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Way out banche: il versamento non è una tassa

Una banca cooperativa ha contestato il pagamento del 20% del patrimonio netto richiesto dalla legge per la cosiddetta “way out banche”, ovvero l’opzione di trasformarsi in società per azioni anziché aderire a un gruppo bancario cooperativo. La banca sosteneva che tale pagamento fosse una tassa illegittima. La Corte di Cassazione, conformandosi a una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, ha stabilito che il versamento non è un tributo, ma il “prezzo” volontario da pagare per esercitare un’opzione alternativa vantaggiosa. Di conseguenza, ha respinto il ricorso della banca, confermando la legittimità della normativa.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

La “Way Out” delle Banche Cooperative: Versamento del 20% Non è Tassa ma Onere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30379 del 2025, ha messo un punto fermo su una delle questioni più dibattute della riforma del credito cooperativo del 2016: la natura del versamento del 20% del patrimonio netto richiesto alle banche che scelgono la cosiddetta way out banche. La Suprema Corte ha stabilito che non si tratta di un tributo, bensì del “prezzo” per esercitare un’opzione volontaria e vantaggiosa, respingendo così la richiesta di rimborso di un importante istituto di credito.

I Fatti del Caso: La Scelta di una BCC e la Richiesta di Rimborso

La vicenda trae origine dalla riforma che imponeva alle Banche di Credito Cooperativo (BCC) di aderire a un gruppo bancario cooperativo. La legge prevedeva però un’alternativa per gli istituti con un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro: la “way out”. Questa opzione consentiva alla banca di trasformarsi in società per azioni, conferendo la propria azienda bancaria a una nuova S.p.A., a condizione di versare allo Stato un importo pari al 20% del proprio patrimonio netto.

Una società cooperativa per azioni, avvalendosi di questa facoltà, aveva versato una somma considerevole. Successivamente, però, aveva richiesto il rimborso di tale importo, sostenendo che si trattasse di un’imposta illegittima, in contrasto con i principi costituzionali (uguaglianza, capacità contributiva, tutela del risparmio e della proprietà) e con il diritto dell’Unione Europea (libera concorrenza e libera circolazione dei capitali).

L’Analisi della Corte e il Principio della “Way out Banche”

Il percorso giudiziario è stato complesso, coinvolgendo sia la Corte Costituzionale sia la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il fulcro della decisione della Cassazione risiede nell’adesione totale all’interpretazione già fornita dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 149/2021). Secondo i giudici, il legislatore, di fronte all’obbligo generale di adesione a un gruppo, ha offerto una scelta alternativa. L’alternativa all’adesione non era solo la trasformazione in S.p.A. pagando l’onere, ma anche la devoluzione dell’intero patrimonio ai fondi mutualistici. La way out banche rappresenta quindi un’opportunità, un’opzione che permette alla banca di evitare la devoluzione, mantenere il controllo sulla nuova S.p.A. e continuare a operare, seppur in una forma diversa. Il versamento del 20% è il “prezzo” di questa opportunità.

La Natura del Versamento: Perché Non è un Tributo?

La distinzione tra “tributo” e “onere” (o “prezzo”) è cruciale. Un tributo ha natura coattiva: lo Stato lo impone e può riscuoterlo forzatamente. Nel caso della way out banche, invece, il pagamento è la conseguenza di una scelta libera e spontanea dell’istituto di credito. Se la banca non paga, lo Stato non avvia alcuna procedura di riscossione forzata; semplicemente, l’opzione non si perfeziona e la banca rimane soggetta all’alternativa (adesione al gruppo o devoluzione del patrimonio). Manca quindi il requisito della coattività, essenziale per qualificare un prelievo come tributo. Di conseguenza, non sono applicabili i principi costituzionali specifici in materia fiscale, come quello della capacità contributiva (art. 53 Cost.).

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso presentati dalla banca. Ha confermato che, non essendo un tributo, non si può parlare di violazione dei principi fiscali né di natura espropriativa, poiché il pagamento deriva da una scelta volontaria. Inoltre, i richiami al diritto dell’Unione Europea sono stati ritenuti non pertinenti. La Corte di Giustizia UE aveva già dichiarato irricevibile il rinvio pregiudiziale, evidenziando come la situazione fosse puramente interna a uno Stato membro e come la direttiva sulla raccolta di capitali non fosse applicabile, dato che il versamento non è qualificabile come imposta.

Le conclusioni

La sentenza consolida la legittimità della riforma del credito cooperativo del 2016. Il meccanismo della “way out banche” viene definito non come una misura punitiva, ma come uno strumento di disincentivo volto a preservare la stabilità e la centralità del sistema dei gruppi bancari cooperativi. Il versamento del 20% è il costo che il legislatore ha ritenuto congruo per consentire a una BCC di sottrarsi al modello cooperativo puro, mantenendo al contempo un valore economico significativo. La decisione chiarisce definitivamente che chi ha scelto questa strada lo ha fatto esercitando un’opzione onerosa, non subendo un’imposizione fiscale.

Il versamento del 20% del patrimonio netto previsto dalla riforma delle BCC (c.d. “way out”) è da considerarsi una tassa?
No. La Corte di Cassazione, seguendo l’orientamento della Corte Costituzionale, ha stabilito che non si tratta di un tributo o di una tassa. Manca il carattere della coattività, poiché il mancato pagamento non comporta una riscossione forzata da parte dello Stato, ma semplicemente impedisce di accedere all’opzione della trasformazione in S.p.A.

La normativa sulla “way out banche” viola i principi di libera concorrenza e circolazione dei capitali dell’Unione Europea?
No. La Corte ha ritenuto infondate tali censure. La Corte di Giustizia dell’UE aveva già dichiarato irricevibile la questione, sottolineando che si trattava di una situazione puramente interna a uno Stato membro e che le direttive invocate non erano applicabili, poiché il versamento non è un’imposta indiretta sulla raccolta di capitali.

Perché la Corte ha stabilito che il pagamento per la “way out” è una scelta volontaria e non un’imposizione espropriativa?
Perché la legge offriva alla banca un’alternativa all’obbligo principale di aderire a un gruppo cooperativo. La banca poteva scegliere di pagare il 20% per trasformarsi in S.p.A., evitando così l’altra conseguenza prevista dalla legge in caso di non adesione, ossia la devoluzione dell’intero patrimonio ai fondi mutualistici. Il pagamento è quindi il “prezzo” liberamente accettato per ottenere un vantaggio: mantenere il controllo dell’azienda bancaria anziché perderla interamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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