Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13424 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13424 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5557/2019 R.G. proposto
da
NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Ministro pro tempore , domiciliato ope legis in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE che lo rappresenta e difende
Oggetto: Lavoro pubblico
contrattualizzato
–
Contratti a termine –
Abusiva
reiterazione
–
Risarcimento
danni
–
Successiva stabilizzazione
–
Elisione del danno –
Condizioni
–
Differenze
retributive
–
Onere della
prova
R.G.N. 5557/2019
Ud. 16/04/2024 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello Roma n. 3093/2018 depositata il 02/08/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 16/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3093/2018, pubblicata il 2 agosto 2018, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellata NOME COGNOME, ha accolto l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 3993/2016 del 26 aprile 2016, la quale aveva accolto la domanda dell’appellata, volta a far accertare l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro da essa conclusi col datore di lavoro pubblico, condannando lo stesso RAGIONE_SOCIALE al ri sarcimento dei danni -fissato in 9 mesi di retribuzione -nonché al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata negli anni 2008 -2015 ed alla corresponsione delle differenze retributive, da liquidarsi in separato giudizio.
La Corte d’appello, dato atto dell’avvenuta produzione da parte dell’appellante del D.M. 29 dicembre 2017 e dell ‘intervenuta stabilizzazione dell’appellata ha, sulla base di tale circostanza , accolto il motivo di appello col quale si impugnava la statuizione di prime cure nella parte in cui aveva riconosciuto alla lavoratrice il diritto al risarcimento dei danni.
Richiamati i principi della giurisprudenza eurounitaria e nazionale in materia, infatti, la Corte d’appello ha ritenuto che la sopravvenuta
stabilizzazione fosse venuta ad integrare una misura satisfattiva ben superiore al risarcimento medesimo.
La Corte d’appello, poi, ha accolto anche il motivo di appello col quale veniva impugnata la pronuncia di condanna al riconoscimento dell’anzianità pregressa ed al pagamento delle differenze retributive.
La Corte territoriale, infatti, ha rilevato che nell’originario ricorso introduttivo la lavoratrice aveva invocato in modo generico la violazione del principio di non discriminazione, senza tuttavia dedurre come si fosse concretamente integrata la discriminazione economica ed in cosa fossero consistite le differenze retributive non riconosciute.
A fronte delle contestazioni sul punto del RAGIONE_SOCIALE il quale invece deduceva di aver riconosciuto alla lavoratrice il medesimo trattamento retributivo riconosciuto ai dipendenti a tempo indeterminato -e dell’assenza di repliche della lavor atrice in ordine a tali deduzioni, la Corte d’appello ha concluso che l’assenza di adeguate deduzioni della lavoratrice stessa si erano tradotte in assenza di prova della domanda.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma, ricorre ora NOME COGNOME.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso di rilevare la
inammissibilità del l’ appello in quanto il ricorso in appello non indicava sia le singole statuizioni censurate, che le modifiche proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36, commi 2 e 5, D. Lgs. n. 165/2001.
La ricorrente sostiene l ‘ irrilevanza -ai fini del riconoscimento del risarcimento dei danni da illegittima reiterazione di contratti a termine -della successiva stabilizzazione, invocando il disposto di cui all’art. 32, Legge n. 183/2010, il quale fissa un parametro risarcitorio presunto da riconoscere in ogni caso, ove ricorra l’ipotesi della illegittima reiterazione dei contratti a termine.
Sottolinea la ricorrente di non aver mai chiesto in giudizio la conversione del rapporto da rapporto a termine a rapporto a tempo indeterminato, in quanto la stessa sarebbe stata preclusa dal disposto di cui all’art. 36, D. Lgs. 165/2001.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, testualmente e in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la ‘omessa pronuncia su un fatto rilevante ai fini del decidere’ , per avere la Corte territoriale omesso di considerare il ‘lasso di tempo durante il quale il Ministero convenuto ha, dapprima, continuato a reiterare i contratti a determinato nonostante la sentenza di primo grado e, successivamente, a distanza di due anni dalla quella sentenza, ha deciso di procedere con l’assunzione a tempo indeterminat o’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c.; 115, 116 e 414 c.p.c.; 6, D. Lgs. n. 368/2001, nonché della Dir. n. 1999/70/CE e della clausola 4 della Dir. n. 1999/70/CE.
La ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ha disatteso le domande di riconoscimento delle differenze retributive per trattamento discriminatorio rispetto ai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato e di computo dell’anzianità pregressa.
Argomenta, in senso contrario, che all’originario ricorso erano allegati i cedolini paga i quali non contenevano alcun riferimento all’anzianità di servizio e che la dedotta discriminazione non era stata fatta oggetto di contestazione da parte del controricorrente, rendendo in tal modo i fatti allegati come pacifici.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo, infatti, risulta del tutto carente nel rispettare il canone di specificità di cui all’art. 366, n. 6), c.p.c., dal momento che lo stesso né riproduce almeno i passaggi salienti del ricorso in appello di cui assume l’inammissibilità né provvede alla localizzazione del ricorso medesimo tra gli atti processuali.
Tale irrimediabile lacuna vale a precludere anche l’esercizio, da parte di questa Corte, del potere diretto di esame degli atti, in quanto detto esercizio presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, primo comma, n. 4) e n, 6), c.p.c., pur modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa
sostanza (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021).
È quindi necessariamente dall’ammissibilità del motivo di ricorso che discende l’esercizio del potere -dovere del giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020).
3. Il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato.
Occorre preliminarmente rammentare il consolidato orientamento di questa Corte, la quale ha chiarito che, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del D. Lgs. n. 165/2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della Legge n. 183/2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5072 del 15/03/2016 e le successive Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16095 del 02/08/2016; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 8927 del 06/04/2017; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 992 del 16/01/2019; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 2175 del 01/02/2021; Cass. Sez. L Sentenza n. 446 del 13/01/2021; Cass. Sez. U – Sentenza n. 5542 del 22/02/2023).
Chiarito, quindi, che, nei limiti stabiliti da questa Corte, il danno da illegittima reiterazione di contratti a termine costituisce un ‘ danno
comunitario ‘ a carattere latamente sanzionatorio ed oggetto di presunzione – con conseguente esonero del lavoratore dall’onere di provare il danno sinché lo stesso si mantenga, appunto, nei parametri elaborati da questa Corte – distinto profilo è quello costituito dalla idoneità della successiva stabilizzazione del lavoratore a determinare l’elisione delle conseguenze dannose della pregressa reiterazione dei contratti a termine, escludendo in tal modo la necessità di assicurare al lavoratore un ristoro di natura economica.
Anche su tale tema deve operare il consolidato orientamento di questa Corte che – pure alla luce delle pronunce della Corte giust. U.E. 19 marzo 2020, C-103/18 e C-429/18 – ha chiarito che, nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito a condizione, tuttavia, da un lato che essa avvenga nei ruoli dell’ente che ha commesso l’abuso e , dall’altro lato, che si ponga con l’illecito in rapporto di diretta derivazione causale, non essendo sufficiente che l’assunzione sia stata semplicemente agevolata dalla successione dei contratti a termine, ma occorrendo che sia stata da quest’ultima determinata, costituendo l’esito di misure specificamente volte a superare il precariato, che offrano già ex ante una ragionevole certezza di stabilizzazione, sia pure attraverso blande procedure selettive (Cass. Sez. L – Sentenza n. 14815 del 27/05/2021 e le precedenti Cass. Sez. L – Ordinanza n. 15353 del 17/07/2020 e Cass. Sez. L – Sentenza n. 3472 del 12/02/2020).
Occorre quindi ribadire che, nel caso di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva stabilizzazione del lavoratore, in tanto risulta idonea ad elidere le conseguenze dannose della precedente condotta illegittima, in quanto: 1) avvenga nei ruoli dell’Ente che aveva
precedentemente illegittimamente concluso con il lavoratore una pluralità di contratti a termine; 2) si ponga in rapporto di diretta derivazione causale con l’abuso stesso e cioè sia l’esito di misure specificamente mirate a superare il precariato, che offrano già ex ante una ragionevole certezza di stabilizzazione, sia pure attraverso blande procedure selettive.
Tornando ora al caso in esame, si deve rilevare che la decisione impugnata, pur richiamando precedenti di questa Corte, ha affermato che la stabilizzazione dell’odierna ricorrente era venuta ad elidere le conseguenze dannose del precedente illecito senza in alcun modo verificare se tale stabilizzazione fosse avvenuta in presenza dei presupposti e con i caratteri appena individuati, di fatto concludendo che la stabilizzazione era idonea sic et simpliciter – ed al di là delle ragioni per cui era avvenuta -a privare di fondamento la pretesa risarcitoria dell’odierna ricorrente ed in tal modo discostandosi dai principi affermati da questa Corte.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso determina l’assorbimento del terzo .
Il quarto motivo di ricorso è parimenti fondato.
La Corte d’appello, infatti, ha disatteso la domanda dell’odierna ricorrente volta a conseguire il riconoscimento dell’anzia nità pregressa e delle differenze retributive per trattamento discriminatorio rispetto ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato, semplicemente basando la propria decisione sulle difese svolte dall’odierno controricorrente.
In tal modo, tuttavia, la Corte d’appello si è posta in conflitto con il principio generale reiteratamente affermato da questa Corte a far tempo da Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001 -ed operante anche in relazione al rapporto di pubblico impiego (cfr. da
ultimo Cass. Sez. L, Ordinanza n. 7464 del 2024; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 7454 del 2024; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5746 del 2024) -a mente dal quale il creditore che agisca -tra le altre ipotesi – per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento di un contratto -e ciò anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento – deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Nel caso di specie, quindi, l’odierna ricorrente, in quanto creditrice della pretesa all’esatta esecuzione del contratto di lavoro e cioè il riconoscimento dell’anzianità pregressa e delle differenze retributive era tenuta unicamente (come risulta avere fatto) ad allegare l’esistenza del proprio credito e l’ inadempimento dell’obbligazione , mentre gravava sul debitore (e cioè sul datore di lavoro pubblico) l’onere di fornire specifica prova -e non mere allegazioni -di avere pienamente adempiuto a tale obbligazione.
La Corte territoriale, peraltro, ha assunto una decisione che risulta ulteriormente difforme dall’orientamento di questa Corte , a mente del quale la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone al datore di lavoro pubblico di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera successivi al 10 luglio 2001, l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente assunto ab origine a tempo indeterminato, fatta salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento (Cass.
Sez. L – Sentenza n. 15231 del 16/07/2020; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 4195 del 19/02/2020; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 27950 del 23/11/2017, nonché, in tema sia di anzianità di servizio sia di connesse differenze retributive, Cass. Sez. L -Ordinanza n. 17314 del 19/08/2020).
Il principio di non discriminazione di cui alla Clausola 4 di cui all’ Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 99/70/CE, infatti, non solo stabilisce che ‘1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive’ , ma anche che ‘4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive’ e comporta, quindi, l’illegittimità di condotte discriminatorie nel computo dei periodi di anzianità pregressa nei confronti dei lavoratori a termine, salvi i casi in cui il trattamento differenziato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato non derivi da fattori oggetti (come nel caso delle diverse esperienze acquisite dai lavoratori assunti a tempo indeterminato: Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3473 del 06/02/2019).
Alla luce delle previsioni eurounitarie, quindi, il principio di non discriminazione -ed a maggior ragione l’intervenuta stabilizzazione dell’odierna ricorrente – determinava ipso iure l’insorgere del diritto della lavoratrice al riconoscimento dell’anzianità pregressa ed alle differenze retributive derivanti dall’eventuale trattamento difforme rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, da ciò derivando che non
solo l’odierna ricorrente non era tenuta ad ulteriori allegazioni diverse da quelle relative alla fonte delle proprie pretese ed alla deduzione dell’inadempimento datoriale, ma anche che l’odierno controricorrente -in quanto datore di lavoro e debitore -era tenuto a fornire la prova specifica di aver adempiuto alle obbligazioni su di esso gravanti, non essendo sufficienti -come invece opinato dalla Corte capitolina -mere allegazioni sul punto, potendo semmai il datore dare la prova della sussistenza di eventuali ragioni oggettive idonee ad escludere in tutto o in parte il riconoscimento dell’anzianità pregressa.
6. Il ricorso, quindi, deve essere accolto in relazione al secondo ed al quarto motivo, inammissibile il primo ed assorbito il terzo.
La decisione impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale, nel