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Abuso contratti a termine: risarcimento anche nel P.I.

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento del danno per un dipendente pubblico a causa dell’illegittima reiterazione di contratti a termine. La sentenza chiarisce che, nonostante nel pubblico impiego sia preclusa la conversione del rapporto in tempo indeterminato, l’abuso contratti a termine costituisce un illecito che deve essere sanzionato. Viene inoltre specificato che la mera possibilità di una futura stabilizzazione non è sufficiente a sanare l’illegittimità pregressa, confermando la tutela risarcitoria per il lavoratore.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Abuso contratti a termine: la Cassazione conferma il risarcimento nel pubblico impiego

L’ordinanza n. 5244/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale a tutela dei lavoratori precari della Pubblica Amministrazione: l’abuso contratti a termine dà diritto al risarcimento del danno, anche quando la legge impedisce la conversione del rapporto in un impiego a tempo indeterminato. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per migliaia di dipendenti pubblici.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un lavoratore che per anni ha prestato servizio presso un Ministero con mansioni amministrative. Il rapporto di lavoro si è sviluppato attraverso una serie di contratti di somministrazione, proroghe e, infine, un contratto a tempo determinato diretto. Ritenendo illegittima la successione di tali contratti, il dipendente ha agito in giudizio per chiedere la trasformazione del rapporto in uno a tempo indeterminato e il risarcimento dei danni subiti a causa della precarietà.

Mentre il Tribunale aveva inizialmente respinto la domanda, la Corte d’Appello ha riformato la decisione, accogliendo la richiesta di risarcimento del danno. L’Amministrazione Pubblica ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che le necessità di personale per far fronte a emergenze giustificassero il ricorso a tali contratti e che la possibilità di una futura stabilizzazione avrebbe sanato qualsiasi illecito.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’abuso contratti a termine

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi del Ministero in parte improcedibili e in parte inammissibili, confermando di fatto la sentenza della Corte d’Appello. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale, respingendo le argomentazioni della difesa erariale. I giudici hanno sottolineato che la questione giuridica era già stata ampiamente risolta in passato, rendendo la doglianza dell’Amministrazione inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha articolato le sue motivazioni su due pilastri fondamentali.

Il Diritto al Risarcimento del Danno nel Pubblico Impiego

Il punto centrale della decisione è la tutela del lavoratore di fronte all’abuso contratti a termine da parte di un datore di lavoro pubblico. La giurisprudenza, in linea con le direttive europee, ha stabilito che, sebbene l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 vieti la conversione automatica dei contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato per le pubbliche amministrazioni, ciò non lascia il lavoratore privo di tutela.

L’illegittima reiterazione di contratti a termine costituisce un illecito che obbliga l’amministrazione a risarcire il danno. Questo risarcimento, definito “danno comunitario”, ha una funzione sanzionatoria e compensativa, ed è parametrato a un numero di mensilità dell’ultima retribuzione, come previsto dall’art. 32 della legge n. 183/2010. La Corte ha ribadito che questa tutela si applica anche in caso di successione di contratti di somministrazione a termine.

L’Irrilevanza della “Mera Chance” di Stabilizzazione

Un’altra argomentazione cruciale respinta dalla Corte riguarda la presunta efficacia sanante delle procedure di stabilizzazione. Il Ministero sosteneva che la possibilità o probabilità per il lavoratore di essere stabilizzato avrebbe eliminato l’illecito. La Cassazione ha chiarito che una “mera chance” di stabilizzazione non è sufficiente a sanare il danno derivante dalla pregressa condizione di precarietà.

La stabilizzazione può escludere il risarcimento solo se si concretizza in una reale assunzione, causalmente riconducibile alla reiterazione dei contratti. Al contrario, il solo prospettarsi di una possibilità futura non elimina, ma anzi protrae, la condizione di incertezza che è proprio la causa del danno risarcibile.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante baluardo a difesa dei lavoratori del settore pubblico. La Corte di Cassazione invia un messaggio chiaro: il divieto di conversione del contratto non significa impunità per la Pubblica Amministrazione. L’abuso nell’utilizzo di contratti a termine e di somministrazione è un comportamento illegittimo che genera una precisa responsabilità risarcitoria. Le amministrazioni sono quindi tenute a una gestione del personale rispettosa delle norme, evitando di ricorrere a forme di lavoro precario per coprire esigenze stabili e durature, pena il dover risarcire i danni causati ai lavoratori.

Un dipendente pubblico con una serie di contratti a termine illegittimi può ottenere la trasformazione del rapporto in tempo indeterminato?
No, la sentenza conferma che, in base alla normativa vigente per il pubblico impiego (art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001), l’abuso di contratti a termine non comporta la conversione automatica del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato.

In caso di abuso di contratti a termine, il dipendente pubblico ha diritto a un risarcimento del danno?
Sì, la Corte di Cassazione ribadisce che la violazione delle norme sui contratti a termine da parte della Pubblica Amministrazione dà diritto al lavoratore a un risarcimento del danno. Questo risarcimento, noto come “danno comunitario”, ha una funzione sanzionatoria per l’ente e compensativa per il lavoratore.

L’avvio di una procedura di stabilizzazione sana l’illegittimità dei precedenti contratti a termine?
No, la sentenza chiarisce che la sola possibilità o probabilità di una futura stabilizzazione non è sufficiente a sanare l’illecito pregresso. La mera “chance” di stabilizzazione non elimina la condizione di precarietà e il relativo danno, che deve quindi essere risarcito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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