Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23375 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23375 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 525/2023 R.G. proposto da : COGNOME con domicilio digitale presso la PEC dell’avvocato NOME che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’avvocatura centrale dell’istituto, in ROMA INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME NOMECOGNOME COGNOME -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 793/2022 depositata il 29/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’appello di Catania ha rigettato il gravame proposto dall’avv. NOME COGNOME nella controversia con RAGIONE_SOCIALE;
la controversia ha per oggetto l’opposizione ad avviso di addebito per i contributi previdenziali, e le relative sanzioni, dovuti per l’attività libero -professionale svolta nell’anno 20 10 a seguito di iscrizione d’ufficio nella Gestione separata; il Tribunale di Catania accoglieva solo in parte l’opposizione, dichiarando dovute le sanzioni nella minor somma prevista dall’art.116 comma 8 lettera a) della legge n.388/2000; per la cassazione della sentenza ricorre l’avv. COGNOME con ricorso affidato a un unico motivo cui resiste I.N.P.S. con controricorso; al termine della camera di consiglio il collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine previsto dall’art.380 bis.1 ultimo comma cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE
con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art.44 comma 2 del d.l. n.269/2003, convertito con modificazioni dalla legge n.326/2003, con riferimento all’art.360 comma primo nn.3 e 5 cod. proc. civ.;
deduce che l’ente previdenziale, pur essendone onerato, non ha fornito alcuna prova dell’esercizio abituale della professione, e sostiene che tale prova non può essere desunta dall’iscrizione al l’Albo e dall’apertura della partita Iva;
osserva che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che non era stato impugnato il capo di sentenza con il quale era stato accertato il requisito dell’abitualità, sia in considerazione del fatto che l’onere di provare tale requisito incombeva all’ente
previdenziale, sia perché al contrario tale censura era stata proposta sia nel ricorso introduttivo del giudizio che nell’atto d’appello.
Tanto premesso va rilevato che la Corte territoriale, con due rationes concorrenti, per un verso ha ritenuto che l’appellante «non ha neppure impugnato il capo della sentenza in cui veniva accertata la sussistenza di detto requisito dell’abitualità , con conseguente passaggio in giudicato dello stesso», per altro verso ha ritenuto che tale requisito fosse pacifico in causa non solo in considerazione della iscrizione all’Albo e dell’apertura della partita Iva, ma anche con riferimento alla «dichiarazione del solo reddito derivante dall’attività libero professionale»;
orbene, con riferimento alla prima ratio decidendi la ricorrente non ha trascritto lo specifico motivo di gravame asseritamente proposto nell’atto d’appello con riferimento al requisito della abitualità dell’attività professionale svolta, in violazione dell’art.366 comma primo n.6 cod. proc. civ. (come modificato dal d.lgs. n.149/2022), e pertanto deve ritenersi passato in giudicato l’accertamento della abitualità dell’attività professionale svolta;
in ogni caso la ricorrente ha malamente censurato anche la seconda ratio decidendi , perché la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento anche su elementi di prova diversi dalla iscrizione all’albo professionale e dalla apertura della partita iva;
deve pertanto dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 1.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per
cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 08/07/2025.