Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9876 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9876 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21066/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, in qualità di già legale rappresentante e socio della cessata RAGIONE_SOCIALE, e COGNOME NOME, quale socia della medesima cessata società, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), in virtù di procura speciale in calce al ricorso
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
contro
RAGIONE_SOCIALE DIREZIONE PROVINCIALE PADOVA
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del VENETO n. 251/2016 depositata il 17/02/2016, non notificata Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal
Co: NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
I signori COGNOME NOME e COGNOME NOME nella loro qualità di soci, ed il primo anche di legale rappresentante, della cessata società RAGIONE_SOCIALE, ricorrono per la c assazione della sentenza d’ appello che ha confermato la pronuncia di primo grado ove sono state rigettate le loro doglianze avverso la ripresa a tassazione fondata -per quanto maggiormente interessa al prosieguo- su studi di settore per l’anno d’imposta 2008 e su indagini bancarie per l’anno d’imposta 2009, segnatamente con rilievi Irpef, Irap ed Iva.
Il ricorso di parte contribuente è affidato a sei mezzi, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso. In prossimità dell’adunanza, i ricorrenti hanno depositato memoria ad illustrazione RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni.
CONSIDERATO
In via preliminare va rilevato il difetto di legittimazione alla proposizione dell’impugnazione del sig. NOME COGNOME nella dedotta qualità di ex legale rappresentante della cancellata società RAGIONE_SOCIALE
Vengono proposti sei motivi di ricorso, che vanno scrutinati quali proposti dal medesimo COGNOME e da NOME COGNOME quali ex soci della succitata società.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973 e conseguente nullità degli avvisi di accertamento per vizio di sottoscrizione. Nello specifico si contesta l’appartenenza alla carriera direttiva del sottoscrittore degli atti impositivi, nonché l’assenza di delega, peraltro comunque non depositata nel giudizio.
Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile per omesso esame di un fatto decisivo costituito dal mancato deposito della delega e dal vizio di sottoscrizione dell’avviso di accertamento. Nella sostanza si contesta che i giudici dell’appello non abbiano rilevato la mancanza di produzione in giudizio di alcuna delega alla firma in capo al funzionario che ha sottoscritto l’atto impositivo.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente riguardando la medesima circostanza della delega di firma al Capo Team e sono inammissibili prima ancora che infondati. Ed infatti, i motivi riguardanti il vizio di sottoscrizione dell’atto sono in primo luogo inammissibili, perché attinenti a censura non formulata nel giudizio di primo grado, come si evince dallo stesso ricorso per cassazione, stante la natura di eccezione in senso stretto della relativa questione. Infatti, nelle ipotesi di invalidità degli atti impositivi (nella specie, per violazione dell’art. 42, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973), opera il generale principio di conversione dei vizi in motivi di gravame, in ragione della struttura impugnatoria del processo tributario, nel quale la contestazione della pretesa fiscale è suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto, sicché le nullità, ove non dedotte con il ricorso originario, non possono essere rilevate d’ufficio né fatte valere per la prima volta nel giudizio di legittimità. (cfr. Cass. V, n. 12313/2018, ma già n. 18448/15).
In ogni caso, la sentenza in scrutinio dà atto che la delega sia stata depositata ed è in atti, in conformità i principi statuiti da questa Corte, ove ha affermato che in tema di avviso di accertamento, se il contribuente contesta la legittimazione del soggetto, diverso dal dirigente, alla sottoscrizione dell’atto, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare, in omaggio al principio di cd. vicinanza della prova, il corretto esercizio del potere producendo, anche nel corso del secondo grado di giudizio, la relativa delega, che pure è solo di firma e non di funzioni (Cass. V, n. 19190/2023).
Più precisamente, è stato affermato che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass. V, n. 11013/2019). Peraltro, in tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del RAGIONE_SOCIALE agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012 (Cass. V, n. 5177/2020).
I motivi sono quindi infondati e vanno disattesi.
Con il terzo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, primo comma, della legge numero 212 del 2000. Nello specifico si sottolinea che non sia stata depositata alcuna autorizzazione motivata alle indagini bancarie di cui viene fatto mero riferimento negli atti impositivi.
Il motivo non può essere accolto. Ed infatti, in tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione prescritta dall’art. 51, comma 2, n. 7 del d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 18, comma 2, lett. c e d, della l. n. 413 del 1991) ai fini dell’espletamento RAGIONE_SOCIALE indagini bancarie, risponde a finalità di mero controllo RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta né l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, né implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente (cfr. Cass. T, n. 1306/2023).
Il motivo quindi è infondato.
Con il quarto motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile per omesso esame di un fatto decisivo, nello specifico riferito ai conteggi sugli indici di normalità economica e di correttivi congiunturali, protestando l’insufficienza di motivazione ed il carattere apodittico del giudizio.
Con il quinto motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile per omesso
esame di un fatto decisivo consistente nel passaggio della sentenza di secondo grado ritenuto apodittico, laddove il collegio d’appello concorda con la sentenza di primo grado in ordine all’irrilevanza RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni prive di data certa rese dai clienti della società accertata.
Con il sesto motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile per omesso esame circa un fatto decisivo in ordine al passaggio motivazionale con il quale la sentenza in scrutinio ha affermato la correttezza dell’impianto impositivo in confronto allo studio di settore e alle dichiarazioni della società accertata.
I motivi quarto, quinto e sesto possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti ai collegati profili di motivazione della sentenza. Essi sono inammissibili per diverse ragioni. Da un lato, sotto la censura del mancato esame di un fatto, sollecitano una nuova valutazione del materiale probatorio offerto dalle parti al fine di raggiungere un risultato diverso rispetto a quello cui è pervenuto il giudice d’appello, richiedendo una valutazione di merito che esula dal perimetro giurisdizionale di questa Suprema Corte di legittimità. Dall’altro, sotto la censura del mancato esame di un fatto, prospettano un vizio di insufficiente motivazione.
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, RAGIONE_SOCIALE argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4
novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Per quanto poi attiene espressamente al sesto motivo, con riguardo alla forza probatoria degli accertamenti fondati sugli studi
di settore, giova dare continuità all’orientamento anche di recente espresso da questa Corte.
La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il
giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass. V, n. 24931/2022).
Il ricorso è quindi infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.quattromilacento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/03/2024.