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Abuso contratti a termine: No alla conversione nel P.A.

Una lavoratrice sanitaria, impiegata per anni con contratti a termine e di somministrazione presso un’azienda sanitaria pubblica, ha denunciato l’abuso contratti a termine. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito: pur riconoscendo l’illegittimità della reiterazione dei contratti e il diritto della lavoratrice a un risarcimento del danno, ha escluso la possibilità di convertire il rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato. La decisione si fonda sul divieto imposto dalla legge per il settore pubblico (art. 36, D.Lgs. 165/2001), che prevede l’accesso tramite concorso. Entrambi i ricorsi, della lavoratrice e dell’azienda, sono stati dichiarati inammissibili per vizi procedurali.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Abuso Contratti a Termine nel Pubblico Impiego: Risarcimento Sì, Conversione No

Il tema dell’abuso contratti a termine è una questione centrale nel diritto del lavoro, specialmente quando coinvolge il settore pubblico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: nel pubblico impiego, la reiterazione illegittima di contratti precari dà diritto al risarcimento del danno, ma non alla conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Anni di Precariato in Ospedale

La vicenda riguarda un’operatrice socio-sanitaria che, a partire dal 2009, ha lavorato ininterrottamente presso lo stesso ospedale pubblico. Inizialmente assunta tramite cooperative assegnatarie di un appalto di servizi, è poi passata alle dipendenze di un’agenzia di somministrazione, con contratti a termine più volte prorogati.

Sentendosi vittima di un utilizzo abusivo di tali forme contrattuali, la lavoratrice ha adito il Tribunale per chiedere l’accertamento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con l’Azienda Sanitaria, oltre al risarcimento dei danni. Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente le sue richieste: pur dichiarando l’illegittimità del ricorso al lavoro somministrato, aveva negato la conversione del contratto, condannando però l’azienda a un risarcimento pari a sette mensilità e riconoscendo il diritto della lavoratrice al medesimo trattamento retributivo e previdenziale dei colleghi assunti a tempo indeterminato. La Corte d’Appello aveva confermato questa decisione.

La Decisione della Cassazione e l’abuso contratti a termine

Giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, la questione ha visto contrapposte sia la lavoratrice (con il ricorso principale) sia l’azienda sanitaria (con il ricorso incidentale). La Suprema Corte ha concluso dichiarando inammissibili entrambi i ricorsi, confermando di fatto la sentenza d’appello.

La decisione, quindi, cristallizza un punto fermo: l’abuso contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato non può essere sanzionato con la trasformazione del rapporto in uno stabile, ma solo con una tutela risarcitoria.

Il Divieto di Conversione nel Pubblico Impiego

Il fulcro della motivazione risiede nell’applicazione dell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001. Questa norma, che disciplina il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, stabilisce chiaramente che la violazione delle disposizioni sui contratti a termine non comporta la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Tale divieto è posto a presidio del principio costituzionale dell’accesso agli impieghi pubblici tramite concorso, sancito dall’art. 97 della Costituzione. La Corte ha ribadito che questa regola rappresenta uno ‘scudo’ contro la reintegrazione, un principio consolidato da tempo nella giurisprudenza, anche eurounitaria e costituzionale.

I Limiti del Ricorso in Cassazione

La Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi anche per ragioni prettamente procedurali. I motivi presentati dalla lavoratrice sono stati giudicati generici e non in grado di criticare specificamente il percorso logico-giuridico della Corte d’Appello. In particolare, il secondo motivo è stato considerato un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti e la quantificazione del danno, operazioni precluse in sede di legittimità. Analogamente, i motivi dell’azienda sanitaria sono stati respinti perché non coglievano la vera ratio decidendi della sentenza impugnata o perché miravano a una rivalutazione del merito, non consentita in Cassazione.

La Tutela Risarcitoria come Unica Sanzione

Se da un lato la conversione del contratto è esclusa, dall’altro l’abuso non resta privo di sanzioni. La giurisprudenza ha da tempo individuato nel risarcimento del danno la misura riparatoria adeguata a compensare il lavoratore per la perdita di chance e per la precarizzazione subita a causa del comportamento illegittimo della Pubblica Amministrazione. La condanna al pagamento di un’indennità onnicomprensiva, come quella confermata nel caso di specie, rappresenta la tutela specifica prevista dall’ordinamento per bilanciare l’interesse del lavoratore con i principi che regolano il pubblico impiego.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si articolano principalmente su due piani. Il primo è di natura sostanziale: la riaffermazione del principio secondo cui nel pubblico impiego l’accesso avviene per concorso (art. 97 Cost.) e, di conseguenza, l’abuso contratti a termine non può essere sanato con la conversione del rapporto, ma solo con il risarcimento del danno (art. 36, D.Lgs. 165/2001). Questo orientamento, confermato anche a livello europeo, mira a proteggere l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione. Il secondo piano è processuale: la Corte sottolinea che il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. I ricorsi sono stati giudicati inammissibili perché, invece di denunciare vizi di violazione di legge nei limiti previsti, tentavano di ottenere una nuova valutazione dei fatti o erano formulati in modo generico, senza confrontarsi criticamente con la decisione impugnata.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante orientamento giurisprudenziale. Per i lavoratori del settore pubblico, la strada per la stabilizzazione passa necessariamente attraverso il superamento di un concorso. L’utilizzo reiterato ed illegittimo di contratti flessibili da parte della Pubblica Amministrazione costituisce un illecito che dà diritto a una tutela risarcitoria, ma non può scavalcare i principi costituzionali che regolano l’accesso al lavoro pubblico. Questa pronuncia serve da monito per le amministrazioni, ma chiarisce anche i confini della tutela per i lavoratori precari del settore, indirizzandoli verso la richiesta di un indennizzo economico piuttosto che verso una vana pretesa di assunzione a tempo indeterminato.

Un lavoratore del settore pubblico può ottenere la conversione del contratto da tempo determinato a indeterminato in caso di abuso?
No. Secondo la costante giurisprudenza, basata sull’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 e sull’art. 97 della Costituzione, la violazione delle norme sui contratti a termine nel pubblico impiego non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, poiché l’accesso ai ruoli pubblici deve avvenire tramite concorso.

Quale tutela è prevista per un lavoratore pubblico in caso di illegittima reiterazione di contratti a termine?
La tutela prevista è di natura risarcitoria. Il lavoratore ha diritto a un’indennità che lo compensi per il danno subito a causa del comportamento illegittimo dell’amministrazione. Nel caso specifico, è stato riconosciuto un risarcimento pari a 7 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Perché i ricorsi in Cassazione sono stati dichiarati inammissibili?
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili per motivi procedurali. La Corte ha ritenuto che le censure fossero generiche, non criticassero specificamente la ratio decidendi della sentenza d’appello e, in alcuni casi, mirassero a una rivalutazione dei fatti, operazione non consentita nel giudizio di legittimità, che è limitato al controllo della corretta applicazione del diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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