Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1873 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1873 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16923/2020 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE TARANTO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
Contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
REGIONE PUGLIA
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 1322/2019 depositata il 13/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Lecce, giudice del rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 14314/2016, dichiarava la illegittimità del rapporto di lavoro a termine intercorso tra NOME COGNOME e la ASL DI TARANTO e condannava quest’ultima al pagamento di una indennità onnicomprensiva, nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2.La Corte territoriale premetteva in fatto che:
-la COGNOME, dirigente medico, già assunta con più contratti a termine di durata complessiva superiore a 36 mesi e successivamente stabilizzata in forza delle legge regionale n. 40/2007, aveva agito davanti al Tribunale di Taranto, impugnando il recesso intimatole dalla ASL e chiedendo dichiararsene la illegittimità, con ogni conseguenza retributiva e risarcitoria ed, in subordine, meramente risarcitoria; in ulteriore subordine, la COGNOME aveva chiesto la conversione del rapporto a termine ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 368/2001, oltre al pagamento delle retribuzioni ed al risarcimento del danno;
-respinta ogni domanda nel primo grado, la Corte d’Appello di Lecce in riforma della sentenza, aveva dichiarato la illegittimità del recesso e condannato la ASL alla reintegra della MAGISTA’ nel posto di lavoro.
la Corte di Cassazione aveva cassato la sentenza, evidenziando che la norma sulla base della quale era intervenuta la stabilizzazione era stata dichiarata incostituzionale (sentenza Corte Cost. dell’11 febbraio 2011 n. 42), con effetti riflessi sul rapporto di lavoro, non potendo ravvisarsi una situazione giuridica esaurita. Sotto questo profilo, la disposizione dell’art. 16, comma 8, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, non aveva portata innovativa ma rendeva esplicito un precetto già desumibile dal sistema.
3.Tanto premesso ed alla luce dei principi dettati dalla pronuncia rescindente, il giudice del rinvio osservava che le conclusioni dirette alla
dichiarazione di illegittimità del recesso, con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie, peraltro non riproposte in sede di rinvio, erano infondate.
4.Quanto alle domande fondate sulla violazione del termine di durata del rapporto a termine, la Corte territoriale accertava il superamento del limite complessivo di 36 mesi. Considerava infondata la deduzione difensiva della ASL, secondo la quale non avrebbe potuto essere considerata l’ultima proroga del secondo dei due contratti intercorsi tra le parti, che aveva determinato il superamento dei 36 mesi, in quanto atto dovuto in forza della legge regionale, che prevedeva la proroga dei contratti a termine fino alla stabilizzazione.
5.Respingeva la domanda di conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato; riconosceva, invece, alla lavoratrice il risarcimento del danno derivante dalla reiterazione dei contratti a termine per un periodo superiore a 36 mesi, quantificato nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, secondo i criteri indicati da Cass S.U. n. 5072/2016 ed avuto riguardo al periodo di illegittima precarizzazione.
Compensava le spese dell’intero giudizio nella misura di due terzi, sul rilievo che la lavoratrice era risultata parzialmente vittoriosa, in forza di un principio enunciato dalla Suprema Corte in pendenza di giudizio. Il restante terzo delle spese, liquidato in dispositivo per ciascun grado, era posto a carico della ASL.
Dichiarava assorbita la domanda proposta dalla ASL per la restituzione delle spese di lite corrisposte in esecuzione della sentenza cassata, osservando che le parti avrebbero potuto operare le dovute compensazioni al passaggio in giudicato della sentenza.
8.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la ASL TARANTO, affidato a cinque ragioni di censura.
9.Ha resistito con controricorso NOME COGNOME illustrato con memoria; la REGIONE PUGLIA è rimasta intimata.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si deduce -in relazione all’art. 360, n. 3, cod.proc.civ. -la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 5,
d.lgs. n. 165/2001; degli articoli 1, punto 1 e 5, comma 4-bis, d.l.gs. 368/2001 come introdotto dall’art. 1, comma 40 l. n. 247/2007 nonché dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30, comma 3, l. 11 marzo 1953 n. 87, con riferimento all’art. 3, comma 40, L.R. PUGLIA n. 40/2007.
Nell’assunto del la parte ricorrente, il giudice del rinvio avrebbe erroneamente accertato l’abusiva reiterazione d ei contratti a termine; non si doveva tenere conto, infatti, dell’ultima proroga (delibera n. 225 del 23 gennaio 2008), avvenuta a norma dell’art. 3, comma 40, L.R. n. 40/2007, che prevedeva la proroga dei contratti a termine in corso fino alla attuazione del processo di stabilizzazione.
La illegittimità di detta proroga non poteva derivare dalla dichiarazione di incostituzionalità, nell’anno 2011, della legge regionale (sentenza della Corte costituzionale dell’11 febbraio 2011 n. 42), poiché la proroga aveva esaurito i suoi effetti sin dal novembre 2009, epoca in cui era stato sottoscritto il contratto di lavoro a tempo indeterminato.
4.Il motivo è infondato.
5 .Invero, ciò che rileva ai fini dell’abuso derivante dal superamento del limite di durata del rapporto a termine è il dato obiettivo dell’utilizzo del lavoratore in forza di contratti successivi e non già la legittimità/illegittimità dei singoli contratti di lavoro a termine o dei rispettivi atti di proroga, che ben potrebbero essere in sé del tutto legittimi. In altri termini, è il superamento del termine di utilizzo a determinare ex se l’abuso, in quanto la fissazione del termine di durata massima dei rapporti a termine successivi costituisce una autonoma misura antiabusiva, nella quale rileva il mero dato storico della durata nel tempo. Rispetto a detto dato storico, resta indifferente il fatto che l ‘ultima proroga sia avvenuta in forza di una legge regionale, giacché essa, essendo non conforme a Costituzione, non era idonea a prolungare il limite dei 36 mesi.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce -in relazione all’art. 360, n. 3, cod.proc.civ. -la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 4, d.lgs. n. 368/2001, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare, nel dichiarare abusiva la reiterazione dei contratti a termine,
che la MAGISTA’ era dirigente medico, con conseguente applicazione della deroga al termine di 36 mesi di durata complessiva dei rapporti a termine stabilita per i dirigenti dall’art. 10, comma 4, D.Lgs. 368 /2001.
7.Il motivo è infondato.
8.Il d.lgs. n. 165 del 2001, art. 36, nella formulazione vigente dal 25 giugno 2008 al 4 agosto 2009 (introdotta dal d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con mod. dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 49, comma 1) conteneva una disposizione antiabusiva di durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi; l’art. 36, comma 3, nel testo applicabile nel suddetto arco temporale, disponeva, infatti:
«Al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell’ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio».
In assenza di disposizioni transitorie, tale divieto era applicabile anche ai rapporti a termine in corso alla data della sua entrata in vigore. Inoltre, la norma si riferiva non solo alla ipotesi di utilizzo del medesimo lavoratore in forza di tipologie contrattuali diverse ma alla pluralità di contratti, anche della stessa tipologia ( come nella fattispecie di causa, in cui vi è stata la stipula di due contratti a termine, entrambi prorogati).
Da ultimo, trattandosi di disposizione speciale relativa al pubblico impiego- applicabile, in mancanza di diversa indicazione, anche alla categoria dei dirigenti- essa prevaleva sulla disposizione generale stabilita per i contratti a termine della dirigenza dall’articolo 10, comma 4, d.lgs n. 368/2001.
11.In punto di fatto, risulta dalla sentenza impugnata (pagina 6, punto 2.1): che la MAGISTA’ era dirigente medico; che era stata assunta con un primo contratto a termine per 12 mesi (dal 10 aprile 2006 al 9 aprile 2007) e con un secondo contratto a termine dal 25 aprile 2007 al 23 novembre 2009, per complessivi 3 anni e 7 mesi.
Il triennio si era dunque compiuto (il 25 aprile 2009), nella vigenza del divieto di ulteriore utilizzazione della lavoratrice, all’epoca stabilito dall’art. 36, comma 3, d.lgs. n. 165/2001.
13.Con il terzo motivo il ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, cod.proc.civ., la violazione degli artt. 1223, 1224, 1225, 1226; 2043 segg. cod.civ.; dell’art.32, comma 5, l. n. 183/2010, in quanto la Corte territoriale avrebbe «ritenuto aprioristicamente sussistente un danno risarcibile», procedendo alla sua quantificazione «in misura non solo indimostrata ma anche contrastata da quanto documentato dalla parte deducente».
14. Il motivo è infondato.
15.La decisione impugnata, infatti, è conforme all’orientamento espresso da questa Corte con giurisprudenza costante, a partire da Cass. Sez. U, Sentenza n. 5072 del 15/03/2016; si è affermato che nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001 va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della Legge n. 183/2010, quale danno presunto con valenza sanzionatoria, qualificabile come «danno comunitario» e determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5072 del 15/03/2016 e le successive – tra le altre – Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16095 del 02/08/2016; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 8927 del 06/04/2017; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 992 del 16/01/2019; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 2175 del 01/02/2021; Cass. Sez. L – Sentenza n. 446 del 13/01/2021; Cass. Sez. U -Sentenza n. 5542 del 22/02/2023).Opera, quindi, nell’ordinamento italiano una misura preventiva e sanzionatoria, costituita dal riconoscimento del danno da illegittima reiterazione di contratti a termine, al quale, peraltro, questa Corte ha riconosciuto la caratura di danno comunitario a carattere latamente sanzionatorio ed oggetto di meccanismo presuntivo, da ciò derivando l’esonero del lavoratore dall’onere di provare il danno medesimo, salvo, invece, l’onere di dare prova del maggior danno richiesto.
16.Nel resto, la ASL assume di avere offerto la prova della inesistenza del danno, allegando elementi di fatto ( la assunzione della MAGISTA’ presso altra ASL, le dimissioni rassegnate nel febbraio 2012, il rifiuto dell’offerta conciliativa) che sollecitano questa Corte a compiere, nonostante la formale deduzione di un errore di diritto, un non-consentito riesame del merito.
17.Con il quarto motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, cod.proc.civ., la violazione degli artt. 91 e 92 cod.proc.civ., per avere la Corte d’appello disposto la parziale compensazione delle spese del giudizio.
18.Argomenta, in particolare, parte ricorrente che la ASL risultava parte vincitrice nel precedente giudizio di cassazione. Aggiunge che la Corte distrettuale avrebbe dovuto tener conto della condotta processuale della MAGISTA’ (in particolare, della sua decisione di non rientrare in servizio dopo la sentenza favorevole; della assunzione del servizio di ruolo presso altra ASL; del rifiuto della proposta conciliativa) -e del fatto che la domanda originaria era stata accolta in minima parte. Nell’assunto di parte ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre la compensazione integrale delle spese dei primi due gradi e porre a carico della MAGISTA’o compensare integralmente -le spese del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio.
19. Il motivo è infondato.
20.Fermo il principio consolidato secondo il quale la facoltà di disporre la compensazione delle spese di giudizio, nel ricorso delle condizioni di legge, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019; Cass. Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005), si deve rilevare che la sentenza rescindente (Cass. n. 14314/2016) aveva rimesso al giudice di rinvio di «provvedere» sulle spese del giudizio di legittimità, senza in alcun modo statuire in ordine alla regolamentazione delle medesime.
21. Correttamente, quindi, il giudice del rinvio ha applicato il principio, in tema di spese processuali, per cui il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità,
si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione -e, tuttavia, complessivamente soccombente -al rimborso delle stesse in favore della controparte (Cass. Sez. U – Ordinanza n. 32906 del 08/11/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 9448 del 06/04/2023; Cass. Sez. 5 -Ordinanza n. 28698 del 07/11/2019; Cass. Sez. 2 -Ordinanza n. 15506 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20289 del 09/10/2015).
22.Con il quinto mezzo si lamenta -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione o falsa applicazione degli artt. 1241-1243 cod.civ. in relazione alla pronuncia di assorbimento resa sulla domanda della ASL per la restituzione di quanto corrisposto al difensore della MAGISTA’, distrattario, per le spese liquidate nella sentenza cassata.
23. La ASL ha dedotto che la domanda di restituzione avrebbe dovuto essere accolta. Ha affermato che il giudice del rinvio non avrebbe potuto disporre la compensazione dell’obbligo di restituzione al passaggio in giudicato della sentenza, in quanto: la obbligazione di restituzione riguardava personalmente l’avv. COGNOME distrattario, che non era parte in causa; le poste creditorie contrapposte difettavano dei caratteri di liquidità, certezza ed esigibilità.
24. Il motivo è fondato.
25.Deve in questa sede ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. VI, 25 ottobre 2017, n.25247; Cass. sez. VI, 3 aprile 2019 n. 9280) secondo la quale l’istanza di distrazione delle spese processuali non introduce nel giudizio una nuova domanda ma consiste nel sollecitare l’esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere il pagamento delle spese processuali; ne consegue che l’impugnazione della sentenza non deve essere rivolta anche contro il difensore distrattario e, d’altro canto, che il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza d’appello di condanna alla restituzione delle somme già
percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benché non evocato personalmente in giudizio.
26.Pertanto non può essere accolta la eccezione della parte controricorrente fondata sulla mancata evocazione in causa del difensore distrattario.
27.Quanto alla mancanza di liquidità dei crediti contrapposti, si osserva che l’obbligo di restituzione delle spese legali corrisposte in esecuzione della sentenza cassata inerisce all’unico rapporto di refusione delle spese processuali regolato dal giudice del rinvio. La unicità del rapporto fa sì che, trattandosi di compensazione cd . impropria, i crediti contrapposti si elidano automaticamente, con una mera operazione contabile, che prescinde dal ricorso delle condizioni fissate dagli articoli 1241 e seguenti del codice civile (da ultimo, Cass. sez. III, 21/05/2024, n.14156)
28. Il giudice del rinvio avrebbe dovuto, pertanto, ridurre automaticamente l’importo che la ASL era tenuta a corrispondere per spese legali, tenendo conto delle somme già percepite dal difensore distrattario in esecuzione della sentenza cassata, oltre interessi dalla data del pagamento (sulla decorrenza degli interessi: Cassazione civile sez. III, 04 aprile 2013, n.8215).
La sentenza impugnata deve essere sul punto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, confermando la statuizione sulle spese del giudice del rinvio e disponendo la detrazione dal quantum liquidato degli importi corrisposti dalla ASL al difensore distrattario, avv. NOME COGNOME in esecuzione della sentenza cassata.
30. Le spese del giudizio di cassazione si compensano tra le parti per la reciproca soccombenza.
PQM
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso; rigetta gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito -(ferma la compensazione delle spese nella misura di due terzi nonché la liquidazione del residuo terzo in: € 2.342 per il giudizio di primo grado; € 2.205 per il giudizio di appello; € 1.750 per il giudizio di cassazione; € 2.205 per il giudizio di rinvio, oltre accessori e spese forfettarie al 15%) -condanna la ASL Taranto al pagamento della
differenza tra quanto liquidato dal giudice del rinvio e quanto già corrisposto in esecuzione della sentenza cassata, oltre interessi dalla data del pagamento, con distrazione in favore del difensore.
Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della