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Visto infedele: competenza e sanzioni per il CAF

Un professionista ha apposto un visto di conformità errato su una dichiarazione dei redditi. L’Agenzia delle Entrate gli ha notificato una cartella di pagamento. La Corte di Cassazione ha annullato l’atto, stabilendo che l’ufficio emittente era territorialmente incompetente. La Corte ha chiarito che la competenza spetta alla direzione regionale del domicilio fiscale del professionista e non a quella del contribuente. La decisione, incentrata sul cosiddetto visto infedele, è fondamentale per definire responsabilità e regole procedurali per gli intermediari fiscali.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Visto Infedele: la Cassazione Annulla l’Atto per Incompetenza Territoriale

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 7799/2025 offre un chiarimento cruciale sulla responsabilità dei professionisti e dei CAF in caso di visto infedele e, soprattutto, sulla competenza territoriale dell’Agenzia delle Entrate nell’irrogare le relative sanzioni. La Corte ha stabilito un principio procedurale di fondamentale importanza: l’atto con cui si contesta la responsabilità al professionista deve essere emesso dall’ufficio competente per il domicilio fiscale del professionista stesso, e non da quello del contribuente assistito. Vediamo nel dettaglio la vicenda e la decisione della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: un Visto di Conformità Conteso

Un professionista, in qualità di responsabile dell’assistenza fiscale per un CAF, aveva apposto il visto di conformità su una dichiarazione dei redditi (Modello 730) per l’anno d’imposta 2014. A seguito di un controllo formale, l’Agenzia delle Entrate, attraverso la sua direzione provinciale territorialmente competente per il contribuente, ha ritenuto il visto apposto come infedele. Di conseguenza, ha iscritto a ruolo e notificato una cartella di pagamento a carico del professionista, richiedendo il pagamento dell’imposta, degli interessi e di una sanzione pari al 30% dell’imposta, così come previsto dalla normativa all’epoca vigente (art. 39, d.lgs. 241/1997).

Il professionista ha impugnato la cartella di pagamento sollevando due questioni principali:

1. L’applicazione del principio del favor rei, in quanto una modifica legislativa successiva (legge n. 26 del 2019) aveva ridotto la sanzione a una somma pari al 30% della maggiore imposta riscontrata, eliminando la responsabilità per l’imposta e gli interessi.
2. Il difetto di competenza territoriale, sostenendo che l’ufficio legittimato ad agire non fosse la direzione provinciale del domicilio del contribuente, bensì la direzione regionale del proprio domicilio fiscale.

La Decisione della Cassazione sul Visto Infedele

Dopo i giudizi di primo e secondo grado, che avevano parzialmente accolto le ragioni del professionista applicando il principio del favor rei ma rigettando l’eccezione di incompetenza, la questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, decidendo di esaminare con priorità il motivo di ricorso incidentale relativo all’incompetenza, lo ha ritenuto fondato. Questa decisione ha avuto un effetto assorbente su tutte le altre questioni, inclusa quella sul merito della sanzione sollevata dall’Agenzia delle Entrate.

le motivazioni

La Corte ha ribadito un orientamento ormai consolidato nella sua giurisprudenza. La responsabilità del professionista che rilascia un visto di conformità infedele, prevista dall’art. 39 del d.lgs. n. 241/1997, ha anche una funzione punitiva. Di conseguenza, la competenza per l’iscrizione a ruolo e la contestazione deve essere individuata secondo le regole specifiche dettate dalla stessa norma.

Il comma 2 del citato articolo stabilisce chiaramente che le sanzioni sono irrogate dalla direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore. Il “trasgressore”, in questa fattispecie, non è il contribuente che ha presentato la dichiarazione, ma il professionista che ha commesso l’errore nell’apporre il visto.

Poiché l’atto era stato emesso da un ufficio (la direzione provinciale di Treviso) diverso da quello funzionalmente e territorialmente competente (la direzione regionale di Roma, domicilio fiscale del professionista), l’atto stesso è risultato viziato da illegittimità per incompetenza. Questo vizio procedurale ha portato all’annullamento dell’intera pretesa tributaria, senza nemmeno entrare nel merito della quantificazione della sanzione.

le conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio di garanzia fondamentale per i professionisti e gli intermediari fiscali. La corretta individuazione dell’ufficio competente non è una mera formalità, ma un presupposto di validità dell’atto impositivo. Per i professionisti, ciò significa che qualsiasi contestazione relativa a un visto infedele dovrà provenire esclusivamente dalla direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate del loro domicilio fiscale. Un atto emesso da un ufficio diverso è illegittimo e può essere annullato in sede giudiziaria. La decisione sottolinea l’importanza di verificare sempre, come primo passo difensivo, la competenza dell’organo che ha emesso l’atto impugnato.

Quale ufficio dell’Agenzia delle Entrate è competente a sanzionare un professionista per un visto infedele?
Secondo la Corte di Cassazione, la competenza appartiene esclusivamente alla direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate individuata in base al domicilio fiscale del professionista (il ‘trasgressore’), e non a quella del contribuente assistito.

Cosa succede se l’atto di contestazione per un visto infedele è emesso da un ufficio incompetente?
L’atto emesso da un ufficio territorialmente o funzionalmente incompetente è illegittimo e, come tale, deve essere annullato. Questo vizio procedurale invalida la pretesa fiscale, indipendentemente dal merito della violazione contestata.

La responsabilità del professionista per visto infedele riguarda solo una sanzione o anche l’imposta non pagata dal contribuente?
La sentenza si è concentrata sull’aspetto procedurale dell’incompetenza, assorbendo la questione nel merito. Tuttavia, si menziona che la normativa è cambiata nel tempo. La vecchia norma prevedeva una responsabilità per imposta, sanzioni e interessi, mentre la nuova (applicabile in base al principio del favor rei secondo i giudici di merito) la limita a una somma pari al 30% della maggiore imposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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