Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2797 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2797 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5499 -20 21 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Omarc COGNOME (pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto:
TRIBUTI –
operazioni inesistenti
avverso la sentenza n. 1587/26/2019 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, Sezione staccata di BRESCIA, depositata in data 13/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15 gennaio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, sulla scorta di un processo verbale di constatazione redatto dall’Ufficio antifrode della Direzione Regionale dell’Agenzia delle entrate della Lombardia all’esito di una verifica fiscale condotta nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE, da cui emergeva la natura di cartiera di quest’ultima, emetteva due avvisi di accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; con il primo (n. T9M060101660/2016) contestava l’utilizzo, per l’anno d’imposta 2011, di fatture soggettivamente inesistenti emesse dalla prima società, recuperando a tassazione l’IVA indebitamente detratta, con conseguente applicazione delle corrispondenti sanzioni; con il secondo (n. T9M030101662/2016) recuperava a tassazione, per le medesime ragioni, l’IVA indebitamente detratta dal le fatture di acquisto emesse dalla medesima società cartiera con riferimento, però, all’anno d’imposta 2012. Con tale secondo avviso di accertamento, ma sulla scorta del p.v.c. redatto dalla G.d.F. di Mirandola nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Michele, l’Agenzia delle entrate contestava alla società contribuente l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, per cessioni di merci, nonché l’utilizzo di una fattur a (n. 82 del 29/06/2012) emessa per fittizi costi di consulenze commerciali, procedendo al recupero a tassazione ai fini IVA, IRES ed IRAP ed irrogando le relative sanzioni.
All’esito del giudizio di impugnazione promosso dalla società contribuente, con sentenza 165/01/2017 la CTP di Cremona accoglieva il ricorso della società contribuente limitatamente all’anno
2012 e con riferimento alle sole riprese a tassazione delle fatture riconducibili alla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Michele, mentre lo respingeva per il resto, confermando, quindi, gli avvisi di accertamento limitatamente alle riprese a tassazione a fini IVA delle fatture emesse in entrambi gli anni d’imposta oggetto di accertamento dalla RAGIONE_SOCIALE e della fattura per consulenze commerciali.
La predetta sentenza veniva impugnata sia dall’Agenzia delle entrate che dalla società contribuente e la CTR della Lombardia, riuniti i separati giudizi, accoglieva il primo e rigettava il secondo.
3.1. I giudici di appello, ritenuta fondata la dedotta nullità della sentenza di primo grado per difetto di motivazione, sostenevano che « la sentenza impugnata è da riformare anche nel merito, dal momento che la natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE è risultata evidente da tutti gli indizi precisi e concordanti raccolti in sede di verifica, tra i quali essenzialmente: le dichiarazioni del titolare COGNOME che precisò alla RAGIONE_SOCIALE di Mirandola di non avere mai venduto nulla alla RAGIONE_SOCIALE; l’inattività dal 2008 del vettore, solo formalmente sostituito da un diverso soggetto economico comunque riferibile al primo; l’irrilevanza della circostanza che le scritture contabili avessero compiutamente registrato gli acquisti, posto che la regolarità formale delle transazioni, per giurisprudenza costante, non è elemento dirimente per escludere la fittizietà dei rapporti sottostanti in presenza di altri elementi di segno contrario come nel caso di specie ».
Avverso tale statuizione la società propone ricorso per cassazione affidati a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
La ricorrente deposita memoria in cui dà atto dell’intervenuta assoluzione in sede penale, con sentenza irrevocabile (che allega), di NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE imputato del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. 74/2000 contestatogli
anche con riferimento alle fatture emesse dal fornitore RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deducendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 36, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (erroneamente indicato in ricorso come «d.p.r.») e 132 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione con riferimento alla statuizione di rigetto dell’appello proposto da essa società avverso la sentenza di primo grado che aveva confermato gli avvisi di accertamento relativamente alle operazioni commerciali intercorse con la RAGIONE_SOCIALE e alla fattura per consulenze commerciali.
1.1 Precisa, al riguardo, di aver chiesto nell’appello principale « la riforma della sentenza appellata e, in accoglimento del presente appello, che vengano integralmente annullati e/o dichiarati nulli gli avvisi di accertamento T9M030101662/2016 relativo all’anno 2012 per le imposte Ires, Irap e Iva e T9M060101660/2016 relativo all’anno 2011 per l’Imposta sul valore aggiunto emessi dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Cremona, Ufficio Controlli ».
Il motivo è fondato e va accolto.
2.1. Come è noto, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 25456 del 2018; n. 22949 del 2018; Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, n. 28829 del 2021).
2.2. In tale gravo vizio è incorsa la pronuncia gravata che, incentrata esclusivamente sulla fittizietà dei rapporti tra la società contribuente e la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Michele, di cui accerta la natura di cartiera, tralascia del tutto di esaminare le altre questioni poste dalla società contribuente nell’atto di appello con riferimento sempre ad operazioni commerciali fittizie, ma intercorse con l’altra società ritenuta cartiera, la RAGIONE_SOCIALE
2.3. Pur non avendo riprodotto nel ricorso i motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, solo genericamente riassunti (in violazione del principio di specificità, non essendo all’uopo sufficiente l’allegazione dell’atto di appello e il mero e sempre generico rinvio allo stesso -arg. da Cass. n. 22680/2022) ritiene il Collegio che sia sufficiente allo scopo la trascrizione a pag. 8 del ricorso qui vagliato, del contenuto delle richieste conclusive formulate in quell’atto, di integrale annullamento di entrambi gli avvisi di accertamento in riforma della sentenza appellata; sentenza che, come sopra riferito nella parte relativa all’esposizione in fatto, aveva rigettato l’originario ricorso della società contribuente avverso le riprese fiscali operate dall’Agenzia delle entrate con riferimento alle sole operazioni commerciali intercorse con la RAGIONE_SOCIALE avendolo accolto limitatamente alle riprese a tassazione relative alle fatture emesse dalla ditta Ankara, annullando in parte qua l’avviso di accertamento relativo all’anno 2012.
2.4. L’appello della società contribuente non poteva, pertanto, che riguardare i rapporti commerciali intrattenuti con la RAGIONE_SOCIALE in relazione ai quali la CTR non ha speso alcuna parola, facendo derivare il rigetto dell’appello proposto dalla società contribuente con riferimento ai rapporti commerciali intrattenuti con tale ditta dalle premesse fatte (nella sentenza si legge « Ciò premesso, l’appello della RAGIONE_SOCIALE va respinto »), e cioè da argomentazioni relative alla nullità della sentenza impugnata per difetto di
motivazione e alla natura di cartiera della ditta Ankara, del tutto inidonee a giustificare sul piano logico il rigetto dell’impugnazione della società appellante.
Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, censura la sentenza impugnata nella parte in cui, affermando che «la natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE è risultata evidente da tutti gli indizi precisi e concordanti raccolti in sede di verifica, tra i quali essenzialmente: l’inattività del 2008 del vettore, solo formalmente sostituito da un diverso soggetto economico comunque riferibile al primo», ha omesso di considerare che invece «l’operatività/attività del vettore non è stata conte stata specificatamente dall’Agenzia, risultando quindi una circostanza pacifica tra le parti».
3.1. Va premesso che con il motivo in esame quello che viene dedotto non è l’omesso esame di un fatto, ma la mancata rilevazione da parte dei giudici di appello del principio di non contestazione della effettiva operatività della ditta che aveva effettuato il trasporto delle merci acquistate dalla RAGIONE_SOCIALE risultante da alcune circostanze dedotte in giudizio dalla società contribuente.
3.2. Il motivo è, quindi, inammissibile per erronea deduzione del paradigma processuale dedotto.
3.3. Invero, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo (arg. da Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014), nel cui paradigma non è
possibile ricomprendere la violazione del principio di non contestazione, che è quanto effettivamente prospettato nella censura in esame, veicolabile in sede di legittimità, attraverso la deduzione di un error in procedendo , ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
3.4. Ma anche a voler valutare il motivo sotto tale angolo prospettico, lo stesso non supera il vaglio di ammissibilità alla stregua del principio giurisprudenziale che il collegio condivide, secondo cui «Ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c.» (Cass. n. 15058 del 29/05/2024, Rv. 671191 01).
3.5. Peraltro, occorre ricordare che «Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato» (Cass. n. 16984 del 14/06/2023, Rv. 668258 – 01).
3.6. E al riguardo è sufficiente richiamare il contenuto della sentenza impugnata in cui si dà atto che quella dell’inattività del trasportatore era uno degli indizi di inesistenza delle operazioni accertate «raccolti in sede di verifica», per rendere evidente che nessun onere di contestazione delle argomentazioni e deduzioni
svolte in giudizio dalla società contribuente gravava sull’Agenzia delle entrate.
3.7. A quanto fin qui detto deve aggiungersi che quelli cui ha fatto riferimento la ricorrente nel motivo in esame non sono né fatti storici né fatti decisivi, vale a dire che se esaminati avrebbero determinato con elevata probabilità un esito diverso della controversia. Tali non sono le circostanze, semplicemente dedotte dalla ricorrente ma prive di adeguata dimostrazione, ovvero che i dipendenti della ditta di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avevano continuato ad emettere fattura a nome di tale società anche dopo la cessione di ramo di azienda alla RAGIONE_SOCIALE; che due automezzi «negli anni oggetto di accertamento» erano intestati alla RAGIONE_SOCIALE, successivamente divenuta RAGIONE_SOCIALE; che la società contribuente nel 2009 aveva assunto alle proprie dipendenze un autista ed aveva in carico due automezzi.
3.8. Pertanto, il motivo è anche infondato.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
4.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, affermando che «la natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE è risultata evidente da tutti gli indizi precisi e concordanti raccolti in sede di verifica, tra i quali essenzialmente: le dichiarazioni del COGNOME, che precisò alla Gdf di Mirandola di non aver mai venduto nulla alla RAGIONE_SOCIALE», ha omesso di considerare che invece «le dichiarazioni erano state ritrattate nel novembre del 2015 e che, con riferimento ai rapporti commerciali tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE per i diversi anni d’imposta 2010 e 2011, le fatture sono state invece ritenute regolari in sede tributaria».
4.2. Anche tale motivo è inammissibile.
4.3. Si è già detto che l’omissione rilevante ai sensi del n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. deve essere relativo all’esame di un fatto, inteso in senso storico -naturalistico, che abbia carattere decisivo.
4.4. Tali non sono né la ritrattazione fatta nel 2015 alla società contribuente dal COGNOME, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, delle dichiarazioni rese alla G.d.F. all’atto della verifica fiscale, né la sentenza che aveva accertato la regolarità delle fatture relative agli anni d’imposta 2010 e 2011. La necessità che le dichiarazioni rese alla parte contribuente a distanza di anni da quelle di senso contrario rese a pubblici ufficiali nell’immediatezza della verifica , siano sottoposte ad un attento vaglio di credibilità e l’irrilevanza di sentenze (di cui, peraltro, neppure è stata dedotta la definitività) rese con riferimento a periodi di imposta diversi da quelli oggetto del presente giudizio, rende evidente l’assenza di decisività di tali circostanze, che consente di p rescindere anche dalla loro qualificazione come fatti storici.
4.5. A ciò aggiungasi che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (che delle decisioni relative ai precedenti anni d’imposta ha fatto espressa menzione nella sentenza impugnata), ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti cfr. Cass., Sez. U, n. 8053/2014; conf. Cass. n. 17005/2024).
Resta da esaminare la questione posta dalla ricorrente nella memoria con riferimento all’intervenuta pronuncia di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente dai reati fiscali contestagli con riferimento anche ai fatti oggetto del presente giudizio con sentenza divenuta irrevocabile, a dire della ricorrente rilevante ai fini dello scrutinio del secondo e terzo motivo di ricorso.
5.1. Orbene, anche a voler prescindere dal rilievo che i predetti motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili, sicché è preclusa qualsiasi valutazione del merito della vicenda processuale, osserva il Collegio che l’assoluzione è stata pronunciata con la formula «perché il fatto non costituisce reato», il che, a prescindere da ogni considerazione circa la portata applicativa della dell’art. 21 -bis del d.l.gs. n. 74 del 2000 (introdotto dall’a rt. 1 del d.lgs. n. 87 del 2024), rende certamente inapplicabile al caso di specie la previsione della citata disposizione che espressamente limita l’efficacia di giudicato nel giudizio tributario alle sole sentenze penali dibattimentali irrevocabili di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso.
5.2. Va, quindi, ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale, «In caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione» (Cass. n. 27814 del 04/12/2020, Rv. 659817 – 01).
5.3. Si è affermato al riguardo che «In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono
i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio» (Cass. n. 28174 del 24/11/2017, Rv. 646971 – 01).
5.4. Nella memoria la ricorrente sostiene che il giudice penale aveva escluso la consapevolezza, o comunque la colpevole ignoranza, del COGNOME, della natura di cartiere delle società da cui si riforniva non ritenendo dirimente a tal fine il fatto che il COGNOME si fosse rivolto, per ottenere la fornitura del materiale plastico, a canali nazionali anziché a quelli extraeuropei cui si rivolgeva tradizionalmente e dai quali, a loro volta, si rifornivano i suoi venditori, ed il presunto sottocosto a cui la Società acquistava la merce quando gli veniva fornita dalle cartiere, notevolmente inferiore rispetto al prezzo che avrebbe dovuto pagare se si fosse rivolta alle società produttrici straniere.
5.5. Premesso che la stessa sentenza penale conferma la natura di cartiere delle società con cui la RAGIONE_SOCIALE ha intrattenuto rapporti commerciali, quello che verrebbe in rilievo è solo ed esclusivamente la consapevolezza della stessa di essere coinvolta in un meccanismo fraudolento, ma, per come si è detto esaminando i motivi di ricorso, la stessa emerge da circostanze del tutto diverse da quelle prese in esame dal giudice penale.
6. In estrema sintesi, va accolto il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata con riferimento al
motivo accolto e la causa rinviata al giudice di appello anche per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2025