Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20270 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20270 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15313/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, domiciliazione telematica EMAIL, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliazione telematica EMAIL, EMAIL, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE), PASTORE ALINANTE NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente e ricorrente incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, domiciliata rappresentata come sopra
e
-controricorrente al ricorso incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 795/2022 depositata il 3/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di due motivi, avverso la sentenza n. 795 del 2022 della Corte di appello di Venezia, esponendo, per quanto ancora qui di utilità, che:
-nel 2003 aveva stipulato un contratto con l’allora RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, per la distribuzione di autoveicoli di marca Seat;
-aveva convenuto in giudizio la concedente nel 2014 deducendo la vessatorietà di clausole negoziali sperequate a vantaggio della controparte e, soprattutto, lamentando un depauperamento per unilaterale riduzione di provvigionali e aggravamento dei costi finanziari, tali da integrare un abuso di dipendenza economica quale regolato dall’art. 9 della legge n. 192 del 1998;
-il Tribunale aveva rigettato la domanda sia perché il rapporto contrattuale non era stato di subfornitura, quale regolato dalla disciplina invocata, sia per carenza assertiva e probatoria in ordine alle lamentate iniquità contrattuali;
-la Corte di appello, con sentenza parziale, aveva accolto la domanda, in punto di an , attese, in particolare, le unilaterali riduzioni provvigionali e i parimenti unilaterali
aggravamenti dei costi fideiussori e dei termini di pagamento, in favore della concedente;
-all’esito della rimessione in istruttoria per la determinazione del quantum risarcitorio, la Corte territoriale aveva rigettato, per converso, la domanda, per carenza di prova, affermando la tardività dei documenti di cui la deducente aveva chiesto l’acquisizione solo in sede di operazioni peritali disposte in seconde cure, consistenti nelle fatture di acquisto e vendita, nei contratti di fido ed estratti bancari, che, unitamente in specie al registro IVA acquisti e al sottoconto contabile, erano stati indicati, dal consulente nominato, come necessari alla quantificazione della differenza di margine di ricavi e dell’incremento degli oneri finanziari per il reperimento della fisiologica liquidità;
resiste con controricorso, e propone altresì ricorso incidentale basato su due motivi, la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE;
le parti hanno depositato memorie;
rilevato che
con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 702 -quater , cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato negando l’ammissione della produzione di documenti nuovi e indispensabili agli accertamenti fattuali sottesi alla pretesa, integrativi di quelli già prodotti;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, cod. proc. civ., 1226, 2056, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di procedere in ogni caso a RAGIONE_SOCIALE equitativa del danno, tenendo conto del volume e della tipologia di affari evincibile dal già prodotto registro IVA acquisti;
con il primo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 192 del
1998, poiché la Corte di appello avrebbe errato, con la sentenza parziale relativamente alla quale nella prima udienza successiva alla rimessione in istruttoria era stata fatta riserva d’impugnazione, affermando la sussistenza della responsabilità, in punto di an , senza constatare la dipendenza tecnologica se non economica che costituiva il presupposto per l’applicazione della fattispecie legale tipica in parola, non estensibile al contratto oggetto di lite;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione della stessa norma di cui alla prima censura, poiché la Corte di appello avrebbe errato non avendo verificato in alcun modo la dipendenza economica affermata, in specie sotto il profilo dell’effettiva sussistenza o meno di alternative di mercato, per il preteso danneggiato, e, parimenti, sotto l’ulteriore profilo della sussistenza del sotteso e però necessario elemento soggettivo dell’intenzionalità delle condotte pregiudizievoli imputate, in capo al preteso danneggiante;
considerato che
dev’essere scrutinato prioritariamente, per ragioni logiche, il tempestivo ricorso incidentale;
preliminarmente deve disattendersi il rilievo di parte a tale ricorso controricorrente volto a sostenere che vi sarebbe giudicato ostativo per la mancata impugnazione della sentenza definitiva in cui la sussistenza della responsabilità, in punto di an , sarebbe stata ribadita con ulteriore statuizione;
l’eccezione è manifestamente infondata;
il capo decisorio in questione è stato fatto proprio dalla sentenza parziale e dunque il suo richiamo in quella definitiva costituisce mero obiter ricostruttivo della vicenda processuale;
nel merito cassatorio, il primo motivo è infondato;
questa Corte ha chiarito da tempo che la disciplina dell’abuso di dipendenza economica è generale e non correlata al contatto di subfornitura né a requisiti specifici come la dipendenza tecnologica
invocata da parte ricorrente: riprendendo le parole di Cass., Sez. U., 25 novembre 2011, n. 24906 , dev’essere ribadito che «l ‘abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 della legge n.192 del 1998 configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall’esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di dipendenza economica di un’impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in secondo luogo, l’abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obblighi, considerato anzitutto il dato letterale della norma, ove si parla di imprese clienti o fornitrici, con uso del termine cliente che non è presente altrove nel testo della L. n. 192 del 1998» (§ 3.4);
naturalmente, «poiché l’abuso in questione si concretizza nell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell’ambito di “rapporti commerciali”, esso presuppone che tali rapporti siano regolati da un contratto, tant’è che il comma terzo dell’art. 9 cit. statuisce la nullità del “patto che realizza l’abuso” di dipendenza economica», e «questa soluzione di inquadramento contrattuale della responsabilità da abuso di dipendenza economica si pone in armonia con altri istituti elaborati dalla dottrina», nonché giurisprudenziali, in punto di «abuso del diritto», inteso in chiave funzionale (Cass., Sez. U., n. 24906 del 2011, cit., § 3.6., in cui si menziona Cass., 18/09/2009, n. 20106);
di qui alcuni arresti in cui, pur risolvendosi la controversia, in sede di legittimità, in termini d’inammissibilità per i limiti non fattuali del sindacato proprio di questa Corte, questa portata applicativa è stata data sostanzialmente per acquisita (Cass., 8/03/2017, n. 5800, in un caso di contratto dello stesso tipo di quello qui in esame);
nella stessa prospettiva è stato esplicativamente affermato che l’abuso di dipendenza economica, di cui all’art. 9 della legge n. 192 del 1998, è nozione indeterminata il cui accertamento postula
l’enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell’interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto, sicché, nell’applicazione della norma, è necessario: 1) quanto alla sussistenza della situazione di “dipendenza economica”, indagare, in coerenza con l’ottica di analisi economica del diritto, se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia “eccessivo”, essendo quindi il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (ad esempio, perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); 2) quanto all'”abuso”, indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell’impresa dominante (quale, per esempio, modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui (Cass., 21/01/2020, n. 1184);
il secondo motivo è fondato;
la Corte territoriale ha affermato l’abuso in parola con il richiamo di alcune clausole contrattuali, facendo leva sulla riduzione dei margini di profitto e sull’incremento dei costi quanto ai minimali fideiussori, per concludere nel senso di modifiche unilaterali ingiustificatamente gravose, lesive di un affidamento commerciale, e strumentali al rafforzamento della posizione di dominio della casa madre;
in un contesto apodittico, non è stata minimamente analizzata non solo la sussistenza della sopra descritta intenzionalità, ma, in particolare, la concreta possibilità, oggetto a
sua volta di verifica e concreto tentativo di esercizio da parte del concessionario, di reperire valide alternative di mercato svincolandosi dal rapporto abusivo, secondo quanto è onere della parte che formula la domanda in scrutinio allegare e provare, trattandosi di fatto costitutivo della pretesa (Cass., n. 1184 del 2020, pag. 15) e in coerenza col principio di vicinanza della prova, salva disposizione di analisi tecniche peritali;
alla cassazione della sentenza parziale sull’ an non consegue la caducazione di quella definitiva, in tesi in ragione dell’effetto espansivo esterno codificato dall’art. 336, cod. proc. civ., poiché, nell’ipotesi, non vi è una dipendenza logica (arg., sia pure in fattispecie differenti, ex Cass., 31/10/2016, n. 22049 e Cass., 19/07/2022, n. 22623), posto che il rigetto della domanda per mancata prova del quantum liquidabile è autosufficiente;
di qui la necessità di scrutinare il ricorso principale;
il primo motivo è fondato con assorbimento logico del secondo;
l’art. 702 -quater , cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, nel prevedere la possibilità di produrre nuovi documenti che risultino indispensabili alla decisione, riprendendo la disciplina di cui all’art. 345, terzo comma, nella formulazione antecedente al decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, espande le possibilità istruttorie in seconde cure, compensando sistematicamente, come osservato in dottrina, la compressione derivante dalla semplificazione procedimentale propria del primo grado nella disciplina del procedimento sommario di cognizione seguìto (cfr., ad esempio, Cass., 28/02/2017, n. 5241 e succ. conf.);
a fronte di ciò, la prova offerta sarà ammissibile quando sia indispensabile ai fini della decisione, tale essendo quella idonea a eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, senza che rilevi l’accertata sua
impossibilità di produzione, che integra, invece, un presupposto diverso e alternativo di ammissibilità (v. di recente Cass., 04/01/2024, n. 196, secondo cui, diversamente ragionando, si attribuirebbe alla riforma del 2012, che ha eliminato, nel procedimento ordinario, il requisito della indispensabilità, un significato non innovativo e anzi più permissivo del testo previgente);
la giurisprudenza relativa alla suddetta disciplina previgente dell’art. 345, cod. proc. civ., discorre, dunque, di superamento di dubbi inerenti alla ricostruzione fattuale (v. Cass., Sez. U., 4/05/2017, n. 10790, cui adde le succ. conf., secondo cui tale prova indispensabile «è quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado»);
come logico, questa disciplina concernente lo specifico rito procedimentale, supera, come tale, il distinto tema dei limiti di acquisizione di prove documentali da parte del consulente tecnico d’ufficio, evocato anche in memoria da parte controricorrente (richiamando Cass., Sez. U., 1/02/2022, n. 3086);
secondo il Collegio di merito, nel caso la ricostruzione fattuale sarebbe già stata oggetto di accertamento con la sentenza parziale e, sul punto, non vi sarebbero incertezze da elidere;
l’affermazione integra errore in procedendo ;
è del tutto evidente che la ricostruzione fattuale concerne anche la verifica della concreta sussistenza quantitativa dei danni, tanto da poter fondare un rigetto nel merito;
nella fattispecie poi, è la stessa sentenza impugnata (a pag. 4) che, richiamando quanto affermato in una propria ordinanza
istruttoria e dallo stesso consulente d’ufficio nominato, ha constatato l’indispensabilità della documentazione che la parte attrice si era offerta di produrre nel corso delle operazioni peritali;
si trattava della documentazione afferente alle vendite e agli oneri bancari che avrebbe potuto raffrontarsi, secondo il vaglio proprio del giudice di merito, con il prodotto registro IVA acquisti e il parimenti prodotto saldaconto (docc. 7 e 12 del fascicolo di prime cure della parte);
ne deriva quanto anticipato; spese al giudice del rinvio;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il primo motivo di ricorso incidentale e accoglie il secondo, cassa entrambe le sentenze impugnate e rinvia alla Corte di appello di Venezia perché, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17/05/2024.