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Visto di conformità infedele: l’ufficio competente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14787/2024, ha stabilito che la competenza a sanzionare un professionista per l’emissione di un visto di conformità infedele spetta esclusivamente alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate del domicilio fiscale del professionista stesso, e non a quella del contribuente. Un atto emesso da un ufficio territorialmente incompetente è nullo. Il caso riguardava un professionista sanzionato dall’ufficio provinciale competente per il contribuente assistito. La Corte ha accolto il ricorso del professionista, annullando l’atto impositivo per difetto di competenza.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Visto di Conformità Infedele: La Cassazione Fissa la Competenza Territoriale

Il visto di conformità infedele rappresenta una delle problematiche più delicate per i professionisti abilitati e i CAF. La responsabilità che ne deriva può avere conseguenze economiche significative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 14787 del 27 maggio 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale su un aspetto procedurale cruciale: quale ufficio dell’Agenzia delle Entrate ha la competenza per sanzionare il professionista? La risposta della Corte è netta e stabilisce un principio di garanzia per i professionisti, delineando confini invalicabili per l’azione dell’Amministrazione Finanziaria.

I Fatti del Caso

Un professionista, in qualità di responsabile dell’assistenza fiscale per un CAF, aveva apposto il proprio visto di conformità sulla dichiarazione dei redditi (Modello 730) di un contribuente per l’annualità 2014. A seguito di un controllo formale, la Direzione Provinciale di Napoli dell’Agenzia delle Entrate, competente per il domicilio fiscale del contribuente, riteneva il visto apposto ‘infedele’.

Di conseguenza, l’Agenzia iscriveva a ruolo a carico del professionista una somma pari all’imposta, alla sanzione (30%) e agli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente. La relativa cartella di pagamento veniva notificata al professionista, il quale la impugnava immediatamente.

La tesi difensiva del professionista si basava su un vizio di incompetenza: sosteneva che l’atto avrebbe dovuto essere emesso non dall’ufficio provinciale di Napoli, ma dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente per il suo domicilio fiscale, ovvero quello di Roma.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, ma la decisione veniva ribaltata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale. Il caso approdava così dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione del Visto di Conformità Infedele e la Competenza

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’articolo 39, comma 2, del D.Lgs. n. 241/1997. Questa norma regola le sanzioni per le violazioni commesse dai soggetti che rilasciano il visto di conformità. La domanda centrale è: la competenza a irrogare la sanzione al professionista segue il domicilio fiscale del contribuente assistito o quello del professionista che ha commesso la violazione?

L’Agenzia delle Entrate sosteneva una connessione tra il controllo sulla dichiarazione del contribuente e l’azione verso il professionista, radicando la competenza presso l’ufficio che ha effettuato il controllo originario. Il professionista, al contrario, invocava la chiara dizione normativa che individua nel ‘trasgressore’ il fulcro per determinare la competenza, la quale deve essere attribuita alla Direzione Regionale del luogo in cui quest’ultimo ha il proprio domicilio fiscale.

La Natura della Responsabilità del Professionista

Un ulteriore profilo analizzato dalla Corte riguarda la natura della somma richiesta al professionista. Non si tratta di un’obbligazione tributaria in senso stretto, ma di una responsabilità con una chiara funzione punitiva e sanzionatoria. Essa è una reazione dell’ordinamento a una violazione specifica (l’infedeltà del visto) e non al mancato pagamento di un’imposta propria. Questa natura sanzionatoria rafforza la necessità di collegare la competenza all’autore della violazione, cioè il professionista, e non al contribuente.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del professionista, cassando la sentenza d’appello e annullando l’atto impositivo originario. Il ragionamento dei giudici si fonda su argomentazioni solide e coerenti.

1. Interpretazione Letterale della Norma: La Corte sottolinea che l’art. 39, comma 2, del D.Lgs. 241/1997 stabilisce in modo inequivocabile che le violazioni sono contestate e le sanzioni irrogate ‘dalla direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore’. Il ‘trasgressore’ è colui che appone il visto infedele, ovvero il professionista.

2. Competenza Funzionale e Inderogabile: La norma non istituisce una competenza generica, ma una ‘competenza funzionale’ esclusiva delle Direzioni Regionali. Questa attribuzione, prevista da una legge, ha valenza esterna e vincola sia l’amministrazione che i cittadini. Non può essere derogata da prassi interne o da scelte discrezionali dell’ufficio. L’atto emesso da un organo privo della competenza funzionale attribuita per legge è illegittimo.

3. Ratio Legislativa: La scelta del legislatore di accentrare la competenza a livello regionale, in base al domicilio del professionista, risponde a una logica di efficienza e coerenza. Evita che un singolo professionista, assistendo clienti in tutta Italia, possa essere soggetto a procedimenti in una miriade di sedi diverse. Centralizzare la gestione dei rapporti con i professionisti abilitati presso la Direzione Regionale del loro domicilio fiscale garantisce uniformità di trattamento e semplifica il controllo.

4. Irrilevanza del Luogo del Controllo: La Corte chiarisce che il luogo dove avviene il controllo sulla dichiarazione del contribuente (controllo formale ex art. 36-ter) è un presupposto di fatto per l’emersione dell’infedeltà, ma non determina la competenza per l’azione sanzionatoria nei confronti del professionista. Le due procedure, seppur collegate, rimangono distinte e soggette a diverse regole di competenza.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: l’atto con cui si contesta la responsabilità per un visto di conformità infedele e si richiedono le relative somme al professionista è nullo se non proviene dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente per il domicilio fiscale del professionista stesso. Qualsiasi atto emesso da un ufficio diverso (ad esempio, quello provinciale del domicilio del contribuente) è viziato da incompetenza assoluta.

Questa pronuncia offre una tutela procedurale di massima importanza per tutti i professionisti e i CAF. Essi sanno ora con certezza quale sia il loro unico interlocutore istituzionale in caso di contestazioni, potendo così eccepire l’illegittimità di qualsiasi pretesa proveniente da un ufficio territorialmente incompetente. Si tratta di una vittoria per la certezza del diritto e per la corretta applicazione delle regole sulla competenza amministrativa.

Chi è responsabile per il pagamento di imposte, sanzioni e interessi in caso di visto di conformità infedele?
Il professionista o il responsabile del CAF che ha apposto il visto è tenuto al pagamento di una somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente, a meno che l’errore non sia dovuto a condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente stesso.

Quale ufficio dell’Agenzia delle Entrate è competente a sanzionare il professionista per un visto di conformità infedele?
La competenza esclusiva spetta alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate individuata in base al domicilio fiscale del professionista (il ‘trasgressore’), e non a quella del contribuente assistito.

Cosa succede se l’atto di accertamento per il visto infedele viene emesso da un ufficio incompetente?
L’atto è illegittimo per vizio di incompetenza e, come deciso dalla Corte di Cassazione in questo caso, deve essere annullato. L’incompetenza costituisce un vizio che determina la nullità dell’atto impugnato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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