Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27349 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27349 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15720/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Terni, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 3105/2020, depositata il 18 dicembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Oggetto: abuso di dipendenza economica
RILEVATO CHE:
la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata il 1° dicembre 2020, che, pronunciandosi sui -riuniti -gravami interposti per la riforma di due sentenze del Tribunale di Reggio Emilia (nn. 111/11 e 1725/15), ha dichiarato la risoluzione del contratto concluso di subfornitura concluso il 3 luglio 1996 tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per inadempimento della prima, disattendendo le altre domande proposte dalle parti;
la Corte di appello ha dato atto che nel giudizio sfociato nella sentenza n. 111/11 la RAGIONE_SOCIALE aveva domandato la risoluzione di tale contratto, con il quale aveva affidato alla RAGIONE_SOCIALE la lavorazione di materiali litoidi (zeoliti), per inadempimento di quest’ultima , e la condanna della medesima al risarcimento dei relativi danni e che in tale giudizio la convenuta aveva chiesto, in via riconvenzionale, la nullità di alcune clausole di tale contratto per abuso di dipendenza economica, abuso di posizione dominante, mancata specifica approvazione per iscritto, benché aventi carattere vessatorio, e violazione del patto di non concorrenza, l’accertamento del suo diritto a sospendere la propria prestazione, la risoluzione del contratto per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e, in ogni caso, la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni ;
ha reso noto che tale giudizio si era concluso con una sentenza di improcedibilità per mancato esperimento del tentativo di conciliazione;
ha, altresì, riferito che in un successivo giudizio, conclusosi con la sentenza n. 1725/15, il medesimo Tribunale aveva respinto l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE al decreto con cui le era stato ingiunto di pagare in favore della RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 222.108,04, in adempimento del predetto contratto,
respingendo le domande riconvenzionali dell’opponente di risoluzione contrattuale e risarcimento dei danni e dichiarando inammissibile quella dell’opposta al pagamento della penale per ritardato pagamento delle fatture poste a fondamento del ricorso per ingiunzione;
il giudice di appello, dopo aver riunito i gravami proposti avverso tali due sentenze, ha ritenuto procedibile il giudizio dapprima incardinato dalla RAGIONE_SOCIALE e, accertata la (contestata) competenza per territorio, ha disatteso sia le domande formulate dalla società nel primo giudizio, sia i motivi di appello dalla medesima articolati nei confronti della seconda sentenza;
-ha, poi, accolto l’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE avverso la prima sentenza, limitatamente alla domanda di risoluzione del contratto dalla stessa avanzata, respingendo le altre sue domande;
il ricorso è affidato a quattro motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE;
-quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 cpc, per omessa applicazione della legge 192/1998 in materia di subfornitura e per non aver qualificato il rapporto intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE nel tipo di subfornitura»;
con il secondo motivo deduce la «violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 cpc, per avere la Corte d’appello di Bologna rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la declaratoria di nullità delle clausole contrattuali per abuso di posizione dominante ex art. 9 l. 192/1998»;
con il terzo motivo si duole della «violazione e/o falsa applicazione
di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 cpc, per avere la Corte d’appello di Bologna ritenuto valido il patto di non concorrenza post contrattuale in violazione dell’art. 2596, comma 1, c.c. »;
evidenzia, in proposito, che tale patto non era circoscritto né a una determinata zona, né a una determinata e specifica attività, interessando tutte le attività contrattualmente previste di lavorazione per conto proprio e di terzi di zeoliti, nonché anche la vendita;
-con l’ultimo motivo lamenta la nullità della sentenza per aver la Corte di appello ritenuto procedibili le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE nei due giudizi di primo grado pur in assenza del previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione;
i primi due motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
la Corte territoriale ha affermato che non occorreva procedere all’accertamento della natura del contratto concluso tra le parti in quanto la qualificazione dello stesso in termini di subfornitura o meno era del tutto irrilevante ai fini del decidere in ordine alla dedotta nullità per abuso di dipendenza economica in ragione dell’inapplicabilità della l.n. 112 del 1998 al rapporto ratione temporis ;
-la ricorrente contesta siffatta affermazione sostenendo che il rapporto era « riconducibile … nel tipo della subfornitura » e che una corretta qualificazione del contratto avrebbe condotto all’applicazione dell’invocato art. 9 l.n. 112 del 1998;
così formulate le doglianze non aggrediscono la ratio decidendi che consiste non già nella non riconducibilità del rapporto contrattuale tra quelli presi in considerazione della richiamata disposizione normativa, bensì nell’inapplicabilità di quest’ultima a tale rapporto contrattuale ratione temporis , in quanto entrata in vigore successivamente alla conclusione del contratto;
-le censure si presentano, dunque, prive della necessaria concludenza;
il terzo motivo è del pari inammissibile;
-l’art. 2596 cod. civ. subordina la validità del patto al fatto che sia circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività e non superi la durata di cinque anni;
la Corte di appello ha, sul punto, osservato che il patto era circoscritto quanto all’attività, non essendovi evidenza che lo stesso precludesse la possibilità della RAGIONE_SOCIALE «di impiegare la propria capacità imprenditoriale nel settore economico di riferimento»;
-la ricorrente contesta siffatto accertamento, rilevando che l’oggetto del patto di non concorrenza era «indeterminato e illimitato, equipollente ad un sostanziale divieto per la RAGIONE_SOCIALE di svolgere tutte le attività contrattualmente previste ed anche quelle non previste (la vendita)»;
-tale doglianza si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie effettuate dal giudice di merito che è a questi riservata (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
sotto altro aspetto, si osserva che il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
la censura non rispetta tale limite;
anche il quarto motivo è inammissibile;
la ricorrente, infatti, non ha interesse a far valere la dedotta improcedibilità del giudizio instaurato dalla RAGIONE_SOCIALE (sfociato nella
sentenza di primo grado n. 111/11) per mancato esperimento del per mancato esperimento del tentativo di conciliazione, in quanto tale giudizio si è concluso con la reiezione delle domande proposte della medesima RAGIONE_SOCIALE, per cui difetta il requisito della soccombenza, da intendersi in senso sostanziale, in relazione al pregiudizio che la parte subisce a causa della decisione, da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (cfr. Cass. 29 dicembre 2022, n. 38054; Cass. 19 settembre 2022, n. 27387; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395);
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 2 ottobre 2024.