Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19786 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19786 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29553/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende -ricorrente-
contro
CASTELLANO
COSTRUZIONI
SPA
-intimata-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 3251/2018 depositata il 10/04/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di RAGIONE_SOCIALE l’atto di recupero n. TFKCR0200065/2015 con cui veniva ripresa l’indebita compensazione di crediti Iva relativi all’anno 2009 utilizzati in compensazione negli anni 2010 e 2011 in violazione dell’art. 17 D.lgs. 241/1997 in quanto anticipata rispetto al termine di legge, nonché dell’art. 10 del D.L. 78/2009, in quanto per la parte di credito superiore ad euro 15.000 non era stato apposto il visto di conformità.
Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP di Avellino contestando, in particolare, il difetto di motivazione dell’atto impugnato, la decadenza del potere impositivo , ritenendo non applicabile l’art. 27 D.L. 185/2008 previsto solo per crediti inesistenti e non meramente non fruibili, nonché l’erroneo calcolo degli importi e la nullità delle sanzioni irrogate, trattandosi di violazione formale e non sostanziale del tributo.
La CTP adita, con sentenza n. 875/2016, rigettava il ricorso.
Avverso tale sentenza, il contribuente proponeva appello dinanzi alla CTR della Campania reiterando le censure formulate in primo grado.
La CTR adita, con sentenza n. 3251 dell’8/03/2018 e depositata in data 10/04/2018, accoglieva l’appello del contribuente e compensava le spese.
L’Ufficio affida ora il proprio ricorso per cassazione a tre motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si adombra la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 D.L. 78/09, conv. in L. 102/09, 17 D.lgs 241/1997 in combinato disposto con gli artt. 6 D.lgs. 472/1997 e dell’art. 13 D.lgs. 471/1997, in relazione all’art. 360 comma 1 n.3) c.p.c., per aver la CTR respinto le ragioni dell’ufficio sul rilievo della natura formale delle violazioni di legge e, dunque, della
conseguente insussistenza delle sanzioni applicate. Conseguentemente violando le disposizioni in rubrica, a norma delle quali sussiste violazione sostanziale a cui segue l’irrogazione della sanzione in tutti i casi in cui vengono violate norme tributarie che fissano determinate modalità operative per la fruizione di crediti in compensazione, comportando così un rallentamento all’attività accertatrice dell’ufficio, nonché un pregiudizio alle casse dello Stato per mancato versamento delle imposte alle scadenze stabilite dalla legge.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 27 comma 16 del D.L. 185/2008 conv. in legge 2/09, in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., per aver la CTR ritenuto di applicare il termine quadriennale di accertamento in violazione delle norme in rubrica, secondo le quali la violazione di norme tributarie che regolano le modalità operative di fruizione del credito in compensazione equivale ad ‘inesistenza’ del credito non sussistendo le condizioni per il suo godimento ed operando pertanto il termine più lungo di otto anni per l’accertamento.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 36 D.lgs. 546/1992, in combinato disposto con l’art. 132 n.4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 4) c.p.c., per aver la CTR reso una pronuncia nulla per difetto assoluto di motivazione nella parte in cui afferma apoditticamente che risulta rispettato dal contribuente il termine di fruizione del credito in compensazione, senza indicare né a quale documentazione si riferisca, né la data di maturazione e godimento del credito, omettendo così di esporre l’iter logico argomentativo a fondamento della decisione adottata.
Il primo motivo è infondato.
La CTR si è adeguata al condivisibile principio già espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, a tenore del quale ‘ In tema di compensazione di crediti IVA, la mancata apposizione, sulla
dichiarazione del contribuente, del visto di conformità del responsabile del centro di assistenza fiscale, previsto dall’art. 10, comma 1, lett. a), n. 7, del d.l. n. 78 del 2009, convertito nella l. n. 102 del 2009, configura, anche ai fini dell’applicazione delle relative sanzioni, una violazione meramente formale, non equiparabile ad un omesso versamento, in quanto non pregiudica l’esercizio delle attività di controllo da parte dell’ente accertatore e non incide sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo ‘ (Cass. n. 5289 del 2020 ; da ultimo cfr. 7154 del 2025). L’art 7 del D.L. 78/2009 convertito in L. 102/2009 prescrive ai contribuenti che intendono utilizzare in compensazione crediti relativi all’imposta sul valore aggiunto per importi superiori a 10.000 euro la richiesta di apposizione, nelle forme previste dalla legge, del visto di conformità.
Nella fattispecie è pacifico che la società ha portato in compensazione un credito Iva privo di visto di conformità, ragion per cui l’Ufficio ha recuperato l’imposta e, contestando l’omesso versamento, ha applicato la sanzione proporzionale prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 471/1997 invece che quella fissa, prevista per le «violazioni formali».
È altrettanto incontestata la titolarità da parte del contribuente del credito Iva. Ciò premesso secondo l’insegnamento di questa Corte dal quale non vi è ragione di discostarsi per configurare una violazione meramente formale occorre « la contemporanea sussistenza di un duplice presupposto, ovvero che la violazione accertata “non comporti un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo » (Cass. n. 27211 del 2014; Cass. n. 23352 del 2017, Cass. n. 14158 del 2018).
Nel caso di specie la mancata apposizione del visto di conformità, oltre a non costituire condotta frodatoria, non ha arrecato alcun pregiudizio per le casse erariali
La funzione del visto di conformità richiesto per poter operare la compensazione dei crediti di imposta è quella di assicurare un controllo anticipato della esistenza e spettanza del credito compensabile mediante l’attribuzione della relativa verifica ad un professionista abilitato. L’inosservanza di tale adempimento è quindi inidonea a pregiudicare l’esercizio delle attività di controllo e di verifica della sussistenza del credito da parte dell’Ente accertatore.
Essa è altresì inidonea ad incidere negativamente in danno del fisco sia sulla base imponibile dell’imposta sia sul versamento del tributo, in quanto, una volta accertata sul piano sostanziale l’esistenza del credito IVA e il conseguente diritto del contribuente di portarlo in compensazione, la mancata apposizione del visto si risolve in una infrazione puramente formale che non determina il venir meno di tale diritto.
Contrariamente a quanto assunto da ricorrente, la compensazione dei crediti in violazione dell’obbligo dell’apposizione del visto non configura una violazione di omesso versamento.
Il secondo motivo è infondato.
La CTR si è adeguata al principio nomofilattico espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce del quale: ‘ In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 -allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una
artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento ‘ (Cass., Sez. Un., n. 34419 del 2023).
L’indirizzo cui la sentenza d’appello si è opportunamente allineata segna il superamento del precedente avviso, affacciatosi nella sorpassata giurisprudenza di legittimità, e condensato dalla pronuncia riportata nel corpo del mezzo di ricorso ( id est , Cass. n. 25436 del 2022: ‘ L’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'”inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per il comune avviso di accertamento ‘).
Il terzo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Benché sia sorretta da una motivazione asciutta, la sentenza d’appello ben lascia cogliere la propria ratio decidendi . Essa, invero, indica il presupposto per il quale ritiene esistente il credito fatto valere in compensazione dal contribuente, segnalando la connotazione meramente procedurale e formale delle violazioni e puntualizzando -si tratta proprio del nucleo della ratio a supporto della decisione -che il contribuente ha ‘ rispettato il termine
individuato dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/97 in ordine alla compensazione del credito. In buona sostanza, il giudice ha chiarito la tempestività della compensazione e tanto è sufficiente ad integrare una giustificazione a sostegno della statuizione assunta.
Va, infatti, rammentato che il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del « minimo costituzionale » richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato soltanto qualora la motivazione -e non è questo il caso -sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Nulla sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10/04/2025.