Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13863 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13863 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11241/2024 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliata, presso lo studio dell’avvocato COGNOME -domicilio digitale: EMAIL, che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO MILANO n. 651/2023 depositata il 10/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME era stata ammessa al passivo del fallimento di Emint s.p.a., dichiarato il 17.5.2001, quale lavoratrice subordinata, per l’importo di € 3.849,51 in privilegio ex art.2751 bis n.1 cc; il credito era stato integralmente soddisfatto con il riparto finale esecutivo il 26.2.2020; la procedura fallimentare era stata chiusa in data 10.6.2022 e nei sei mesi NOME COGNOME aveva proposto ricorso per ottenere l’indennizzo da irragionevole durata della procedura.
Il Giudice designato aveva accolto parzialmente il ricorso, nei limiti di € 3.600,00.
Proposta opposizione ex art.5 ter l.n.89/2001, il Ministero della Giustizia aveva lamentato che non esisteva in capo alla ricorrente un credito il cui pagamento oltre la ragionevole durata del processo le avesse causato danni non patrimoniali risarcibili ex art.2 e 3 l, cit.; in particolare, il Ministero opponente aveva sottolineato che il credito della ricorrente non era stato soddisfatto in sede di riparto finale ma le era stato integralmente pagato, attraverso il Fondo di Garanzia INPS, nove mesi dopo l’ammissione al passivo e quindi entro il termine di ragionevole durata della procedura. Il Ministero aveva aggiunto che dai verbali di stato passivo e dal riparto finale risultava apparentemente un altro credito di NOME COGNOME di natura chirografaria per € 39.161,51; si trattava però di un credito inesistente perché, per mero errore materiale, attribuito dal curatore alla ricorrente invece che al reale creditore COGNOME.
La Corte d’Appello di Milano aveva accolto l’opposizione sulla seguente motivazione: -la richiesta di indennizzo era stata proposta per il ritardo con cui si assumeva essere stato pagato il credito di lavoro di natura privilegiata; -dalla documentazione in atti emergeva che detto credito era stato interamente pagato dal
Fondo di Garanzia INPS a distanza di nove mesi dall’ammissione al passivo, senza residui; -la difesa di NOME COGNOME non aveva contestato l’intervenuto integrale pagamento del credito di lavoro né l’errore affermato, ricostruito e documentato, dal Ministero della Giustizia in ordine all’ammissione al passivo del credito chirografario all’apparenza a lei riferibile, limitandosi a rilevare l’efficacia di giudicato dello stato passivo del Fallimento Emint s.p.a.; poiché l’unico credito posto a base della pretesa indennitaria in questa sede era quello di lavoro ed era stato interamente pagato nel termine di ragionevole durata della procedura, nulla era dovuto ai sensi della legge n.89/2001; -le spese di lite seguivano la soccombenza e sussistevano i presupposti per la pronuncia ex art.96 co 3 c.p.c., che si quantificava in € 1.923,00, per abuso del processo ed evidente mala fede della ricorrente nel resistere nel presente giudizio.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art.5 ter l. n.89/2001, in relazione all’art.6, paragrafo 1 CEDU, all’art.1 del primo protocollo addizionale e agli art.111 e 117 della CostituzioneArt.360 co 1 n.3 c.p.c.’, per aver la Corte di merito omesso di considerare l’ulteriore credito chirografario risultante dallo stato passivo a suo favore, al quale avrebbe dovuto essere riconosciuta efficacia di giudicato.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
L’oggetto della domanda ex art.2 bis l. n.89/2001 è stato identificato da NOME COGNOME con il ricorso introduttivo che ha radicato la fase monitoria, nel ritardo assunto irragionevole con il quale le era stato riconosciuto il pagamento del credito di lavoro, insinuato al passivo fallimentare di Emint s.p.a., di € 3.849,51.
La ricorrente non ha mai fatto riferimento, nel proposto ricorso, ad altri crediti vantati verso il Fallimento e non onorati entro il termine di ragionevole durata di esso: la questione dell’apparente ulteriore credito chirografario di NOME COGNOME verso il RAGIONE_SOCIALE, risultante dallo stato passivo ma affermato inesistente, è stata introdotta dal Ministero della Giustizia in sede di opposizione a completamento delle difese svolte, ma essa non era e non è funzionale a dette difese e certo non poteva e non può determinare il sorgere di alcun diritto della controparte privata a vantare pretese indennitarie in relazione ad esso nell’ambito del giudizio di opposizione ex art.5 ter l. n.89/2001, il cui oggetto si modella in relazione al contenuto del ricorso introduttivo disciplinato all’art.3 l. cit.
Con il secondo motivo NOME COGNOME prospetta l’intervenuta ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art.96 comma 3 c.p.c. -art.360 co 1 n.3 c.p.c.’, perché la Corte d’Appello di Milano avrebbe motivato la condanna ai sensi della norma richiamata facendo riferimento a fatti estranei alle ragioni di accoglimento dell’opposizione erariale.
Questo motivo di ricorso deve essere accolto.
La Corte di merito ha fondato la condanna ex art.96 co 3 c.p.c. a carico di NOME COGNOME imputandole di aver abusato del processo, per aver ‘resistito al giudizio con evidente mala fede non potendo non essere ben consapevole dell’inesistenza del credito e abbia poi speculato su un errore non riconoscibile’.
L’estraneità del presunto credito chirografario di NOME COGNOME dall’ambito del giudizio ex art.3 e 5 ter l. n.89/2001, introdotto -pur con esito finale negativoper l’ottenimento dell’indennizzo per equa riparazione in relazione ad un credito privilegiato di lavoro effettivamente vantato dalla ricorrente verso la procedura fallimentare, ne esclude la possibilità di valorizzazione ai fini del riconoscimento, nello stesso ambito processuale, della
responsabilità aggravata ex art.96 co 3 c.p.c. sotto il profilo dell’abuso del processo.
La circostanza che, in concreto, sia stato trattato nell’ambito del giudizio di opposizione il tema dell’esistenza ed entità di detto presunto credito chirografario verso il fallimento RAGIONE_SOCIALE s.p.a., apparentemente riferibile alla ricorrente, non può infatti determinare un conseguente ampliamento legittimo dell’oggetto del giudizio, perimetrato -si ripete- quanto alla richiesta indennitaria dal ricorso proposto ex art.3 l. n.89/2001.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta la ‘Violazione e/o falsa applicazione degli art.91 e 92 c.p.c. e dell’art.2, DM Giustizia n.55/2014 -art.360 co 1 n.3 c.p.c.’, essendo stata condannata, quanto alle spese processuali riconosciute a favore della controparte, anche al pagamento delle spese generali, pur essendo stato il Ministero della Giustizia assistito dall’Avvocatura dello Stato.
Anche il terzo motivo di ricorso proposto è fondato.
La ricorrente lamenta il riconoscimento a favore dell’Avvocatura dello Stato anche delle spese forfetarie ex art.2 co 2 DM n.55/2014, dovute invece solo per i professionisti del libero Foro.
Questa Corte si è effettivamente già espressa sul punto, ritenendo che nel caso in cui siano riconosciute le spese processuali a favore della parte assistita dall’Avvocatura dello Stato, esse non debbano essere incrementate anche del rimborso delle spese generali, essendo questo riconoscibile, ex art. 2 co. 2 DM cit., solo in favore degli Avvocati del libero foro e non anche nel caso in cui la parte sia assistita dalla difesa erariale -cfr., sul punto, Cass. n.28505/2020, non massimata, in motivazione-.
In conclusione, deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso mentre debbono essere accolti il secondo e il terzo motivo; viene conseguentemente cassato il provvedimento impugnato e, con decisione nel merito, si espunge la condanna di
NOME COGNOME al pagamento dell’importo di € 1.923,00 ai sensi dell’art.96 u.c. c.p.c. e si espunge, quanto alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali della fase di merito, il solo riferimento al rimborso delle spese forfetarie perché non dovute in caso di patrocinio ad opera dell’Avvocatura dello Stato, sostituendolo con il riferimento all’obbligo di rimborso delle spese prenotate a debito.
9. Le spese processuali relative alla fase di merito si mantengono nell’importo quantificato dalla Corte d’Appello di Milano -€ 1.923,00, oltre gli oneri accessori dovuti per legge-, essendo rimasta ferma la revoca del decreto monitorio in accoglimento del merito dell’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia e rispondendo la somma liquidata ai valori medi dello scaglione di riferimento da € 1.101,00 a € 5.200,00, senza considerazione della fase istruttoria: riguardo allo scaglione di riferimento e all’importo individuato non sono state proposte, del resto, doglianze-: la riforma del provvedimento impugnato ha riguardato pronunce -risarcimento del danno ex art.96 u.c. c.p.c., identificazione della debenza delle spese forfetarierimesse all’iniziativa del Giudice.
10. Le spese del giudizio di legittimità si pongono a carico del Ministero della Giustizia e si liquidano come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, inammissibile il primo; cassa in relazione ai motivi accolti il provvedimento della Corte d’Appello di Milano e, decidendo nel merito espunge dal decreto della Corte d’Appello impugnato la condanna di NOME COGNOME al pagamento dell’importo di € 1.923,00 ai sensi dell’art.96 u.c. c.p.c. ed espunge, quanto alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali della fase di merito, il riferimento al rimborso
delle spese forfetarie sostituendolo con il rimborso delle spese prenotate a debito.
condanna il Ministero della Giustizia a pagare a NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, pari a € 939,00, oltre spese generali di studio nella misura del 15%, ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio della