseguire un interesse personale antitetico a quello sociale, oppure è il risultato di un’intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione dei soci di minoranza.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto irrilevante che il socio fosse già in minoranza?
La Corte ha ritenuto tale argomento irrilevante perché il danno (‘vulnus’) non risiedeva nel semplice fatto di essere in minoranza, ma nella specifica lesione di una prerogativa organizzativa garantita dallo statuto: il diritto di prelazione. L’abolizione di tale diritto ha eliminato la ‘chance’ del socio di rafforzare la propria posizione, alterando l’equilibrio dei rapporti interni alla compagine sociale in violazione del principio di buona fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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