Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4063 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4063 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 15408/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con indirizzo pec EMAIL, elettivamente domiciliato in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO, ricorrente
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, DELLA VALLE VALERIANO, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con indirizzo pec EMAIL, elettivamente domiciliati in Roma presso l’AVV_NOTAIO, nel suo studio in INDIRIZZO, controricorrenti
nonché contro
COGNOME, nel giudizio di appello rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e con domicilio eletto presso di lei, intimato
OGGETTO: contratto d’opera
R.G. 15408/2018
C.C. 7-9-2023
avverso la sentenza n. 1642/2017 della Corte d’appello di Ancona pubblicata il 3-11-2017
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7-92023 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La sentenza n.188 depositata il 28-8-2011 del Tribunale di Fermo sezione distaccata di Sant’Elpidio a Mare, accogliendo la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti d ell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha dichiarato l’insussistenza di qualsiasi obbligazione di pagamento di compensi professionali a favore del convenuto r iguardo all’attività svolta in riferimento al terreno edificabile di proprietà degli attori in Comune di Montegranaro, condannando il convenuto alla rifusione delle spese processuali.
La sentenza n. 180 depositata il 6-11-2012 del Tribunale di Fermo sezione distaccata di Sant’Elpidio a Mare ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, con la chiamata in garanzia da parte dei convenuti di NOME COGNOME, al fine di ottenere il pagamento delle prestazioni professionali per l’importo di Euro 582.882,00 oltre accessori, riferite al medesimo terreno in Comune di Montegranaro, compensando le spese processuali.
2.Gli appelli proposti avverso le sentenze sono stati riuniti dalla Corte d’appello di Ancona e sono stati integral mente rigettati dalla sentenza n. 1642 pubblicata il 3-11-2017, che ha condannato l’appellante NOME COGNOME alla rifusione delle spese del grado a favore degli appellati COGNOME e COGNOME e ha compensato le spese del grado nei confronti di NOME COGNOME.
La sentenza ha rilevato che il professionista, nell’azione di accertamento negativo sull’esistenza del credito proposta nei suoi confronti, si era limitato a opporre eccezioni di rito, di nullità della
domanda per genericità e di incompetenza per territorio; invece di difendersi compiutamente nel merito in quel giudizio proponendo domanda riconvenzionale per il pagamento dei compensi professionali rivendicati, aveva preferito incardinare un successivo distinto giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia sezione distaccata di San Severo, il quale si era dichiarato incompetente, con abuso dello strumento processuale. Invece gli attori avevano chiarito in citazione e documentato fatti e circostanze dai quali der ivava l’assenza di incarico nei confronti del professionista e l’esistenza delle condizioni per l’efficacia dell’incarico; l’assenza di elemento certo di attribuzione dell’incarico e il contegno passivo di non contestazione assunto dal professionista avevano costituito il corretto presupposto della sentenza di primo grado n. 188/2011, che aveva accertato l’insussistenza del diritto al compenso. Ha rigettato il motivo di appello riferito all’omessa valutazione della ‘postilla integrativa redatta in data 6 maggio 2004 alla lettera c’, in quanto tale postilla costituiva un assenso all’adempimento di incarico che, in base alla scrittura privata di permuta del 6-5-2004, era a totale carico del cessionario NOME COGNOME; ha aggiunto che le ulteriori contestazioni svolte solo in appello erano tardive.
In ordine al giudizio conclusosi con la sentenza n. 180/2012, la Corte d’appello ha dichiarato che si trattava della conseguenza dell’abuso del processo commesso da NOME COGNOME, il quale aveva cercato di duplicare un giudizio già in atto, spostandolo dinanzi a un giudice diverso erroneamente ritenuto territorialmente competente, in quanto il rapporto fondamentale era il medesimo; ha richiamato Cass. 567/2015, secondo cui le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte mediante l’introduzione di secondo giudizio, identico al primo e allo stesso riunito; ha evidenziato che, allorché NOME COGNOME aveva avviato la causa davanti al Tribunale di Foggia aveva già ricevuto la
notificazione della citazione avanti al Tribunale di Fermo, quindi conosceva l’esistenza di una legittima sede di contenzioso sul medesimo rapporto e si era posto liberamente nella condizione di maturare le preclusioni e decadenze processuali; perciò la decisione nel procedimento iniziato per primo con l’ accertamento nel merito dell’inesistenza del rapporto professionale e del credito per prestazioni professionali precludeva ed escludeva la possibilità che le medesime pretese potessero trovare accoglimento nel secondo procedimento.
3.Con atto notificato il 30-4-2018 NOME COGNOME ha proposto tempestivo ricorso per cassazione avverso la sentenza, non notificata, sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso e NOME COGNOME è rimasto intimato.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio i controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del giorno 7-9-2023 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso è rubricato ‘ violazione dell’art. 360, n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per aver il giudice invertito l’onere probatorio, ritenendo che nel procedimento di accertamento negativo del credito il convenuto è l’unico soggetto su cui incomba la responsabilità di dimostrare il fatto costitutivo del diritto, semplicemente contestato dagli attori ‘ . Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia rigettato l’appello avverso la sentenza n. 188/2011 sulla base della considerazione che l’appellante si era limitato a svolgere eccezioni di rito senza contestare nel merito la domanda degli attori e senza fornire la prova del fatto costitutivo del credito, così consentendo che i fatti rimanessero accertati secondo le
deduzioni della controparte . Evidenzia che l’architetto, convenuto nell’azione di accertamento negativo, aveva contestato le difese dei debitori e mediante la produzione del contratto 6-5-2004 aveva dato la prova del suo credito, cioè della fonte negoziale dell’incarico professionale; rileva che nel contratto 6-5-2004 i cedenti avevano autorizzato espressamente l’architetto allo svolgimento dell’incarico e tale precisazione, se non interpretata nel senso di attribuzione dell’incarico professionale, non avev a alcun senso.
1.1.Il motivo è infondato in quanto la sentenza impugnata, nel rigettare l’appello avverso la sentenza che aveva accolto la domanda di accertamento negativo del credito, non ha invertito l’onere probatorio né ha fatto erronea applicazione del principio di non contestazione, per cui non sussistono le violazioni di legge prospettate.
Al punto 8 la sentenza impugnata ha testualmente dichiarato che gli attori avevano «documentato fatti e circostanze da cui derivava l’assenza di un atto di incarico nei confronti del professionista sia l’attualità ed efficacia delle pattuite condizioni per l’efficacia dello stesso»; ha aggiunto che « l’assenza in atti di un elemento certo di attribuzione dell’incarico (come argomentato dagli originari attori) e il contegno passivo di non contestazione assunto dal COGNOME hanno costituito il corretto presupposto decisorio della sentenza di primo grado». Di seguito al punto 9 la sentenza, esaminando la questione relativa alla postilla integrativa al contratto redatta il 6-5-2004, ha testualmente dichiarato «Ritiene il Collegio del tutto evidente che tale postilla contenga una mera autorizzazione (cioè un assenso) all’adempimento di un incarico che, dalla scrittura privata principale di permuta del 6-5-2004, risulta chiaramente a totale carico del cessionario NOME COGNOME».
In questo modo la Corte d’appello ha fondato la decisione sul dato dell ‘esclusione del conferimento dell’incarico al professionista da parte
degli attori e sul dato che l’incarico era stato conferito da NOME COGNOME. Il ricorrente sostiene di avere dato prova del conferimento dell’incarico da parte di COGNOME e COGNOME, ma la sentenza al punto 9 ha espressamente escluso che tale prova fosse fornita sulla base della scrittura e della postilla integrativa richiamate dal ricorrente e, al contrario, ha dichiarato che la scrittura dava la prova che l’incarico era stato conferito dal cessionario NOME COGNOME e non dai COGNOME e COGNOME Val le come sostenuto dall’appellante NOME COGNOME . Gli argomenti svolti dal ricorrente per sostenere che le scritture contenessero la prova del conferimento dell’incarico da parte dei consorti RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE non sono oggetto di nuovo apprezzamento in questa sede, spettando al giudice di merito la valutazione del materiale probatorio e l’interpretazione del contenuto del contratto e non essendo stato proposto motivo di ricorso volto a sostenere né il travisamento della prova né la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale.
2.Il secondo motivo è rubricato ‘ violazione dell’art. 360 c.1 n.5 c.p.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. per aver omesso il giudice di considerare anche in relazione al procedimento n. 91/12 R.G. le prove documentali tempestivamente offerte nel giudizio riunito n. 48/13 R.G., esplicito oggetto di discussione tra le parti, e decisive nella risoluzione della controversia’. Il ricorrente sostiene, richiamando Cass. 15189/2001, che nel caso di riunione di procedimenti le prove raccolte in uno dei giudizi riuniti siano automaticamente utilizzabili anche nell’altro; evidenzia che nel giudizio di primo grado introdotto dal professionista per ottenere il pagamento delle proprie prestazioni professionali, definito con la sentenza n.180/2012, impugnata nel procedimento di appello n. 48/2013, l’attore aveva prodotto non so lo il contratto ma anche la prova della sua effettiva esecuzione, ossia i progetti e tutti gli elaborati realizzati dall’architetto e presentati al
Comune di Montegranaro unitamente alla domanda per l’ottenimento del permesso a costruire, nell’interesse sia del concedente che del cessionario. Lamenta che la sentenza impugnata, sul falso presupposto che la causa non fosse il frutto di legittimo esercizio di diritto costituzionalmente garantito ma di abuso del processo, abbia ritenuto di non potere utilizzare quelle prove anche per decidere la causa di accertamento negativo del credito.
3.Con il terzo motivo intitolato ‘ violazione dell’art. 360 co.1 n.3, in relazione all’art. 2 Cost., per aver qualificato l’introduzione del procedimento n. 48/13 R.G. come abuso del processo da parte del ricorrente’, il ricorrente evidenzia che non sussiste obbligo a carico del convenuto di spiegare domanda riconvenzionale nella causa precedentemente instaurata, potendo il convenuto limitarsi a chiedere il rigetto della domanda e riservarsi autonoma iniziativa giudiziaria per ottenere la condanna al pagamento di quanto a lui dovuto. Rileva come sia falsa la circostanza dedotta dalla Corte d’appello, secondo la quale egli aveva rinunciato a difendersi nel giudizio di accertamento negativo del credito, in quanto egli in quel giudizio aveva scelto legittimamente di limitare la sua difesa alla contestazione della domanda; aggiunge che non può costituire motivo di addebito a suo carico la legittima scelta di non svolgere domanda riconvenzionale nel procedimento incardinato dai debitori, avendo lui preferito svolgere un autonomo giudizio.
4.Il secondo e il terzo motivo, trattati unitariamente stante la stretta connessione, sono infondati, in quanto la Corte d’appello ha esattamente rigettato la domanda del professionista, seppure sulla base di motivazione che deve essere corretta ex art. 384 co. 5 cod. proc. civ. nei termini di seguito esposti.
Si esclude che alla fattispecie siano applicabili puramente e semplicemente i principi sul divieto dell’abuso dello strumento
processuale evocati dalla sentenza impugnata ed elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di frazionamento del credito, in quanto le ipotesi sono diverse. In quel caso si tratta di crediti che hanno titolo in un unico rapporto obbligatorio o che almeno si inscrivono in una relazione unitaria tra le parti, che il creditore arbitrariamente fraziona in plurime richieste giudiziali, così abusando dello strumento processuale (Cass. Sez. U 16-2-2017 n. 4090 Rv. 643111-01, Cass. Sez. 2 9-9-2021 n. 24371 Rv. 662163, per tutte). In questo caso non è frazionato un credito, ma si pone un rapporto di continenza tra l ‘azione di accertamento negativo del diritto di credito relativo a prestazioni professionali e l’azione di accertamento positivo del medesimo diritto di credito e di condanna al pagamento, in quanto tali cause hanno identità di elementi soggettivi e coincidenza solo parziale di elementi oggettivi (Cass. Sez. 3 21-7-2022 n. 22830 Rv. 665421, Cass. Sez. 1 9-3-1971 Rv. 350361-01). La continenza è disciplinata dall’art. 39 co.2 cod. proc. civ. senza prevedere che la domanda successivamente proposta -per il solo fatto che avrebbe potuto essere svolta nel giudizio già pendente- non debba essere esaminata nel merito ed è soltanto il passaggio in giudicato di una delle due sentenze che decidono le cause connesse a precludere l’esame nel merito delle domande nel giudizio ancora pendente, nel quale varrà l’autorità del giudicato (cfr. Cass. 22830/2022 già citata).
Però si pone ed è decisiva la specifica questione delle preclusioni già maturate nel primo giudizio, che l’instaurazione della seconda causa non può mai essere strumento per aggirare. Per il caso di giudizi identici, oltre a Cass. Sez. 1 15-1-2015 n. 567 (Rv. 633952-01) richiamata dalla sentenza impugnata, Cass. Sez. 3 5-10-2018 n. 24529 (Rv. 651137-02) e Cass. Sez. 2 14-7-2023 n. 20248 (Rv. 668402-01) hanno escluso che le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado possano essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa
mediante l’introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito. Per lo specifico caso in oggetto, di giudizi in rapporto di continenza, deve essere data continuità al principio posto da Cass. Sez. 3 2-7-2021 n. 18808 (Rv. 661705-01), secondo il quale ‘ Nel caso di riunione di cause, tra loro in rapporto di continenza e pendenti davanti al medesimo giudice, le preclusioni maturate nel giudizio preveniente anteriormente alla riunione rendono inammissibili nel giudizio prevenuto in osservanza del principio del ‘ne bis in idem’ e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale – solo le attività, soggette alle scansioni processuali dettate a pena di decadenza, svolte con riferimento all’oggetto di esso che sia comune al giudizio preveniente e non si comunicano, pertanto, né alle attività assertive che, come le mere difese e le eccezioni in senso lato, non soggiacciono a preclusione, né alle attività assertive e probatorie che, pur soggette a preclusione, concernono la parte del giudizio prevenuto non comune con quello preveniente’.
Esaminando l’appello proposto avverso la sentenza che aveva deciso la causa instaurata per prima, relativa all’accertamento negativo del credito, la Corte d’appello ha escluso la conclusione del contratto avente a oggetto il conferimento dell’incarico professionale, sulla base di una valutazione delle prove offerte in quel giudizio che il ricorrente ha censurato con il primo motivo di ricorso per cassazione già dichiarato infondato. A quel punto esattamente la Corte d’appello non ha esaminato le prove fornite nella seconda causa al fine di dimostrare la conclusione di quel contratto, stante la preclusione verificatasi per il fatto che quelle prove avrebbero dovuto essere svolte nel primo giudizio, al fine di contrastare la domanda di accertamento negativo del credito. Esclusa la conclusione del contratto avente a oggetto il conferimento dell’incarico professionale, la Corte non aveva ragione di procedere a esaminare le prove volte a dimostrare l’e secuzione delle
prestazioni, seppure si trattava di prove concernenti la parte del giudizio prevenuto non comune a quello preveniente e perciò non soggette in sé a preclusione; ciò in quanto l’ accertata esclusione della conclusione del contratto comportava la mancanza del titolo dello svolgimento delle prestazioni e perciò rendeva irrilevante l’accertamento dello svolgimento delle prestazioni . Né può ritenersi che dall’accertamento dello svolgimento delle prestazioni il giudicante avrebbe potuto trarre argomenti per ritenere la conclusione del contratto di prestazione d’opera professionale, perché in questo modo sarebbe aggirata la preclusione verificatasi nel primo giudizio con riguardo alla prova della conclusione del contratto.
5.Ne consegue che il ricorso deve essere integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese di lite del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione