Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4618 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4618 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
IRPEF ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17229/2017 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME nonché, per procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultimo;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avv ocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 48/2017, depositata il 17 gennaio 2017; udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 5 febbraio 2025; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; NOME COGNOME per i ricorrenti e l’Avvocato
sentiti l’Avv ocato dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Il 30 luglio 2014 l’Agenzia delle Entrate notificò l’avviso di accertamento n. T9D013C03341/2014 a NOME COGNOME, rettificandone il reddito ai fini Irpef per l’anno 2009 in conseguenza del rilievo, per il medesimo periodo di imposta, di un maggior reddito d’impresa (a fini Irap e Iva) a carico di RAGIONE_SOCIALE, società estinta della quale la contribuente era socia accomandataria.
La COGNOME impugnò l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che respinse il ricorso.
Anche il successivo appello della contribuente fu respinto.
Con la sentenza indicata in epigrafe, in particolare, la C.T.R. ritenne in premessa la competenza della Direzione provinciale II di Milano ad emettere l’atto impositivo, invece contestata dalla contribuente; nel merito, poi, fece rinvio alla decisione emessa in pari data in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE osservando che
tutti i motivi di gravame afferivano, in realtà, alla posizione di quest’ultima.
La sentenza d’appello è stata impugnata da NOME COGNOME con ricorso per cassazione affidato a nove motivi, illustrati da successiva memoria.
L ‘Amministrazione finanziaria ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia «nullità della sentenza per violazione degli artt. 14, 19 e 59 del decreto legislativo n. 546 del 1992, degli artt. 101 e 102 del codice di procedura civile e dell’art. 111 Cost., anche nel relativo combinato disposto».
La censura ha ad oggetto la mancata integrazione del contraddittorio, da parte della C.T.R., nei confronti «di tutti i litisconsorti necessari».
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, «in combinazione con l’art. 132, num. 4), cod. proc. civ. e l’art. 118 disp.att. cod. proc. civ.».
La sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha reso una motivazione per relationem mediante integrale rinvio ad altra sentenza, peraltro pubblicata con numero successivo, senza alcuna possibilità che della stessa potessero individuarsi le ragioni di fatto e di diritto.
Il terzo mezzo deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 cod. civ., nonché dell’art. 10 della l. 22 luglio 2000, n. 212.
La ricorrente contesta la legittimità della notificazione del questionario ex art. 32, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che aveva preceduto l’accertamento nei confronti della
società, in quanto effettuata dopo la cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese; ne deduce, infatti, la sussistenza di una fattispecie di nullità assoluta, non sanabile dal fatto che essa ne era stata comunque messa a conoscenza.
4. Il quarto motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 53 Cost. e dell’art. 10 della l. n. 212/2000.
La ricorrente -riferendosi, evidentemente, alla sentenza resa dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società alla quale fa rinvio la decisione appellata in questa sede -si duole del fatto che non siano stati presi in considerazione i documenti prodotti nel corso del giudizio di primo grado.
Evidenzia, al riguardo, le ragioni per le quali il ritardo nella produzione non le sarebbe imputabile e richiama, in ogni caso, la giurisprudenza che ha ritenuto legittime le produzioni tardive, sulla base del principio affermato dall’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 e del diritto alla difesa.
5. Con il quinto mezzo di impugnazione è dedotta violazione dell’art. 267 TFUE e dell’art. 24 della l. 7 gennaio 1929, n. 4.
Anche detto motivo inerisce alla sentenza d’appello concernente la società, che viene criticata nella parte in cui non ha affermato che non sussisteva la necessità di rispettare le prescrizioni normative poste a tutela del contraddittorio nel procedimento accertativo, pur vertendosi in tema di Iva.
6. Il sesto motivo denunzia violazione degli artt. 53 Cost. e 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, «come recepiti dalla circolare n. 32/E del 2006».
La ricorrente assume che la determinazione del credito erariale sarebbe addivenuta ad una «iperbolica percentuale di ricarico globale che non ha riscontri nell’economia reale».
Contesta, in tal senso, la sentenza resa nei confronti della società, nella quale l’operato dell’Ufficio è stato ritenuto legittimo poiché è consistito nel recupero a tassazione di costi non documentati e, quindi, non deducibili.
Con il settimo mezzo, denunziando violazione dell’art. 2313 cod. civ., la contribuente si duole del fatto che l’Amministrazione abbia notificato l’atto impositivo relativo alla società estinta ad entrambi i soci del sodalizio, senza operare distinzione in ordine alle rispettive «classi di responsabilità», ovvero fra socio accomandante e socio accomandatario.
Con l’ottavo motivo, denunziando «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. 600/73», la ricorrente contesta nuovamente la sentenza relativa alla società nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’atto impositivo relativo benché sottoscritto da funzionario privo di delega; rileva, in proposito, che la delega prodotta dall’Ufficio sarebbe «priva dei requisiti minimi per essere ritenuta valida», in quanto priva di motivazione, non conferita per il singolo atto ma per la totalità degli accertamenti concernenti un maggiore imponibile compreso fra 50.001,00 e 300.000,00 euro e priva della data di scadenza.
Infine, con il nono motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte concernente la competenza delle diverse direzioni territoriali che hanno provveduto alla notifica degli atti impositivi.
La decisione sarebbe errata e contraddittoria laddove ha ritenuto che, in relazione al medesimo anno d’imposta, sarebbero competenti due diverse direzioni pur in presenza di un unico domicilio del destinatario; in particolare, i giudici d’appello avrebbero dovuto rilevare «il vizio sostanziale e radicale
dell’avviso di accertamento» conseguente alla carenza di potere dell’organo accertativo.
10. Occorre preliminarmente dar conto del fatto che, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha chiesto a questa Corte di rilevare che «i principali capisaldi del ricorso rimangono acquisiti in base al principio di non contestazione», in quanto l’Agenzia controricorrente non li avrebbe espressamente confutati, avendo anzi espressamente concluso per « l’accoglimento della sentenza impugnata»; la stessa ricorrente, in ogni caso, ha sostenuto che «sui medesimi temi si sono già formati i giudicati per i ricorsi-fotocopia in risposta ad altrettanti accertamentifotocopia concernenti l’annualità precedente».
Entrambi gli assunti sono immeritevoli di àdito.
Quanto, infatti, all’affermata «non contestazione» dei motivi di ricorso, è appena il caso di osservare che, al contrario, l’Amministrazione ne ha dedotto l’inammissibilità o l’infondatezza sotto distinti e specifici profili.
La richiesta di annullamento -anziché di conferma -della sentenza impugnata, contenuta nelle conclusioni del controricorso, è verosimilmente riconducibile ad errore materiale e non può incidere sulla valutazione del contenuto dell’atto, che non va limitata al dato letterale delle conclusioni, ma va svolta con riferimento ai profili sostanziali della richiesta rivolta al giudice (cfr. Cass. Sez. U, n. 3041/2007; successive conformi, fra le numerose altre, Cass. n. 4302/2023; Cass. n. 11631/2018; Cass. n. 22893/2008).
Quanto, poi, all’affermata sussistenza di un giudicato esterno, formatosi in seguito al rigetto della pretesa erariale concernente
l’anno di imposta 2008, l’assunto della contribuente non è munito di un sufficiente grado di specificità.
Questa Corte, infatti, ha affermato in più occasioni (v. ad es. Cass. n. 36741/2022; Cass. n. 19199/2022; Cass. n. 9710/2018; Cass. n. 21395/2017) che in questi casi l’ efficacia esterna del giudicato richiede che l ‘ accertamento compiuto nel giudizio definito con decisione irrevocabile abbia ad oggetto elementi costitutivi della fattispecie, i quali, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere «tendenzialmente permanente»; esso, per contro, non può avere alcuna efficacia vincolante laddove l’ accertamento relativo ai diversi anni di imposta si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.
Ed invero, la ricorrente non ha fornito elementi significativi della sussistenza di tale indefettibile presupposto per l’invocata operatività del giudicato esterno; essa, infatti, si è limitata a indicare l’ordinanza di questa Corte n. 11139/2019, con la quale è stato respinto il ricorso erariale avverso la sentenza d’appello favorevole ai soci sul rilievo del fatto che era divenuto medio tempore definitivo l’accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE ma che non contiene alcuna indicazione circa la tipologia di accertamento compiuta nel giudizio definito.
Ciò premesso, e venendo all’esame del ricorso, il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
11.1. Secondo la prospettazione della ricorrente, i giudici d’appello avrebbero errato nel non rilevare la sussistenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario, adottando ogni conseguente provvedimento per la ricostituzione del corretto rapporto processuale.
La censura appare dunque riferita alla pendenza, oltre al presente, del giudizio relativo alla società RAGIONE_SOCIALE ( recte : ai
soci della stessa, succedutile dopo l’estinzione) , in relazione alla ripresa a tassazione a fini Irap.
11.2. In questo senso, va anzitutto osservato che il motivo non ricostruisce correttamente i dati processuali, omettendo di riportare che il presente giudizio e quello relativo alla società sono stati oggetto di trattazione e decisione contestuali, sia in primo grado che in grado d’appello.
Al riguardo, è ben vero che questa Corte, con la nota pronunzia n. 14815/2008 resa a Sezioni Unite, ha affermato il principio secondo cui, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e dei relativi soci, ai quali tali redditi sono automaticamente imputati in misura proporzionale alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, riguardi inscindibilmente sia la società che tutti i soci, salvo che questi prospettino questioni personali, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere definita limitatamente ad alcuni di essi.
Nondimeno, sul medesimo tema questa stessa Corte ha affermato (dapprima con Cass. n. 3830/2010; in seguito, fra le numerose altre, con Cass. n. 10270/2024; Cass. n. 19402/2022; Cass. n. 36001/2021; Cass. n. 6135/2020) che la dichiarazione di nullità dei giudizi non va disposta laddove emerga la sussistenza di una complessiva fattispecie che in ciò non determini un pregiudizio effettivo per i litisconsorti, in quanto caratterizzata:
(a) dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse;
(b) da ll’ identità oggettiva, quanto a causa petendi , dei ricorsi;
(c) dalla loro simultanea proposizione avverso l’ avviso di accertamento, sostanzialmente unitario, che fonda la rettifica delle dichiarazioni della società e di tutti i soci (con conseguente identità di difese);
(d) dalla loro simultanea trattazione e della identità sostanziale della decisione adottata dai giudici.
Tutti gli elementi di tale complessiva fattispecie sono rinvenibili nella presente vicenda, nella quale la posizione della società RAGIONE_SOCIALE, quanto alla ripresa ai fini Irap per l’anno 2009, e quella dei soci, in ordine ai rispettivi redditi per imputazione, sono state trattate contestualmente, nelle medesime udienze, dallo stesso collegio e con decisioni coincidenti, rese sulla base di identiche argomentazioni difensive.
11.3. In proposito, non sfugge al Collegio che la richiamata giurisprudenza, nell’escludere la nullità come conseguenza della mancata integrazione del contraddittorio ab origine , ha comunque attribuito una sorta di efficacia sanante alla circostanza della successiva riunione dei giudizi innanzi al giudice di legittimità.
Ciò, tuttavia, non osta a che in questo caso possa comunque addivenirsi a una pronunzia sul merito dell’impugnazione anche senza dar corso a detto incombente; e ciò in continuità con l’ orientamento di questa Corte secondo cui, laddove il ricorso per cassazione appaia inammissibile o prima facie infondato (ipotesi che, per le ragioni che si esporranno nel prosieguo, ricorre nella specie), occorre evitare comportamenti che si concretino in aggravio di attività processuali e inconcludenti formalità, senza
comportare alcun beneficio per la garanzia dell ‘ effettività dei diritti processuali delle parti (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 1692/2025; in precedenza, fra le altre, Cass. n. 18890/2021; Cass. n. 11287/2018).
12. Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte, chiamata a scrutinare la validità della sentenza con motivazione redatta mediante richiamo di un provvedimento giudiziario reso in altro processo, ha in effetti ritenuto necessario che la sentenza resti ‘ autosufficiente ‘ , riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logicogiuridica; ne è derivata la dichiarazione di nullità, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., delle sentenze che si limitavano alla mera indicazione dell’esistenza del provvedimento richiamato, senza esposizione del contenuto e senza apprezzamento delle argomentazioni assunte nell’altro giudizio, in specie quanto alla loro pertinenza e decisività rispetto ai temi dibattuti dalle parti (cfr., fra le altre, Cass. n. 21443/2022; Cass. n. 459/2022; Cass. n. 22562/2016).
E tuttavia, una tale impostazione è finalizzata al rispetto della necessità -anch’essa più volte affermata da questa Corte in riferimento all’obbligo di motivazione dei provvedimenti che la decisione consenta «l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo» (così, espressamente, la menzionata Cass. n. 459/2022).
Per tale ragione, ad esempio, è stata esclusa la nullità della sentenza motivata mediante rinvio ad altro precedente dell’ ufficio reso tra le stesse parti, «in quanto il riferimento ai ‘ precedenti conformi ‘ contenuto nell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. non
deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile» (così Cass. n. 29017/2021).
In questi casi, continua peraltro l’ultima pronunzia citata , la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione, sicché la parte che intenda impugnarla ha l’onere di compiere una precisa analisi anche delle argomentazioni che vi sono inserite mediante l’operazione inclusiva del precedente, alla stregua dei requisiti di specificità propri di ciascun modello di gravame, previo esame preliminare della sovrapponibilità del caso richiamato alla fattispecie in discussione.
Ed invero, che tale ultima fattispecie sia integrata dalla presente vicenda processuale è confermato dal fatto che i motivi di ricorso si riferiscono ampiamente e dettagliatamente alla sentenza d’appello resa dalla C.T.R. nel giudizio relativo alla società poi estinta; il che conduce a escludere che l’odierna ricorrente possa dolersi della mancata conoscenza delle ragioni della decisione.
13. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Se, infatti, la notifica di un atto impositivo effettuata nei confronti di una società già cancellata dal registro delle imprese è nulla, poiché l’estinzione impedisce che la società sia munita di autonoma legittimazione processuale, altrettanto non può dirsi per l’invio del questionario di cui all’art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600/1973.
Quest’ultimo, per vero, non è previsto quale presupposto o momento necessario e indefettibile della serie procedimentale
finalizzata alla rettifica che caratterizza l’accertamento tributario, ma costituisce una mera facoltà discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, tant’è che, se viene omesso, non si determina alcuna invalidità dell’accertamento medesimo (v., fra le altre, Cass. n. 38060/2021; Cass. n. 27851/2018).
Il quarto e il quinto mezzo di impugnazione appaiono connessi, poiché concernono entrambi il tema del contraddittorio endoprocedimentale.
Essi, pertanto, possono essere esaminati congiuntamente e vanno dichiarati infondati.
Sul punto, infatti, la C.T.R. si è conformata ai principi più volte affermati al riguardo da questa Corte; in particolare, va condiviso il rilievo circa il fatto che, per il segmento accertativo riferito all’Iva, la doglianza della contribuente avrebbe potuto trovare conforto ove costei avesse assolto all’onere di allegazione specifica delle ragioni concrete che potevano esser fatte valere ove il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, in quanto, per la loro serietà e pertinenza, tali ragioni avrebbero potuto incidere sul ‘se’ e sul contenuto dell’atto (v. Cass. n. 26068/2023; Cass. n. 37234/2022).
In proposito, e con specifico riguardo al quarto motivo, conviene ribadire che l’onere non assolto concerne il piano delle allegazioni, non già quello delle produzioni che ad esse siano, eventualmente, riferite; in proposito, la sentenza d’appello relativa alla società ha affermato -in termini che la censura non scalfisce minimamente -che né il ricorso introduttivo, né l’atto di appello recavano in alcun modo l’indicazione delle ragioni che la società contribuente avrebbe potuto far valere nell’ipotesi di tempestiva attivazione del contraddittorio (pag. 7).
15. Il sesto motivo non coglie la ratio decidendi .
La ricorrente assume, infatti, che l’Ufficio avrebbe operato un abnorme ‘ricarico globale’ delle imposte dovute, denunziando la contrarietà della quantificazione al principio costituzionale di capacità contributiva.
Tale assunto non si confronta con l’affermazione contenuta nella pronunzia richiamata dai giudici d’appello (pag. 8) circa il fatto che l’importo indicato «non è il ricarico operato dall’Ufficio, bensì semplicemente la conseguenza (in termini economici) del fatto che , non avendo i ricorrenti prodotto documentazione giustificativa e distinta analitica dei cos ti pari complessivamente ad € 82.929,00» di tali ultimi è stato legittimamente recuperato a tassazione l’intero ammontare, trattandosi di costi dedotti in assenza dei presupposti.
Tale assunto non si confronta con l’affermazione contenuta in sentenza (pag. 8) circa il fatto che l’importo indicato «non è il ricarico operato dall’Ufficio, bensì semplicemente la conseguenza (in termini economici) del fatto che , non avendo i ricorre nti prodotto documentazione giustificativa e distinta analitica dei costi pari complessivamente ad € 82.929,00», di tali ultimi è stato legittimamente recuperato a tassazione l’intero ammontare, trattandosi di costi dedotti in assenza dei presupposti.
In proposito, non è pertinente il richiamo operato dalla contribuente alla circolare n. n. 32/E del 2006 dell’Agenzia delle entrate, secondo la quale (peraltro in conformità al consolidato orientamento di questa Corte, v. ad es. Cass. n. 2444/2024) nel caso, qui ricorrente, di accertamento induttivo ‘ puro ‘ deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria; tale indicazione opera, infatti, nel caso in cui l’Amministrazione abbia provveduto alla rideterminazione dei ricavi del contribuente, non certo, come
avvenuto nella specie, al mero rilievo della mancata deduzione di costi.
16. Il settimo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Non v’è infatti spazio per le doglianze della ricorrente, in relazione al proprio reddito di partecipazione, in ragione del fatto che l’avviso relativo alla società è stato notificato ad entrambi i soci, senza distinzione concernente il regime di responsabilità.
È infondato, poi, anche l’ottavo motivo, concernente un asserito difetto di delega in capo al firmatario degli atti impositivi che sarebbe stato trascurato dalla C.T.R. nella sentenza richiamata.
Detta ultima appare invece conforme ai dettami di questa Corte sul punto, laddove, in particolare, ha statuito che la delega non deve essere conferita per il singolo atto e munita di un termine di scadenza (Cass. n. 21972/2024), che essa non va allegata all’atto impositivo, in quanto provvista di mera rilevanza interna (Cass. n. 5826/2023), e che l’atto è comunque valido ove, come nella specie, sia stato sottoscritto da un funzionario delegato di carriera direttiva (Cass. n. 5177/2020).
Resta l’esame del nono motivo, che è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi .
In punto alla competenza territoriale ad emanare l’avviso di accertamento, infatti, la sentenza appellata ha motivato con chiarezza, ritenendola radicata in relazione alla residenza della Belloni.
Ogni altra considerazione, come svolta in seno alla censura, esula dal percorso argomentativo adottato dai giudici d’appello.
Il ricorso è dunque complessivamente meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 3.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di