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Voluntary disclosure: spetta il rimborso del credito

Un pilota, dopo aver utilizzato la procedura di “Voluntary disclosure” per regolarizzare i suoi beni all’estero, si è visto tassare in Italia redditi già sottoposti a imposta in Portogallo. La Corte di Cassazione ha confermato il suo diritto al rimborso, stabilendo che il trattato internazionale contro la doppia imposizione prevale sulle norme procedurali nazionali, come l’obbligo di dichiarare i redditi esteri per ottenere il relativo credito d’imposta. La Corte ha inoltre precisato che l’adesione alla Voluntary disclosure non preclude al contribuente la possibilità di richiedere la restituzione di imposte pagate in eccesso.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Voluntary Disclosure e Doppia Imposizione: La Cassazione Conferma il Diritto al Rimborso

Con la recente sentenza n. 24189 del 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione che lega la procedura di Voluntary disclosure al diritto di evitare la doppia imposizione sui redditi prodotti all’estero. La decisione chiarisce che l’adesione a tale procedura non può precludere al contribuente il diritto di ottenere il rimborso di imposte indebitamente versate, riaffermando la prevalenza dei trattati internazionali sulla normativa interna.

Il Caso: Lavoro all’Estero e la Procedura di Collaborazione Volontaria

Il caso esaminato riguarda un contribuente, di professione pilota aereo, che negli anni 2012 e 2013 lavorava per una compagnia aerea con direzione effettiva in Portogallo. I suoi redditi da lavoro dipendente venivano regolarmente assoggettati a tassazione nello Stato portoghese. In base alla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Portogallo, il contribuente riteneva di non dover dichiarare tali redditi anche al fisco italiano.

Successivamente, nel 2015, il pilota ha aderito alla procedura di collaborazione volontaria (la cosiddetta “Voluntary disclosure”) per regolarizzare alcune attività finanziarie detenute all’estero, tra cui il conto corrente su cui riceveva lo stipendio. Proprio nell’ambito di questa procedura, è emersa la questione della tassazione dei redditi da lavoro.

Il Contenzioso: Tassazione in Italia e Diniego del Rimborso

L’Agenzia delle Entrate, durante il procedimento di voluntary disclosure, ha sostenuto che i redditi percepiti in Portogallo dovessero essere tassati anche in Italia, poiché la Convenzione italo-portoghese non prevede una tassazione esclusiva nello Stato della fonte. Inoltre, l’Ufficio ha negato il riconoscimento del credito per le imposte già pagate in Portogallo, motivando il diniego con la mancata indicazione di tali redditi nella dichiarazione presentata in Italia, come richiesto dalla normativa nazionale (art. 165 del TUIR).

Dopo aver perfezionato la procedura e versato quanto richiesto, il contribuente ha presentato un’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate. Di fronte al silenzio dell’amministrazione (configuratosi come silenzio-rifiuto), il contribuente ha avviato un contenzioso, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Prevalenza dei Trattati sulla Normativa Interna

Il primo motivo di ricorso dell’Agenzia si basava sulla violazione dell’art. 165 del TUIR, che subordina il diritto alla detrazione delle imposte estere alla loro indicazione in dichiarazione. La Corte di Cassazione ha respinto questa tesi, affermando un principio di fondamentale importanza: la Convenzione bilaterale contro la doppia imposizione crea un obbligo incondizionato per lo Stato italiano. L’Italia si è impegnata a livello internazionale a evitare che i redditi imponibili in Portogallo subiscano una seconda tassazione in Italia.

Questo obbligo internazionale non può essere limitato da oneri formali interni non concordati tra gli Stati. In altre parole, la norma interna che richiede l’indicazione del reddito in dichiarazione non può essere opposta al contribuente per negargli il beneficio previsto dal trattato, poiché ciò si tradurrebbe in una violazione del diritto internazionale pattizio.

Effetti della Voluntary Disclosure sul Diritto al Rimborso

Il secondo motivo di ricorso sosteneva che il perfezionamento dell’accertamento con adesione nell’ambito della Voluntary disclosure rendesse definitiva la pretesa fiscale, precludendo al contribuente qualsiasi successiva richiesta di rimborso.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto all’Agenzia, evidenziando una cruciale differenza tra l’accertamento con adesione standard e quello che si inserisce nella procedura di collaborazione volontaria. Mentre il primo è un accordo che definisce in modo irretrattabile una pretesa fiscale già avanzata dal Fisco, il secondo nasce da un’iniziativa del contribuente, che spontaneamente rivela attività fino a quel momento sconosciute all’amministrazione. In questo contesto, il contribuente, pur godendo dei benefici premiali sulle sanzioni, non perde il diritto a un’imposizione calcolata secondo legge. Di conseguenza, non gli è precluso il diritto di chiedere il rimborso di somme che si rivelino corrisposte in eccesso o non dovute.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri. In primo luogo, la gerarchia delle fonti, che vede i trattati internazionali prevalere sulla legislazione interna in materia di doppia imposizione, rendendo inapplicabili le condizioni procedurali come quella prevista dall’art. 165, comma 8, del TUIR. L’obbligo di evitare la doppia imposizione è assoluto e non subordinabile a oneri formali. In secondo luogo, la specifica natura della voluntary disclosure, concepita per incentivare l’emersione di capitali e non per cristallizzare in modo definitivo un’imposizione che potrebbe rivelarsi illegittima. Il contribuente che svela le proprie attività conserva il diritto ad essere tassato correttamente, potendo quindi agire per il rimborso dell’indebito.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza rappresenta un punto fermo a tutela dei contribuenti con redditi di fonte estera. Essa chiarisce che l’adesione a procedure di regolarizzazione come la Voluntary disclosure non equivale a una rinuncia ai propri diritti, in particolare a quelli garantiti dalle convenzioni internazionali. I contribuenti possono quindi avvalersi di tali strumenti per sanare la propria posizione, con la sicurezza di poter successivamente richiedere il rimborso di eventuali imposte pagate in eccesso a causa di un’errata applicazione delle norme sulla doppia imposizione. Viene così riaffermato il principio secondo cui la collaborazione con il Fisco non può tradursi in un pregiudizio per il contribuente rispetto a un’imposizione conforme alla legge e ai trattati internazionali.

Aver aderito alla “voluntary disclosure” impedisce di chiedere il rimborso delle imposte pagate in eccesso?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria non preclude al contribuente il diritto di chiedere il rimborso di somme versate in eccesso o non dovute, mantenendo il suo diritto a un’imposizione secondo legge.

L’omessa dichiarazione dei redditi esteri fa perdere il diritto al credito per le imposte pagate all’estero se esiste una convenzione contro la doppia imposizione?
No. La Corte ha stabilito che, in presenza di una Convenzione internazionale contro la doppia imposizione, l’obbligo dello Stato italiano di evitare tale fenomeno è incondizionato e prevale sulla normativa interna. Pertanto, l’omessa dichiarazione non può essere usata per negare il credito d’imposta e imporre una doppia tassazione.

Qual è la differenza tra un normale accertamento con adesione e quello nell’ambito della voluntary disclosure?
Nel normale accertamento con adesione, l’iniziativa è del Fisco che contesta un’irregolarità, e l’accordo che ne scaturisce è definitivo (irretrattabile). Nella voluntary disclosure, l’iniziativa è del contribuente che svela attività sconosciute al Fisco. In questo caso, l’adesione permette di ottenere benefici sanzionatori, ma non impedisce al contribuente di chiedere rimborsi se l’imposizione risultasse errata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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